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Punti di vista

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Doveva essere un “cambio merce”, un baratto quello che Luigi Di Maio, candidato premier per i cinquestelle ha di fatto proposto a Giorgia Meloni. E postando un video su twitter la leader di Fratelli d’Italia, ha detto: “Di Maio è venuto a chiedere il sostegno alla premiership M5S in cambio dell’ingresso di FDI nel governo M5S-Lega. Di fronte al mio NO ha detto che avrebbe messo il veto su FDI perché troppo di destra. in quello che tutti già chiamano governo giallo-verde non ci sarà il TRICOLORE!“. Ma arriva la smentita di Di Maio che parla solo di “un incontro nel quale abbiamo parlato di tante cose, ma non ho chiesto alcun sostegno”. E la polemica è bella e servita.

 

Questi non sono altro che  dei “Mandrake” della politica. Hanno fatto promesse da far tremare i polsi, voglio vedere come se la caveranno con la flat tax, con la Fornero, con l’immigrazione, con il reddito di cittadinanza e con tutti gli impegni che hanno preso”. Con un post su FB, Davide Faraone, uomo di punta del Pd siciliano e renziano di ferro prende una posizione netta sull’accordo di governo Salvini-Di Maio.

“Il governo che nascerà, sarà un governo lontano anni luce da noi. Si è aperta questa discussione sulla “felicità” del Pd – ricordate la canzone di Albano e Romina? – per la sua scelta di stare all’opposizione che è assurda. Nessuna felicità, chi si candida alle elezioni lo fa per vincere, soprattutto se è stato al governo. Certo, siamo un “partito governo”, ma è cosa assai diversa dall’essere un “partito sempre al governo”. 

E continua la sua analisi critica sul risultato elettorale. “Gli elettori hanno premiato il M5S e la Lega, purtroppo dico io, ma gli elettori questo hanno deciso e quella volontà va rispettata. Perché quando gli italiani ti mandano all’opposizione, devi accettare questo ruolo e svolgerlo con serietà e determinazione. Nel merito ma senza sconti, soprattutto quando pensi che un governo degli irresponsabili possa fare danno all’Italia e agli italiani”.

Intanto dal versante interno della minoranza del partito democratico, interviene Antonio Rubino dei partigianidem: “Mentre Faraone studia mitologia e ara campi, io mi auguro che il 19 maggio il pd imbocchi la strada giusta per tornare ad essere punto di riferimento dei riformisti di questo Paese a cominciare dai tanti elettori che hanno dato fiducia ai grillini e che oggi si ritrovano al governo con Salvini”.

Per quella data, infatti, si svolgerà l’assemblea nazionale del Pd e, con molta probabilità Renzi annuncerà, come ha già fatto a ‘Di martedì’ su La7, la candidatura di Gentiloni a premier, sempre che il governo nascente non serri le fila e chiuda il cerchio, facendo decadere il già improbabile ritorno, a breve, alle urne.

 

 

Poveri, sì. Mafiosi e ignoranti, no. Michaela Biancofiore, la parlamentare bolzanina (ma di origini meridionali) di Forza Italia “sputtanata” per le sue parole a L’Aria che tira, su La 7 (“le elezioni in estate favorirebbero il Movimento 5 stelle, che ha fatto il pieno di voti al Sud, dove sono troppo poveri per andare in vacanza e potrebbero andare alle urne anche col solleone”, il senso delle sue parole), paladina degli italiani del Sud? Sembra di sì e per dimostrarlo, la bionda forzista ha postato un divertente video di uno scontro, in una trasmissione de La 7 condotta da Cristina Parodi, con l’inglese John Peter Sloane che definì gli abitanti di alcune regioni meridionali “meno istruiti” rispetto a quelli del nord. Altri tempi, era il 2012. Quanto era infervorata la Biancofiore nel difendere noi del sud: “Ma come si permette a definire siciliani e lucani mafiosi e ignoranti?” Urlava al perfido britannico famoso per i suoi corsi di inglese e l’accento alla Stanlio e Ollio.

