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Punti di vista

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di redazione. Vi ricordate il film americano “La strana coppia”,  in cui l’indimenticabile, Walter Matthau (nel ruolo di Oscar Madison) scapolo ostinato offre ospitalità all’amico Jack Lemmon(Felix Ungar) da poco separato dalla moglie? Una convivenza che in seguito si rivelerà un vero e proprio disastro.
In scena, nel palcoscenico della politica siciliana e non solo, un singolare remake di quella pellicola: protagonisti Angelino Alfano (Ncd) e Pier Ferdinando Casini (Udc), quest’ultimo per il tramite del suo plenipotenziario in Sicilia, Gianpiero D’Alia.
La trama: una forzata convivenza per far sì che alle elezioni europee di maggio, il previsto sbarramento del 4 per cento possa essere superato, pena l’esclusione dei due partiti transfughi del centrodestra dagli scranni di Bruxelles.  
Un matrimonio combinato, ma soprattutto dettato dagli impietosi sondaggi che danno il partito di Angelino al 3.6 per cento e quello di Casini al 2.5. Una vera débacle, che se confermata, sarebbe non solo una disfatta alla Waterloo, ma anche la morte politica degli stessi Alfano e Casini.
Quindi sto matrimonio “s’ha da fare”, ma soltanto con la benedizione di “Don Abbondio” alias il Cavaliere di Arcore che attende il ritorno all’ovile del figliol prodigo Angelino, ma anche “dell’orrido” Casini (così lo apostrofò nel salotto di Vespa). Pontiere dell’operazione e forse testimone di nozze, l’ex presidente del Senato Renato Schifani (Ncd) che si dice “certissimo che questa alleanza elettorale si farà!”. Ma pezzi di Ncd sono molto scettici, anche perché credono che alla fine Casini, da sempre giocoliere di se stesso, opterà per Silvio. Tutto, dunque, ancora in alto mare.
E non si ha neanche traccia del simbolo che, inevitabilmente, dovrebbe comprendere sia la sigla Ncd, che quella Udc. Si parla di Libertas, ma alcuni democristiani doc (diciamo gli ultimi Mohicani di centro) hanno storto il naso. La storia della Dc è troppo ingombrante ed intoccabile.
In campo i migliori creativi, anche se siamo in periodo di spending review, ai quali vorremmo dare un umile consiglio: qualsiasi sigla partorirete, ricordatevi che le facce sono sempre le stesse e nasconderle sarà davvero da missione impossibile. Confidiamo nel miracolo!
 
di Gaetano Càfici. É sempre difficile entrare in punta di piedi, nella consapevolezza che ogni tuo passo potrebbe fare del male. Come puntellare un edificio pericolante non sapendo da dove iniziare. Devi fare piano, affinché ogni trave sia posta nel punto giusto. Un gioco ad incastro, ma che in questo caso non è un gioco, ma è la vita di una persona.
Sì, la vita di una giovane donna che, di fronte all’ineluttabile destino, decide di raccontare quanto le sta accadendo e lo fa attraverso un blog (http://eleonoraletiziafutura.blogspot.it/) che, in questo caso, diventa medicina “virtuale”e chissà, per certi versi, anche “psicologicamente” più efficace di quella “naturale”.   
Eleonora Marsala, così si chiama la psicologa palermitana di 32 anni che lotta contro il cancro, scoperto quasi per caso due anni fa.
“Perché un blog? – spiega lei stessa -. Perché sono convinta del forte potere terapeutico delle parole, della scrittura, della condivisione delle emozioni e poi perché sono stanca di vedere che l’avere conta più dell’essere, che l’apparenza conta più di ciò che siamo, che il contenitore vale più del contenuto”.
“Gli ultimi anni della mia vita non sono stati per niente semplici. Ma proprio per questo, mi piacerebbe mandare un messaggio ai miei coetanei, alle persone più piccole e a quelle più grandi: la vita è un bene prezioso e dobbiamo combattere, non ci possiamo fare abbattere da ciò che ci capita durante il nostro cammino. Io non mi sono abbattuta nemmeno per un secondo, sto aggredendo la malattia più di quanto lei non faccia con me”.
Dimenticavo….il titolo del blog si chiama: “la ragazza con la chemio nella borsetta”. Ed è proprio in quella borsetta che vorremmo mettere della “criptonite”, ma non come quella usata contro il personaggio immaginario “superman”
La nostra è diversa ed è a forma di cuore. Non mollare Eleonora!    

