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Punti di vista

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Berlusconi si fa da parte? Nemmeno per idea. Tira dritto e non se ne cura. Lo show al Quirinale del leader di Forza Italia è stato il primo passo. In una visita a Termoli l’ex Cavaliere risponde a Luigi Di Maio e a Matteo Salvini: altro che farsi da parte…

“Nessuno può dire a me cosa devo o non devo fare. Non c’è nessuno che possa dire: tu sì e tu no. Queste non sono cose accettabili“, dice l’ex premier. Poi il solito attacco ai 5 Stelle: “Se Di Maio si illude di rompere un rapporto di lealtà reciproca e di condivisione di valori che va avanti da vent’anni, nel centrodestra, non solo si fa delle illusioni, ma pecca di arroganza e di inesperienza. E dimostra di non conoscere nemmeno l’Abc della democrazia”.

Intanto in rete impazzano i meme dopo le consultazioni e persino Vittorio Feltri, direttore di Libero, vicino all’ex presidente del Milan, lo ha risparmiato: “Berlusconi si è reso ridicolo, come ormai gli succede spesso (…) Berlusconi è un politico terminale destinato alla marginalizzazione. Dispiace dirlo, ma è così. Non ne azzecca una neanche per caso. E in futuro avremo la conferma che dopo il tramonto arriverà la notte fonda”, scrive il direttore. Giudizio impietoso, come quelli apparsi in rete…

Basta girare per le strade della nostra città per rendersi conto che Palermo non è più, se mai lo è stata, una città normale. Le immagini dei cassonetti stracolmi di immondizia non possono più essere accettate. Una violenza inaudita che non può essere giustificata da pseudo colpe attribuibili soltanto ad una “macchina guasta” che, tra le altre cose, non essendo dotata di intelligenza artificiale non può neanche difendersi. Deve solo vedersi addossate tali colpe per aver spezzato i suoi ingranaggi e quindi il suo ciclo di lavoro. Perchè tutti sappiamo che il problema non è quello.

Troppo semplice, troppo facile rispetto ai cittadini che puntualmente pagano la tanta “odiata” tari e che si vedono derisi e violentati  da questo spettacolo, ogni giorno, mentre vanno a lavorare o per fare altro. E ancora più triste vedere i turisti immortalare lo scempio di quegli scatti, da conservare e mostrare come “trofeo” da grande caccia.

In tutto questo sia sui social che sul web i commenti sono impietosi. Una rappresentazione da commedia dell’arte, una farsa scenica che diventa ancora più farsa quando parallelamente, come in un passaggio ad un altro mondo o ad un’altra dimensione attraverso un immaginario “stargate”, Palermo all’improvviso diviene capitale italiana della cultura. E’ come se volessimo parlare ad un convegno del pensiero di Kant e invitassimo Lapo Elkann come moderatore (mi scuso con Lapo, ma penso che anche lui ne converrebbe).

Ma quello che sentiamo e vediamo di più, oltre alla triste fotografia che impressiona il nostro sguardo, è il silenzio del nostro sindaco, perchè ricordiamoci che Orlando piaccia o non piaccia è il sindaco di tutti. E’ il papà di Palermo che ama questa città, come ha sempre dichiarato.

Quindi vorremmo che da questo suo letargo si svegliasse in fretta. Non basta qualche dichiarazione o qualche atto firmato dalla Rap. Questa volta il professore deve andare oltre, anche se al suo ultimo mandato. E fare quello che deve essere fatto, magari chiedere lo stato di calamità nazionale. Perchè, come in un evento naturale, anche se questo non lo è, le carte da giocare sono poche. E l’effetto domino è sempre dietro l’angolo.

La nostra sarà pur sempre una provocazione, ma meglio essere ricordato per aver tentato con una fiche di prendere il piatto, che fare cip e passare la mano. Alla fine si perde sempre.

 

 

 

I soldi non hanno odore come recitava una famosa citazione latina: “pecunia non olet”. E il potere ne segue sempre la stessa sorte: quando ne senti il vento non ne puoi fare più a meno.