Mafiosi, no. E nemmeno ignoranti. Poveri sì. E mica lo dice lei, la Biancofiore. No, lo dice l’Istat. In un report del 30 ottobre del 2017 sui flussi turistici del 2016. Che, però, tutto dice, tranne che i meridionali non vadano in vacanza perché senza i soldi necessari. Biancofiore pataccara, quindi? No, almeno secondo lei, il pataccaro è il grillino Sibilia che ha diffuso sui social il video della forzista che insiste: “Come abbiamo potuto osservare tutti il 4 marzo, il Movimento ha vinto al Sud piuttosto che al Nord perché ha saputo fare propaganda col reddito di cittadinanza facendo leva proprio sulla povertà e sulla mancanza di lavoro, ingenerando speranza . E’ vero che i residenti, spesso, avendo a loro disposizione luoghi unici e mare caraibico, spendono le vacanze nei luoghi dove vivono tutto l’anno piuttosto che andare altrove ma è altrettanto vero, dati ISTAT alla mano che la povertà al Sud impedisce spesso gli spostamenti turistici . Va da se che è più facile per chi è stanziale e -più probabile , recarsi alle urne rispetto agli italiani residenti al Nord .
Mi preme ricordare a tutti che i miei genitori sono nati in Puglia, per poi emigrare al Nord per motivi di lavoro e per un futuro migliore come migliaia di meridionali. Purtroppo da sempre il Sud riversa in condizioni di povertà rispetto al Nord, motivo per il quale tutte le forze politiche dovrebbero impegnarsi nella ricerca di una soluzione a questo momento di stallo istituzionale”.

Oggi non sappiamo ancora se Luigi di Maio e Matteo Salvini riusciranno a far quadrare il cerchio e a firmare il contratto che porterà alla nascita del prossimo governo. Ma l’esito positivo è più che probabile e avremo il primo governo a sei stelle, le cinque del movimento grillino più quella delle Alpi del simbolo della Lega. E sarà, se sarà, un fatto nuovo per la politica italiana. Certamente, non ratificherà la nascita di una Terza Repubblica, ma segnerà una svolta epocale: al centro di un patto di governo, non ci saranno le affinità ideologiche, le alchimie onomastiche, i richiami a ideali, ascendenze, leadership, ma il riferimento al fare, alle cose. Magari, per gli osservatori stranieri questa non sarà una novità.

Sarà inquietante l’intesa tra forze populiste, euroscettiche, non perfettamente o per nulla allineate rispetto al trend della politica delle capitali che “contano”. Ma a questi analisti di oltre confine, il richiamo alle cose da fare non susciterà particolare interesse. All’estero è normale, è la politica: trovare soluzioni ai problemi del paese, pragmaticamente, senza tante discussioni. Sono le ricette a dividere, non il pedigree. In Italia non è così. C’è ancora chi si affanna a definire il governo nascituro “di destra”, come se significasse ancora qualcosa, in questa epoca di democrazia digitale.

Ideologie, identità, tradizione, partecipazione, partiti, non contano più nulla, non portano più a niente e, soprattutto, non portano più voti. Contano i leader, i programmi, anzi, gli slogan: trovi un argomento forte, particolarmente sentito dalla gente; lo cavalchi, lo fai tuo, ti rendi riconoscibile su quello e vai avanti. Naturalmente, per il bene della collettività, del Paese. Ecco, Di Maio (o chi per lui) e Salvini questo lo hanno capito e, anche grazie alla forza dei numeri, lo stanno facendo fruttare, per far nascere un governo spurio, tra forze che, per loro natura, non hanno granché in comune, se non un certo dna “antisistema” che si declina comunque in modi e direzioni diversissime. Non chiamatelo incucio, no. Chiamatelo governo di contratto o “a sei stelle”.

Una sola cosa, nel caos generale, è certa: presto avremo i dettagli del governo targato 5Stelle-Lega, oppure di quello “neutro”e“di servizio” targato Mattarella. E dunque sapremo se le elezioni sono vicine o lontane.

Intanto già sappiamo che, comunque vada, sarà un pastrocchio. Perché da che mondo e mondo, persino nel Paese più bizantino dell’Occidente, i governi devono avere una maggioranza (o una minoranza, se destinati alla sfiducia o alla non sfiducia) chiara. E tutto si può dire sia del governo Di Maio-Salvini, sia del governo Mattarella, fuorché nascano
all’insegna chiarezza. Il governo “neutro” altro non è che un ministero tecnico alla Monti, benedetto dal Quirinale e chiamato a scelte squisitamente politiche (Iva, svuotacarceri, intercettazioni, nomine Rai e Cdp…).