di Gaetano Càfici. É sicuramente l’argomento che, in modo sopito, ma  anche a tratti forti, viene dibattuto da qualche tempo nel nostro Paese. Euro ? o euro no? Un dilemma quasi da opera shakespeariana, che forse per pudore o anche per ignoranza, nel senso più nobile della parola (colui che ignora), non siamo ancora riusciti a dirimere!

Per non parlare poi dei sondaggi sulla tanto astrusa materia. Recentemente ne sono stati commissionati diversi e hanno dato una visione assolutamente discordante, in un’Italia in cui le sole certezze sono quelle delle bollette da pagare, delle rate insolute del mutuo, e soprattutto del come arrivare alla fine del mese.

In questo confuso ginepraio di un’Europa che di unito ha soltanto il dato geografico, la grande battaglia per un’ipotetica uscita dalla moneta unica, parte proprio dalla Sicilia e dalla mia Palermo. Una vera “rivoluzione”, che metterebbe invidia pure al prode Eroe dei due Mondi: Giuseppe Garibaldi.

A guidarla una donna palermitana determinata, Francesca Donato, di professione avvocato che, insieme ad altri “combattenti”, ha deciso di cavalcare questa battaglia. Lei presidente e fondatrice del movimento “€urexit”, progetto che ha come obiettivo l’uscita dell’Italia dall’eurozona.

“L’uscita dall’euro è l’unico modo per consentire all’Italia di riacquisire la propria sovranità monetaria – dice Francesca Donato -. Il potere di mettere la propria moneta e di conseguenza la possibilità di decidere autonomamente le politiche economiche da seguire, per creare occupazione e ridare competitività alle nostre imprese. Il nostro movimento nasce a Palermo dall’incontro di diversi imprenditori e liberi professionisti che, insieme, hanno deciso di costituire un’associazione, per far conoscere all’opinione pubblica i  temi economici che riguardano le ragioni della pesantissima crisi in cui ci troviamo e le possibili soluzioni”.

Tutto, ovviamente, diciamo noi, con il beneficio di “inventario”. Ma per chi  volesse saperne di più, può visitare il sito dell’associazione all’indirizzo web: www.progettoeurexit.it, con la possibilità, anche, di iscriversi gratuitamente. Magari non sarete come i “Mille”, ma potrete farvi un’idea con l’opportunità forse di una scelta meditata: euro ? o euro no ?

di Gaetano Càfici. Palermo è sempre stata una città complicata, rappresentata tristemente in tutto il mondo con il marchio della mafia e non per la straordinaria potenza di arte, di cultura e di fascino che non ci ha mai fatto “vergognare” di esserne suoi cittadini. Forse anche uno stereotipo, ma senza dubbio un dato di fatto! Per fortuna, però, questa volta la mafia non c’entra nulla. Tiriamo un sospiro di sollievo.
Ma allora perché, come all’improvviso, questa città è discesa verso un declino inarrestabile. Come in un luogo di “silenzio” dove nessuno si indigna più. Dove tutto si subisce e lentamente si sgretola e non solo nei sogni di ognuno di noi, ma anche attraverso il decadimento dei monumenti e delle palazzine storiche che crollano giù, come a volerci lanciare un grido di rabbia; delle attività produttive che chiudono e della media borghesia che talvolta fa visita alla Caritas e non per cortesia!
Indifferenza di  chi “ieri” ha amministrato,  umiliando e impoverendo Palermo e, di chi “oggi”, ha prodotto soltanto effetti effimeri, ma soprattutto narcotizzanti. In parole povere: il nulla. E vi prego non parlatemi del solito alibi della crisi.
E se, invece, la nostra cara Panormus, come la chiamavano gli antichi Greci, fosse affetta dalla sindrome “bipolare?” Malattia questa che nel dizionario medico viene definita così: disturbo della personalità chiamato malattia maniaco depressiva. Una condizione che descrive una categoria di disturbi dell’umore, il quale può oscillare alternando stati d’animo maniacali di estrema euforica (felicità) e tristezza maniacale depressiva”.
Ma sì, sarà proprio così, non può essere altro. Ed io che credevo che tale male fosse causato da una politica cieca e cinica. Che stupido sono stato. Come può la politica far ammalare una città portandola verso un’agonia senza ritorno, quasi da elettrocardiogramma piatto ? Impossibile ! 
Cerco, dunque, la cura, ma all’improvviso la delusione: malattia che non può essere “curata”, nel senso che si prende una medicina e se ne andrà. Questo perché  non è causata da batteri o virus che possono essere eliminati dal corpo. Ma può essere trattata con buoni risultati”. Come dire: la scienza brancola nel buio e, a noi, non rimane che confidare nel ritorno di ET ! La politica, quella con la p minuscola, anche questa volta, può tirare un sospiro di sollievo !
 