Una brezza che i cinquestelle prima disprezzavano in ogni forma. Erano i giorni dei vaffa, delle dichiarazioni forti. Un movimento che professava, senza se e senza ma, di essere orgogliosamente diverso: fuori dal sistema e contro il sistema. Ma quando sei dentro la politica, nei palazzi e nei meccanismi che governano quel pianeta la catarsi è ad un passo.

Ed è proprio in quel momento che diventi “democristiano”, rievocando quel lessico da politici in doppio petto di un tempo, ed entrando in quella casta che avevi sempre rinnegato.

“Salvini è uno che quando dice una cosa poi la mantiene e questa è una cosa rara”. Non sono parole pronunciate da Berlusconi, che già potrebbero far discutere all’indomani dello scacco leghista in salsa berniniana. Ma da Beppe Grillo che, davanti alle telecamere della Rai, ha lanciato oggi un chiaro messaggio al capo della Lega.

E continuando nel suo istrionismo, da deformazione professionale, parla di Roberto Fico “come persona straordinaria” e di Luigi Di Maio, come uno “statista”. Preludio di un accordo politico per il governo del paese già ratificato con Salvini e con il benestare di Casaleggio? Chissà!

Dimenticavo Mattarella! Al Presidente magari farebbe comodo aver levate le castagne dal fuoco, accelerando il processo per la formazione del governo. Ma ciò che sarebbe interessante è ascoltare i militanti grillini e quelli leghisti per capire se questo “matrimonio s’ha da fare”. Tanto per sapere se dobbiamo morire “democristiani” o ritornare a sentire i vaffa che tanto ci piacevano e, forse, anche quelli per cui Grillo & co sono imbattibili.

 

 

Ancora una volta Papa Francesco utilizza il linguaggio diretto del “verbo”. Quello che accarezza ma al contempo “schiaffeggia”. Il Pontefice ritorna sul tema dell’avidità denaro, che sostiene essere “alla radice di tutti i mali dell’Umanità”, riprendendo le parole dell’apostolo Paolo.

Non è la prima volta che Francesco esterna il suo pensiero e lo porta su ogni strada del pianeta. Quasi un appello a riflettere su come l’uomo continui nella ricerca spasmodica di ricchezza. Già aveva parlato di “idolatria” del denaro che distrugge le famiglie: “un atteggiamento chiamato cupidigia”.  E come non ricordare il “nostro Biagio Conte” che, per diversi giorni, ha fatto sentire la sua voce di protesta contro la povertà, dormendo all’addiaccio.

La ricerca della povertà ricordando che “Gesù Cristo, che era ‘ricco’, si è fatto povero per arricchire noi. Quella è la strada di Dio: l’umiltà, l’abbassarsi per servire. Invece, potere e soldi ti portano per la strada contraria: tu, che sei un povero uomo, ti fai Dio per la vanità”.

Ovviamente il riferimento è anche alla politica che governa il pianeta. E tra le sue parole il riferimento alla giustizia sociale rimane una delle grandi tematiche che hanno contraddistinto, sin dall’inizio, il suo mandato papale. Lui che è stato definito il Papa “comunista”, erroneamente, dà all’uomo la speranza di poter recuperare la sua identità in un mondo malato e assuefatto.

E non possiamo pensare che l’essersi tuffato nel mare “inquinato” dell’indifferenza, sia solo l’ennesimo anatema. Non vogliamo tirarlo per la “giacchetta”, ma a meno di un mese dall’appuntamento elettorale in Italia, le sue parole suonano come una campana che certamente vuole farsi sentire con il suo fragore e la forza del suo suono.

L’eco si sente, ma quello che temiamo è che possa rimanere tale e disperdersi. Ma come banalmente si dice: “la speranza è sempre l’ultima a morire”.

 

 

E’ un filantropo miliardario con un  patrimonio di oltre 25 miliardi di dollari. Si chiama George Soros, 87 anni, nato a Budapest ma naturalizzato americano. La sua ultima “profezia”: la fine di Google e Facebook tra qualche anno. Sostenitore del partito democratico Usa, che ha anche finanziato, e fondatore della Quantum Group, una società costituita nel 1969, che speculava nel settore immobiliare. Oggi è Presidente della Soros Fund. Un personaggio da molti definito “controverso”, con diversi legami nel mondo della finanza e della politica. Impegnato nelle cause politiche progressiste e liberali americane.