Con la differenza, rispetto a Monti, che questo partirebbe già morto perché l’unico partito disposto a votarlo è il Pd, quello che giurava opposizione a tutto e tutti. Il governo 5Stelle-Lega, salvo chiarimenti dell’ultima ora, rischia di essere ancor più oscuro, perché poggia le fondamenta su un equivoco grosso come una casa: il ruolo di Berlusconi, delinquente naturale, pregiudicato ineleggibile e interdetto.

Il governo 5Stelle-Lega, salvo chiarimenti dell’ ultima ora, rischia di essere ancor più oscuro, perché poggia le fondamenta su un equivoco grosso come una casa: il ruolo di Berlusconi, delinquente naturale, pregiudicato ineleggibile e interdetto. Finora Di Maio aveva condizionato l’accordo con la Lega alla rottura del centrodestra, “coalizione finta”, cioè al divorzio tra Salvini e l’imbarazzante alleato. “Salvini scelga fra restaurazione e rivoluzione”, aveva detto, spiegando che “con Berlusconi non si potrà mai cambiare nulla”. Perfetto.

Senonché ieri il Caimano, sfoggiando il suo ultimo travestimento, ha fatto sapere che Salvini può fare il governo con i 5Stelle – che lui considera peggio di Hitler e manderebbe tutti a lavare i cessi di Mediaset – senza rompere la coalizione di centrodestra. Deciderà poi lui, dopo aver visto il premier e i ministri, cosa farà FI: se darà l’appoggio esterno astenendosi (“astensione critica”, anzi “benevola”: ahahahah) o non partecipando al voto, o addirittura voterà contro il governo dell’ alleato e passerà all’ opposizione (finta, visto che la coalizione resterebbe intatta con Salvini leader). Una pagliacciata mai vista neppure in Italia. Tipo quei bei matrimoni dove il marito autorizza la moglie a mettergli le corna, e magari si diverte pure a guardare da dietro la porta. E questa sarebbe solo la parte visibile dell’accordo.

Poi, come sempre quando c’è di mezzo B., c’è quella invisibile. Che è ancora peggio: oscena, nel vero senso della parola (fuori scena). Per scoprirla basta porsi una domanda: perché oggi B. autorizza Salvini a fare ciò che per oltre due mesi gli ha furiosamente proibito?

Delle due l’una. O solo perché ha paura del voto. O anche perché ha ottenuto quelle “garanzie” che ha sempre preteso dai governi non suoi per non scatenare la guerra termonucleare: favori a Mediaset e nessuna norma contro le quattro ragioni sociali della sua banda (corruzione, evasione fiscale, mafia e conflitto d’ interessi). E chi può avergliele date? Ovviamente Salvini che, con Di Maio, tratta per conto di tutto il centrodestra. E qui casca l’asino con tutta la foglia di fico: trattare con Salvini-e-basta è un conto, trattare con Salvini che tratta anche per conto di B. è tutt’altro.

Un governo M5S-Lega-e-basta, oltre alle tante controindicazioni (dalla xenofobia di Salvini&C. al passato ignobile di un partito appiattito da 18 anni sugli affari di B. alle proposte demenziali tipo flat tax), almeno un vantaggio ce l’avrebbe: l’estraneità del Carroccio salviniano (l’inciucione Giorgetti è già tutt’altra cosa) a molte delle mille lobby che bloccano l’Italia e che han sempre trovato protezione all’ombra di Pd&FI. Ma proprio qui sta il punto: Salvini ha le mani libere o no? L’ultima giravolta di B. fa sospettare di no. E un governo che nasce sul non detto è destinato a non fare. In ogni caso, se nascerà, lo capiremo subito.

Dal nome del premier, e soprattutto da quelli dei ministri della Giustizia e delle Telecomunicazioni. E dal testo del “contratto ” fra i due alleati: se recepirà le storiche battaglie del M5S contro i conflitti d’interessi, le concentrazioni televisive e pubblicitarie, la corruzione, la prescrizione e le mafie, e anche l’ottimo proposito annunciato da Salvini in campagna elettorale di “mandare in galera gli evasori”, sapremo che B. è davvero fuori gioco e ha subìto il governo M5S-Lega per il terrore del voto, senza contropartite.