di Gaetano Càfici. I paradossi non sono solo quelli matematici, che tanto ci hanno fatto arrovellare la mente nei trascorsi delle nostre carriere scolastiche. Si diceva e si dice tutt’ora che “la matematica non è un’opinione”.
Mi ricordo bene questa frase ripetuta all’infinito dal mio professore di liceo, che non riusciva a capire perché io avessi 8 in filosofia e 4 nella sua materia. La risultante, per dirla in gergo a lui molto familiare, è che per me quella disciplina era “fredda” (così gli dissi un giorno) ed, invece, la filosofia era “calda”, di una piacevolezza indescrivibile. Secondo me si poteva giocare con i pensieri e le parole, e non con i numeri (anche questo forse un paradosso). Risoluzione del “problema”: quell’anno fui bocciato senza appello!
Quindi il paradosso non mi portò molto bene e credo sinceramente che era da evitare, come quello dell’assessore Ester Bonafede che, con una nonchalance fin troppo gratuita ci ha  “illuminati d’immenso”,  voglio scomodare il poeta Ungaretti che, forse, sarebbe rimasto basito di fronte a tale enorme bestialità: “è un paradosso che un assessore regionale guadagni meno del suo capo di gabinetto, meno di un deputato e, in certi casi, perfino di un commesso”. Parole che se dette o soltanto sussurrate durante il rito della fila alle Poste, avrebbero potuto scatenare una guerra termonucleare, con relativa polverizzazione dell’incauta “assessora”.
Sono certo che quel giorno con molta probabilità l’assessore aveva magari qualche conto in sospeso. Sapete quelli che si chiamano obblighi per chi ne prende l’impegno: i libri di università di tuo figlio, la bolletta della luce, il condominio arretrato, la rata della macchina, il conto del droghiere. Mi fermo qui. E quando hai soltanto “5.400” euro da spendere, beh in effetti diventa difficile!
Forse è stato soltanto un maldestro tentativo per avere un aumento dal suo dante causa, perché anche per un assessore, ai giorni d’oggi, è difficile arrivare alla “fine del mese”. In fondo per noi “umani” è diverso. Noi ci siamo abituati anche perché, talvolta o forse troppo spesso, non arriviamo neanche all’inizio del mese!
di Gaetano Càfici. Il grido di dolore e di speranza, che abbiamo ascoltato a Lampedusa nelle parole del vero e unico rivoluzionario moderno, chiamato Papa Francesco, è caduto nel limbo dell’indifferenza. 

Di questa strana sindrome, che pervade la nostra società e di cui non riusciamo a trovare l’albero genealogico, siamo costantemente colpiti come lo si fa con i birilli che stanno là, statici, a subire colpo dopo colpo. 
Brutta parola l’indifferenza, ma ancor più brutta l’immagine di quel “lager”che, a Lampedusa, dovrebbe essere un luogo di accoglienza e, invece, diviene girone infernale. Le parole del Papa come gocce instillate a chi ha perduto di vista il senso delle cose. Nulla sarà come prima in quel luogo di martirio, dove i trafficanti di uomini non vengono “fermati” e dove la politica fa solo passerella per evidenti “ragion di stato”.
 