“I proprietari di queste piattaforme si considerano come i padroni dell’universo, ma infatti rimangono schiavi se vogliono mantenere la loro posizione dominante. Posso affermare tranquillamente che i loro giorni sono contati. Normative e tasse saranno il loro colpo di grazia”. Soros non è nuovo a questo tipo di affermazioni. Quello che paventa è che “sia Google che Facebook sono due minacce e per arginarle servono strumenti ad hoc”.

E dei due colossi del web dice ancora:”Affermano che distribuiscono solamente informazioni. Ma in realtà sono quasi distributori monopolisti e, questo, li rende servizi pubblici. Dovrebbero pertanto essere soggetti a regolamentazioni mirate a preservare la competizione, l’innovazione e un accesso universale, leale ed aperto”. Quindi per Soros queste piattaforme non fanno altro che “progettare deliberatamente la dipendenza ai servizi che forniscono”.

E, infine, dice di facebook che “sono serviti 8 anni e mezzo per raggiungere il primo miliardo di utenti, e poi in metà di quel tempo il secondo miliardo. Con questa velocità questo social esaurirà i nuovi utenti da convertire in meno di tre anni e, soprattutto, il fatturato da aumentare”.

Una visione ovviamente discutibile ma che pone degli interrogativi, proprio quando parla di “possibili alleanze fra Stati autoritari e questi monopoli pieni di dati,  uniti ai sistemi di controllo con quelli già esistenti di sorveglianza nazionale. Questo potrebbe creare una rete di controllo totalitario sullo stile di Huxley e Orwell”. 

Insomma, la teorizzazione del progetto di un “Grande Fratello” che controllerebbe tutto e tutti. Sicuramente la riflessione è d’obbligo in un mondo come il nostro globalizzato e in gran parte connesso a internet.

 

di Gaetano Càfici. Dietro ogni operazione elettorale c’è sempre una regia, occulta o meno. E’ quella che traccia i confini e scrive le note per poi dare il “La” alla sinfonia. Sappiamo bene come la Sicilia, da sempre etichettata “laboratorio politico nazionale”, sia sponda di approdi per governare il Paese. E sappiamo anche bene come il Senato, con l’elezione proporzionale dei suoi membri, è da sempre, nell’isola, ago della bilancia in quel puzzle farraginoso della legge elettorale, ma soprattutto per la stabilità del governo che si va a formare. Le difficoltà di Renzi, in un Pd lacerato, dove l’uomo di Rignano ha perso su tutti i fronti (vedi la madre di tutte le battaglie: il referendum costituzionale), impone a lui stesso di non forzare la mano, passando volentieri il cerino ad altri (l’operazione Orlando-Micari ne è la prova) per poi magari “scaricare”, a fine corsa, le responsabilità.

In tutto questo si intravede sempre il patto del nazareno (che include anche delle varianti), mai  morto e forse più vegeto di prima con l’obiettivo di depotenziare l’arsenale di “fuoco” dei grillini in Sicilia, da sempre favoriti in questo turno elettorale e consentire al centrodestra allargato di ripetere, ovviamente in altra forma, il 61 a 0 delle politiche del 2001.

Una manovra che consentirebbe a Renzi di poter aver, comunque, un interlocutore che non siano i grillini. E al di là dei sondaggi che stanno gravitando nella galassia politica siciliana, all’indomani dell’ufficializzazione dell’armata Musumeci, Miccichè, Armao, Lagalla, Romano, Fratelli d’Italia e Lega, il centrodestra appare favorito, forse perchè dà all’esterno la sensazione di compattezza.  A ciò si aggiunge ancora il silenzio di Alfano e le divisioni nel suo partito. E se sentendo odore di vittoria dei suoi “vecchi compagni” Angelino attuasse un “patto di desistenza?”. Ma la vera partita che si gioca in Sicilia è, comunque, quella del governo nazionale. Sì, perchè nel caso in cui il cdx dovesse vincere il 5 novembre, la presa di “Roma” (non della capitale ovviamente) per Grillo sarebbe molto più complicata. E Berlusconi potrebbe tenere in “ostaggio” Renzi, con l’obiettivo finale di essere lui a sbarrare la strada ai grillini ed incarnare nuovamente l’uomo della “provvidenza”. In politica mai dire mai, perchè a volte ci si azzecca!

