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Fabio Giambrone

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Mi piace sempre paragonare la nobile “arte” del tennis alla politica, ma ovviamente con i doverosi distinguo. Nel gioco della racchetta, infatti, esistono tante variabili: dal campo in erba a quello sintetico, dallo stile che ogni giocatore imprime personalizzando tecniche specifiche quali il rovescio, il pallonetto, il famoso servizio “Ace” (tanto per capirci quello che il giocatore mette a segno senza che l’altro abbia il tempo di rispondere).

Ma non voglio farvi una lezione di tennis. Quello che, invece, è assolutamente imprescindibile in questo sport, tranne casi eccezionali, è la disciplina che ne fa una competizione agonistica forse unica. Elemento quest’ultimo che sicuramente non appartiene alla politica e che può essere il primo distinguo. E allora direte, quale affinità possono esserci con il tennis? Una ci sta tutta ed quella dell’ultimo “servizio”, nell’ultimo set da giocare.

La politica gioca sempre la sua partita nell’ultimo “set” e come nel tennis, quando il giocatore crede di avere la palla del match, all’improvviso lo scenario cambia. E ritornando nei meandri della politica, oggi lo scenario, alla luce di un possibile ritorno alle urne, riapre di fatto quella “partita” che per molti, dalle parti di Montecitorio, credevano sepolta almeno per cinque anni.

Tornano quindi a respirare l’odore del manto erboso di un “campo da gioco”, i “trombati” eccellenti siciliani che dopo la sconfitta ultime elezioni nazionali, avevano sepolto il sogno di diventare onorevoli. Da Francesco Cascio, recordman di preferenze ai tempi d’oro di Forza Italia a Saverio Romano, democristiano e ex cuffariano doc, da Fabio Giambrone, fresco di tessera Pd e uomo fedele da sempre del sindaco Orlando a Antonello Antinoro ex assessore regionale e anch’egli democristiano di lungo corso. E anche il rais di voti all’Uditore, Giulio Tantillo, capogruppo del partito azzurro al Comune, che da uscente è stato battuto dal vento grillino.

Certo non sarà facile raccattare le palle da bordo campo, ma siamo certi che un’occasione così ghiotta non se la lasceranno scappare. Sempre che gli spazi non vengano presi da altri pretendenti. E allora sarà opportuno mettersi in “lista d’attesa”.

 

 

Non è sicuramente piaciuta a “Liberi e Uguali” l’operazione politica del sindaco Orlando diventato, nei fatti, l’amministratore delegato del Pd a Palermo. E la dichiarazione al vetriolo di Nadia Spallita, neo esponente in città del partito di Grasso, ha le caratteristiche di una resa dei conti tutta a sinistra.

“Il sindaco Orlandodice Nadia Spallitacontinua a tradire la fiducia che negli ultimi 40 anni la maggioranza dei cittadini palermitani gli ha rinnovato. Nessuno dei servizi di competenza della città funziona, dalla raccolta differenziata, ingiustificatamente ferma al 9 percento in città e al 12 per cento in provincia, con danni all’erario e ai cittadini, oltre che all’ambiente”.

 

Un attacco che apre le danze di una campagna elettorale dura e prefigura uno scontro già in atto all’interno del Pd, reo di aver ceduto al professore le chiavi del partito per paura che quel famoso 61 a 0 del centrodestra, potesse aleggiare come un fantasma nella stanze di via Bentivegna.

Come dire che di alternative non c’erano e Davide Faraone, braccio destro di Renzi in Sicilia, doveva trovare un escamotage per isolare la sinistra e dare al malato Pd una cura. E questa cura si chiama Leoluca Orlando.

Ma la Spallitta non si ferma e parla della  gestione delle risorse idriche in città “inadeguata a tal punto che dopo trent’anni, si torna al razionamento dell’acqua. Nessuna programmazione, nessun investimento sulle dighe, sulle reti obsolete e nessuna azione di prevenzione che il Sindaco avrebbe dovuto garantire”.