Si sente parlare di confini che l’uomo può solo disegnare nelle carte geografiche e che sembrano inesistenti, ma ciclicamente varcati per portare quell’effimera speranza di una vita migliore. In fondo nell’isola che non c’è”, le parole di “Francesco il rivoluzionario” rimangono inascoltate. Come se si trattasse di sillabe usate solo per riempire dei fogli vuoti.
Parole dure, invece, come le pietre che non possiamo dimenticare: immigrati morti in mare, da quelle barche che, invece di essere una via di speranza, sono state una via di morte. Risvegliamo le nostre coscienze, perché ciò che è accaduto non si ripeta, non si ripeta per favore”.

E talmente dimenticate, come quelle bocche cucite con ago filo da quegli uomini disperati che con quel gesto hanno voluto lanciare l’urlo silenzioso e estremo all’indifferenza dei governanti del mondo, spettatori privilegiati, ma incapaci di ascoltare le parole dell’ultimo grande uomo della terra. 
Sordi e ciechi per bieca utilità. Perché non porta “gloria” parlare degli “ultimi”, di uomini, di donne e bambini inghiottiti da un mare che come diceva il mio amico pescatore: “può essere buono, ma allo stesso tempo tradituri”. 

 

di Gaetano CàficiSe geograficamente la Sicilia fosse collocata in un’area diversa, potremmo  tranquillamente immaginare che sia preda e vittima di una cerimonia da macumba o da rito voodoo. Una sorte di maledizione che da fin troppi anni la colpisce. Un virus di cui sembra non esserci antidoto. Prima Cuffaro, poi Lombardo e adesso anche l’uomo della rivoluzione, alias Crocetta “El Che”. 

Si tratta certamente di “malattie” che si manifestano con sintomi assolutamente diversi tra loro, ma pur sempre devastanti e con un decorso da triste epilogo: la “morte politica” dei presidenti della Regione che, negli ultimi 15 anni, l’hanno governata. Diagnosi e cura sono in fase di studio nell’Area 51 (quella degli alieni tanto per intenderci). Però, come all’improvviso, il mago merlino, l’uomo della cabala nostrana, l’Aiazzone della politica siciliana ci sorprende con una dichiarazione che rimarrà negli annali e nella storia: “sarò costretto a pubblicare una Finanziaria che non mi appartiene, che ripudio, che canta il de profundis al posto di lavoro di migliaia di lavoratori, che uccide la diversabilità e impedisce ai non vedenti di studiare, che butta sul lastrico migliaia di famiglie e impone alla Sicilia una manovra depressiva senza precedenti, che potrà influire sulla tenuta sociale della Regione, che affossa le imprese e influirà negativamente sul rating nazionale e regionale”. Lui che fino adesso non ha fatto altro che applicare  la “scienza dei numeri”: tagliare, quindi licenziare, per risparmiare. Diciamo un “precursore” dei tempi! 

E poi l’atto finale da vera e propria commedia dell’arte: “faccio appello al Capo dello Stato, affinché intervenga in questa situazione terribile, perché si possa trovare una soluzione rapida che permetta alla Sicilia di rilanciare le politiche di sviluppo, di crescita e di solidarietà. Per me il giorno di pubblicazione della finanziaria è un giorno di grande tristezza, che trascorrerò pregando per la Sicilia e per il popolo siciliano, perchè non debba più subire violenze cieche e irrazionali. Sono pronto al confronto istituzionale, ma con fermezza, sapendo che in ballo non ci sono i giochetti della politica politicante, ma gli interessi di un intero popolo che ha già subito tante violenze e che oggi viene massacrato”.

Come dire, io in fondo non ho colpa di ciò che sta accadendo, perché attenzione: trattasi di malattia seria e, forse, anche incurabile. Presidente, però almeno ci risparmi la preghiera. Quella la lasci agli abiti talari, così come le solite lacrime di coccodrillo. Quest’ultime, le consiglio di tenerle per l’atto finale.

di Gaetano Càfici – L’indignazione è una parola molto semplice. Di quelle che danno chiaro il senso delle cose. Nessuna alchimia, nessun indugio. Quando la sentiamo non ci sorprendiamo, perché è inequivocabile ciò che vogliamo dire con quelle dodici sillabe.