di Gaetano Càfici. Faide interne, annunci di abbandoni da parte di esponenti del partito berlusconiano in Sicilia, ambizioni ad uno scranno all’Ars, (cinque anni di “ossigeno” poi non sono male per qualche politicante “pensionato”), continue dichiarazioni da Prima Repubblica, danno il senso di come la politica si sia ridotta ad un “parco” di auto usate. Verrebbe da rispolverare il refrain della canzone di Franco Battiato che parlando di un “centro di gravità permanente”, mandava un chiaro messaggio: “guardare il mondo esterno da osservatore senza emettere alcun giudizio”.

Il concetto ovviamente, con il dovuto rispetto per Battiato, non può essere paragonabile al cinico mondo della politica dove ragionamenti accurati e sofismi ricercati non possono essere utilizzati. Si tratterebbe altrimenti di “blasfemie”. In questo campo si gioca per spazi di potere e di sopravvivenza e non per parlare di filosofia applicata. Quella è una materia che appartiene ai grandi pensatori ed io, non me ne vogliano, di questi non ne vedo nel recinto delle candidature a Presidente della Regione. Sia chiaro la regola vale per tutti. Ma ritornando al centro di gravità permanente del centrodestra io lo trasformerei in centro “confusionale” di gravità permanente.

Sì, perchè il vero problema non è quello di fare la quadra o la squadra unita per vincere, come qualche esponente azzurro ripete insistentemente. Qui si vuole perdere, perchè vincere sarebbe una responsabilità. Governare una regione devastata, con un Pil (prodotto interno lordo) bruttissima parola, che fanno crescere o diminuire a loro piacimento come facevano con lo Spread, è un impresa da Supereroi.

Non si tratta di qualunquismo, ma direi piuttosto di tatticismo. Più facile giocare la partita dall’opposizione in una situazione “confusionale permanente”, lasciando ai Grillini il calice amaro da bere. In questo modo si potrebbe giocare su più tavoli, utilizzando il rosso e il nero della roulette politica siciliana. Un modo meno complicato, ma più sicuro per vincere.

di Gaetano Càfici. La politica ci ha sempre insegnato che nulla può essere scontato, soprattutto in tema di coerenza e di scelte. E poi se in ballo c’è il mantenimento della “seggiola” e del potere che ne deriva, la cultura dell’appartenenza, con improbabili valori annessi, diventa come il Santo Graal: un misterioso oggetto della leggenda. Valori per i quali non si guarda troppo per il sottile: cerniere di porte girevoli in cui il trasformismo applicato a scienza perfetta, non pone limiti alla decenza. Nessun “reato” ovviamente è raffigurabile in questa analisi. Ma soltanto una leggera brezza di “disgusto” che poi trova sempre l’alibi nella tempesta perfetta: giungere inesorabilmente all’obiettivo.

In questo Angelino Alfano è un abile stratega. Un disegnatore di tele che sa giocare e giocarsi la partita. Nel ginepraio infinito delle candidature, che affollano la cronaca e che ci danno il senso di un effetto domino, ogni nome è messo fuori come il gioco dell’Orso al Luna Park. Ricordate? Quello che veniva giù a colpi di pistola. Ovviamente a salve. Dell’ombra dell’ex delfino di Mr. B. che sarebbe ritornato in Forza Italia ne avevamo parlato. E quell’ombra adesso non è più tale. Direi una sagoma ben delineata al centro del dibattito politico.

Il suo avvicinamento al centrodestra, dopo il “tradimento” consumato nel talamo renziano, è stato studiato nei minimi dettagli. Da un lato per cercare di avere quella contrattualità con l’ex premier che negli ultimi tempi si era ridotta davvero a lumicino e dall’altra il tentativo di giocarsi la partita della regionali in prima persona e non certo con un Pd azzoppato e forse alleato ombra.

In fondo, l’avvocato agrigentino ha da sempre manifestato il desiderio di fare il Presidente della Regione siciliana. Un’opzione che, ad oggi, appare la più remota e impercorribile. Come si potrebbe riuscire ad unire anime politicamente così distanti? Una domanda che secondo un percorso logico appare assolutamente pertinente, ma che in politica diventa anomalia.  Ma sta proprio qui l’asso nella manica del fu yes man ed oggi ago della bilancia di un appuntamento elettorale che segnerà i futuri scenari nell’ambito delle elezioni nazionali del 2018.