E’ un fiume in piena l’ex portavoce dei Verdi che continua dicendo che a “Palermo i servizi sono inesistenti e l’economia è ferma anche per le disfunzioni e i ritardi degli uffici tecnici. L’amministrazione comunale ha avuto ben 5 anni per bandire il concorso pubblico per l’assunzione dei dirigenti, invece ha preferito fare ricorso ad incarichi esterni a tempo determinato”.

E infine, cita la Ztl e la vicenda paradossale delle multe ai disabili. “Non ho visto alcuna forma di opposizione né dal centro destra né dalla sinistra, in merito a delle scelte, evidentemente errate, visto che oggi Palermo, si trova agli ultimi posti delle statistiche nazionali ed europee per istruzione, livelli occupazionali, disoccupazione, emigrazione giovanile”.

Ma la sciabolata finale la riserva al partito democratico che “ha consegnato la città ad un uomo solo. Orlando rinunci alle competizioni elettorali e dimostri con comportamenti concreti, l’amore che ha sempre dichiarato per la sua città”. 

Un appello, sembra quello della Spallita, che conferma come, dopo la candidatura alla Camera per il Pd di Fabio Giambrone, uomo di Orlando da sempre, si ha la sensazione che il professore voglia essere contrattualmente forte per giocarsi la carta delle europee e, come da noi scritto, lasciare Palermo.

Se così sarà, l’accordo tra Faraone e Orlando, che in molti vociferano, sarà per la successione di Palazzo delle Aquile. Tutto comunque passerà dal 4 marzo perchè, se il centrodestra sarà la coalizione che prenderà più voti, l’accordo per il candidato sindaco passerebbe anche da lì. E, quindi, non resta che aspettare meno di un mese e, forse, l’arcano potrà essere svelato.

Leoluca Orlando è un animale politico. Riesce sempre a cogliere l’attimo, quel “carpe diem” che gli ha permesso di essere perfettamente puntuale, come un metronomo, quello usato dai musicisti per misurare il tempo della musica, nell’evoluzione degli scenari politici. E’ una spanna sopra gli altri. Nessuno puo’ dimostrare il contrario. Il suo passaggio nel Pd assieme al suo fido Fabio Giambrone è un’opera d’arte che già da qualche tempo era diventata meno leggenda e più realtà. Mancava solo la cornice, ma è bastato brandire il “pericolo del populismo targato cinquestelle e la paura del ritorno del berlusconismo” e il gioco è stato bello e pronto.

Il sindaco della primavera di Palermo, fondatore del movimento politico la Rete, che scardinò il potere della Dc di Lima e Andreotti nel 1985, riuscendo a battere nel 1997 Gianfranco Miccichè, l’allora plenipotenziario di Berlusconi in Sicilia e poi sconfitto nel 2007 dal forzista Diego Cammarata, rivincendo nel 2012 e nel 2017 contro Fabrizio Ferrandelli, ha calato l’asso. Quello che tutti aspettavano.

La sua è una fine strategia di distrazione di massa, con un obiettivo chiaro, quanto semplice: trovare una via di fuga alla sindacatura per candidarsi nel 2019 alle elezioni europee. Troppi i problemi che il Comune di Palermo ha annotati nel suo libro e che difficilmente, passata la “sbornia” per la nomina a “Capitale italiana della cultura”, riuscirà ad affrontare e risolvere. Per non parlare della situazione finanziaria che non naviga in buone acque.

E poi, la dice tutta la dichiarazione in cui ha voluto puntualizzare: Resto convinto che il mio partito si chiama Palermo”. Forse come a tranquillizzare soprattutto consiglieri e assessori che lo sfratto ancora è lontano. Ma sarà veramente così? Di certo Orlando è riuscito a sorprendere anche questa volta, dimostrando che il mazziere è sempre lui e al tavolo verde del Pd la fiche sul numero, sia esso nero o rosso, sa dove metterla.

Adesso la roulette del partito democratico gira. Un partito che dopo aver gettato strali su Orlando, nel periodo in cui si doveva decidere l’alleanza per l’elezione a sindaco senza simboli di partito, adesso plaude all’ingresso nelle sue fila. Quasi come una boccata d’ossigeno per un partito lacerato che ha dovuto, anche questa volta, fare atto di sottomissione al professore. In fondo in politica i numeri sono numeri e Orlando in questo è bravissimo maestro e giocoliere.