Nella nostra città, invece, accade che ci si indigni, non per le discariche a cielo aperto, per le code infinite negli uffici pubblici, per l’arroganza di quegli automobilisti che se ne fregano delle regole, per un servizio di trasporto pubblico che di europeo non ha nemmeno gli adesivi sulle targhe del bus, per le aiuole sporche, per i negozi che chiudono, per i giovani che non hanno il lavoro e per i meno giovani che lo perdono.
La narcosi è totale ! Come un “Enola Gay” di triste memoria, che lentamente sgancia bombe  di “prozac”. In questo caso l’indignazione si coniuga perfettamente con la parola indifferenza. Non esiste antidoto. È una peste invisibile che sembra non avere effetti collaterali, ma che contagia e si diffonde in modo capillare. Non ha odore, non la si percepisce, ma si sa che è una malattia incurabile. E poi accade, anche, quella che possiamo definire “variabile impazzita”, dove un certo perbenismo è il vero ottundimento di comportamenti che altro non sono se non alibi per la propria coscienza: vedi modello tre scimmiette!
I fatti: chiude la valigeria Ferrari di corso Vittorio Emanuele e, qui, forse, la notizia sarebbe soltanto da annoverare tra le tante di cronaca giornalistica. Nulla di più ! Invece, in quella storica e prestigiosa sede nascerà un Sexy shop con relativa insegna, già affissa ma poi tolta in quanto il nuovo proprietario, con quel gesto, aveva ricevuto prontamente critiche e forte  “indignazione” di cittadini e residenti proprio per aver tolto quell’antica scritta disegnata dal Basile e per “la perdita di decoro della strada”. 
 Non entriamo nel merito dell’attività di questo imprenditore. Se si tratta di impresa legale e autorizzata: “nulla quaestio”. Ma il bigottismo e il falso perbenismo, quello no, non possiamo accettarlo.
Pensate se una mattina vi svegliaste ed uscendo da casa trovaste una città più pulita, il traffico più ordinato, i cassonetti composti e non stracolmi di immondizia e magari vedere qualche negozio che riapre l’attività. Saremmo meno indignati e, sicuramente, meno gratuitamente perbenisti.
di Gaetano Càfici. I tempi cambiano e cambiano anche i luoghi dove la stupidità della violenza si afferma. Panta Rei diceva Eraclito, ricordando a noi il senso di un concetto filosofico, oggi non troppo usuale, in cui tutto è un divenire delle cose che mutano. 

E forse sarebbe anche un bene per l’umanità se fosse così, ma non quando si assiste alla consacrazione di un rito tribale di arcaica memoria che trova, purtroppo, in Facebook (nuovo strumento di socializzazione di massa) la nuova Agorà dove consumare vere azioni da bulli in fasce o da adolescenti che si sentono offesi e privati dell’onore, a rischio della vita.
Dunque, cambiano soltanto gli spazi fisici dove sfogare i proprio istinti o postare le proprie noie, tanto per usare un termine moderno e non, invece, le vecchie abitudini di una società in cui il predominio dei “piccoli forti” si tramuta in teatro del dramma. Ciò è quello che è accaduto a Palermo, città forse in preda ormai ad un virus senza antidoto dove di “delitti giovanili” ne abbiamo piene le cronache. Il palcoscenico dove ha inizio la “recita” è quella porzione di web chiamato Facebook. Una banale conversazione che nei toni si accende sempre più e che vede partecipi due adolescenti palermitani. Nulla di che, se non quando all’improvviso quella cavalleria rusticana virtuale degenera, con conseguente appuntamento reale dei due contendenti per un definitivo chiarimento.
É qui che sì consuma la stupidità della violenza contro l’arte della parola: uno dei due giovani finisce in coma per un’emorragia cerebrale e l’aggressore viene invece fermato e denunciato. Voi direte, ma è sempre accaduto. Potrei concordare con il vostro pensiero senza alcuna reticenza. Ma non è così. Si può combattere per affermare l’onore ferito, ma mai superando il confine.
Io mi ricordo delle mie tante liti con i compagni di scuola per un “soffio” sbagliato delle figurine Panini. Che tempi. Si finiva sempre in abbracci indimenticabili. Avrei voluto portare per un attimo, in un’ideale macchina del tempo, i due ragazzi palermitani. E chissà, forse, questa triste storia sarebbe andata diversamente.
di g.c. I sim­bo­li so­no ico­ne sen­za tem­po che non mu­ta­no mai. Ge­ro­gli­fi­ci che attraver­sa­no ogni epo­ca. Di que­sti Pa­ler­mo è pie­na. Ba­sta guar­dar­si in­tor­no. Pos­sia­mo fa­re una rap­pre­sen­ta­zio­ne qua­si di­da­sca­li­ca del­le sto­rie vec­chie e nuo­ve che si in­cro­cia­no e de­gli even­ti che si sus­se­guo­no. Qua­si co­me una stret­ta commistio­ne tra vi­ta e mor­te. 