Con i grillini favoriti, a sentire la vox populi, inghiottire il calice amaro di una candidatura come quella di Angelino sarebbe davvero dura, anzi da fantapolitica. Ma consentirebbe però al patto del Nazareno (mai morto) di sopravvivere, evitando a Grillo la scalata a Montecitorio. Perchè se da un lato Berlusconi ha la necessità di tutelare le sue aziende, Matteo Renzi non può permettersi di uscire dalla scena politica se non prima di avere risolto qualche problemuccio familiare. In questo quadro l’ombra di Angelino, diventata poi sagoma, si muterebbe in un perfetto accordo bipartisan. Modello: geometrie variabili. E Grillo sarebbe fuori dai giochi.

di Gaetano Càfici. La nuova legge elettorale che verrà partorita dal sempre eterno patto del Nazareno tra Berlusconi e Renzi, segna inesorabilmente la fine della legislatura. Modello tedesco con sistema proporzionale puro e sbarramento al 5 per cento. Senza voler fare voli pindarici, all’indomani del voto sarà inevitabile un governo di coalizione tra Pd e Forza Italia che tenteranno di mettere fuori gioco l’armata grillina. Ma il dilemma è un altro. Che farà Angelino Alfano oggi l’unico ad avere manifestato pubblicamente il proprio dissenso per una legge che, nei fatti, lo vede fuori dai giochi?

Il 5 per cento non gli permetterebbe di rientrare in parlamento e nel dubbio amletico l’unica strada percorribile sarebbe quella di un ritorno alla “casa madre”, anche se lui nega questa possibilità.

Ma come si dice: anche Angelino tiene famiglia, non dimenticando però che  Forza Italia in Sicilia si è letta e si è sempre scritta Miccichè. Piaccia o non piaccia, ma la storia politica del partito di Berlusconi in Sicilia, è racchiusa proprio in quel 61 a zero. Correva l’anno 2001 e Miccichè l’ex bancario e poi venditore di Pubblitalia, per volontà di Marcello dell’Utri, fece il miracolo. Praticamente l’allora Casa delle Libertà vinse tutti i 61 collegi in Sicilia, facendo un “cappotto” epico al centrosinistra. Il credito di Miccichè divenne come un assegno in bianco, ma di quelli a zeri infiniti, e all’uomo di Arcore poteva chiedere anche l’impossibile. Fu incoronato Viceré e la pletora di cortigiani non gli fece mancare la propria “vicinanza”.

Lui, che aveva potere di vita e di morte su tutto e su tutti, ovviamente politicamente parlando, dispensò “gloria”al suo cerchio magico. Chi stava fuori era spacciato. Anni di “splendore”, ma anche sbagli da scuola serale. Primo fra tutti quello chiamato Diego Cammarata. “Il sindaco che vi stupirà” disse Miccichè, ma non fu così. E il secondo mandato permise all’Orlando furioso di ritornare sulla scena politica e vivere di “eredità”. Il passo fu breve e l’idillio tra “padre” e “figlio” si tramutò prima in indifferenza e poi in definitiva “separazione”, ma senza alimenti.

Intanto, in un altro luogo della nostra cara amata Sicilia, ad Agrigento tanto per essere chiari, stava nascendo un altro “astro” politico. Un giovane avvocato, uno “yesman”, perfetta icona e ritratto per un partito come Forza Italia. Poco carisma, ma sicuramente con doti genetiche che nulla avevano a che fare con il miccicheiano pensiero. La nota stonata forse il nome: Angelino, ma con un cognome sicuramente “pesante”. Elemento questo che lo accomunava a Miccichè. Alfano padre, antico notabile siciliano e Miccichè padre, un pezzo di storia del Banco di Sicilia.

La scalata alla vetta per Angelino è facile. L’errore per Miccichè è dietro l’angolo: presenta il futuro “dispensatore di perle di saggezza” al Cavaliere. Il “suicidio” è servito e da lì a breve Angelino entra nelle grazie di Berlusconi, defenestrando Miccichè. Ma come tutte le commedie alla Goldoni il finale è imprevedibile.