Sem­bra di ve­der­li nel­le tantis­si­me la­pi­di com­me­mo­ra­ti­ve, che pos­sia­mo scor­ge­re die­tro ogni no­stro pas­so e che ten­go­no for­te la me­mo­ria di una cit­tà mar­chia­ta, ma mai pie­ga­ta. Ma an­che nei luo­ghi di ri­na­sci­ta e ne­gli spa­zi re­cu­pe­ra­ti, che cer­ca­no di sopravvive­re al de­cli­no inar­re­sta­bi­le di una Pa­ler­mo che non si indi­gna più da trop­po tem­po. Quel­la di ie­ri, umi­lia­ta dal­l’in­dif­fe­ren­za ed im­po­ve­ri­ta cul­tu­ral­men­te. E quel­la di og­gi, an­co­ra assopi­ta.La nor­ma­li­tà di­vie­ne ri­to quo­ti­dia­no. Tut­to ta­ce. Un si­len­zio an­co­ra più for­te e lan­ci­nan­te che, nel po­me­rig­gio di qual­che mese fa, men­tre pas­seg­gia­vo ai Quat­tro Can­ti, è di­ve­nu­to ve­ro buio. 
La Fon­ta­na del­la Ver­go­gna di Pa­ler­mo, luo­go e sim­bo­lo più al­to del­la sto­ria del­la no­stra cit­tà, aveva de­ci­so di non zam­pil­la­re più, fa­cen­do sen­ti­re for­te la sua vo­ce di do­lo­re. Uno scio­pe­ro silenzio­so. Una pro­te­sta per af­fer­ma­re quel di­rit­to di le­sa mae­stà, do­po tan­ti se­co­li di ono­ra­to servi­zio.Le sta­tue raf­fi­gu­ra­ti gli dei del­l’O­lim­po do­mi­na­va­no il mio sguar­do, co­me se vo­les­se­ro par­lar­mi. Loro da sem­pre spet­ta­to­ri di pri­ma fi­la e ades­so, in­ve­ce, sem­pli­ci cu­sto­di di log­gio­ne. Ho pen­sa­to che il mio era sol­tan­to un brut­to so­gno. Di quel­li che non vor­re­sti mai fa­re.
Poi so­no ri­tor­na­to sui miei pas­si ma la fon­ta­na era sem­pre “spen­ta”, co­me sen­z’a­ni­ma, e co­sì è ri­ma­sta fi­no a qual­che gior­no fa, quan­do l’ho ri­vista am­pil­la­re. Pen­san­do­ci be­ne, ma che im­por­ta mi so­no det­to. In fon­do par­lia­mo so­lo di quat­tro zam­pil­li e di uno “scio­pe­ro” co­me tan­ti. E poi non di­cia­mo­lo in gi­ro, chis­sà che le al­tre fon­ta­ne pos­sa­no se­guir­ne il cat­ti­vo esem­pio.