Angelino molla Berlusconi dato in caduta libera e fonda un partito che somiglia più ad un sigla di un farmaco (Ncd per l’esattezza) e con numeri da prefisso telefonico per buttarsi poi tra le braccia di Renzi, riuscendo così ad ottenere scorte di ossigeno fino al 2018 e un posto a sedere di Ministro. Ma non basta. Trasforma Ncd e lo fa diventare Alternativa popolare nel tentativo di creare un contenitore centrista con la sponda di Casini. Oggi però, la variabile imprevista di possibili elezioni anticipate e di una legge contrapersonam (partitini compresi), cambia lo scenario. E come in una macchina del tempo l’ombra di Angelino riappare all’improvviso dalle parti di Forza Italia.

Ma anche adesso è Miccichè a guidare Forza Italia in Sicilia dopo la gestione non proprio “esaltante” del catanese Gibiino. E quindi per la sua sopravvivenza Angelino dovrà interpretare il ruolo di figliol prodigo e venire a “miti consigli” con lo stesso Micichè  o tentare, in extremis, di incassare da Renzi un’improbabile ricompensa per un’improbabile candidatura nel Pd. Per lui si tratta vita o di morte o politicamente sarà spacciato.

 

 

di Gaetano Càfici. Le parole di Manfredi Borsellino, figlio di Paolo il magistrato trucidato dalla mafia e fratello di Lucia, ex assessore del governo Crocetta sono dure come le pietre, di quelle che non si potranno dimenticare facilmente. Il luogo dell’esternazione è il simbolo della legalità e la presenza del Capo dello Stato diviene la cornice dove questo sfogo si riempie di significato.
“Non intervengo per mio padre, ma per mia sorella Lucia. Mia sorella non può parlare, non vuole parlare adesso. Io intervengo perché non credevo che la figlia più grande di mio padre, la sua primogenita, la figlia con cui lui viveva in simbiosi, con cui dialogava solo con lo sguardo, dopo 23 anni dalla morte del padre dovesse vivere un calvario simile a quello che lui ha vissuto, nella stessa terra che lo ha elevato, suo malgrado, ad eroe”.
Un cesello di parole incastonate nel silenzio di quell’Aula. Una vera lezione di moralità da un uomo che da commissario della stazione di polizia di Cefalù, si mette in turno per lavorare nel giorno dell’eccidio del padre, come miglior tributo per ricordalo.
Nei giorni scorsi aveva lanciato un monito chiaro nei confronti dell’antimafia di facciata “che sa fare solo passerelle”. “Sono stato educato da mio padre all’etica del lavoro, alla concretezza e al rifiuto delle passerelle”.
Ma nella realtà la questione è molto più complessa di quanto non appaia. E l’intercettazione vera o presunta è soltanto una leva. Lo scontro “fratricida” all’interno del Pd e gli alibi e non alibi, abilmente costruiti, stanno tutti all’interno del vaso di Pandora! Comunque a perdere è sempre la politica e per fortuna a vincere, invece, è lo Stato. Forse un paradosso, ma è così!
Quello Stato che Manfredi Borsellino rappresenta come servitore e non solo per essere figlio di suo padre. Le ultime parole che ho sentito pronunciare da Crocetta riferite a Lucia Borsellino sono l’epilogo, perle di “saggezza” di un uomo sul precipizio: “La sua sofferenza e il suo calvario sono anche i miei”. Come dire che in tutto questo lui è vittima e i carnefici sono altri.
Io mi sarei aspettato per prima cosa le sue scuse a Lucia Borsellino, poi a tutti i siciliani onesti e anche all’estensore del pezzo incriminato, il mio collega Piero Messina (non è una difesa di ufficio) che ha fatto solo il suo mestiere di cronista. E per me ciò ha un valore etico imprescindibile! Poi alla fine scrivere le quattro righe di dimissioni ed abbandonare definitivamente la politica.
Ma chiedere ad un “falso rivoluzionario” di trasformarsi in un grande condottiere è come sperare di inoculare il “virus” della pietà ad un jadista. Quindi, finché l’etica della “seggiola” prevarrà su tutto, la politica sarà sempre destinata a perdere.