Se invece avrà ministri forzisti travestiti da leghisti o da tecnici “di area”, più posti in prima fila nel nuovo Cda Rai e nel nuovo Csm, oltre alle commissioni di garanzia che gli spetterebbero come (finto) oppositore (Vigilanza Rai? Antimafia?), e se le leggi contro ogni malaffare che attendiamo invano da 25 anni sparissero dai radar, vorrà dire che B. non è affatto “esterno”: è più che mai interno, tipo cetriolo. Ma c’è anche una terza ipotesi: che Salvini e B. siano d’accordo a menare il can per l’aia, facendo partire il governo e poi rinviando alle calende greche le scelte scomode (per B.), contando sull’istinto di sopravvivenza dei parlamentari e rendendo vieppiù impopolare una rottura.

La cui colpa ricadrebbe sul M5S gabbato. Per la gioia del Pd renziano, che infatti ieri sprizzava gaudio da tutti i pori per un governo che lo lascerebbe solo all’opposizione a lucrare sugli auspicati litigi e pasticci di un governo tanto eterogeneo. Al momento, con tutte queste ambiguità, il governo M5S-Lega conviene a Lega, B. e Pd, ma non al M5S e – quel che più conta – neppure agli italiani. Starà all’abilità di Di Maio rinunciare a ruoli ministeriali e guidare il gruppo parlamentare per stanare Salvini, incalzare il governo sul contratto e staccargli la spina al primo cenno di tradimento o di logoramento. Peggio delle larghe intese ci sono soltanto le larghe fraintese.

 

(di Marco Travaglio, fonte “Il Fatto Quotidiano”)

“Continuo a pensare che abbiamo fatto bene a non cedere alle lusinghe dei grillini. Faranno il governo con la Lega? Auguri! A noi spetta il compito di fare l’opposizione”. Entra nel dibattito della formazione del nuovo governo, che ormai sembra cosa fatta tra la Lega e i cinquestelle, Antonio Rubino, esponente dei Partigianidem e ala di minoranza del partito democratico in Sicilia.

“Non capisco i tanti esponenti del mio partito che gridano allo scandalo sull’accordo Salvini-Di Maio dopo aver detto per mesi, giustamente, che tocca a loro. L’unico vero elemento di contraddizione emerge per il M5S, che ha legato le sue sorti al permesso di Berlusconi. In ogni caso adesso governino e noi lavoriamo a ricostruire il Pd ed una proposta politica per il Paese”.

Con un discorso drammatico, perché non ha nascosto nulla della gravità senza precedenti della crisi in corso, Mattarella ha annunciato un suo governo a partiti dimostratisi incapaci di farne uno loro. Un governo «neutrale», «di servizio», composto da persone non ricandidabili, con scadenza comunque a dicembre; perché un governo in ogni caso serve, anche se si vuole tornare alle urne, perfino se si vuole votare, per la prima volta nella storia della Repubblica, in piena  estate.

Il problema è che M5S e Lega, cioè più della metà del Parlamento, hanno già risposto che voteranno contro questo governo, negandogli dunque la possibilità di fare ciò che sta a cuore al Presidente, e in verità dovrebbe stare a cuore a tutti: arrivare a dicembre per fermare l’aumento dell’Iva, evitare il rischio di una speculazione sui mercati contro un Paese troppo a lungo senza guida, contare qualcosa quando a giugno in Europa si deciderà su questioni cruciali come i
migranti. Avendo finora impedito che nascesse un esecutivo politico, ora i partiti possono impedire anche che ne nasca uno non politico.

Il potere di dare la fiducia appartiene a loro, dunque anche la responsabilità. Il risultato è che, come mai dal 1948, il nostro sistema parlamentare non si è rivelato in grado di dare un esito al voto popolare. La legislatura sta morendo
prima di nascere. E niente ci assicura, vista la legge elettorale e i suoi risultati, che la prossima volta sarà diversa. I due «vincitori» del primo turno ovviamente ci sperano, e già definiscono questo secondo turno elettorale un ballottaggio.

Ma la storia è piena di democrazie azzoppate dal ripetersi di elezioni inutili: i cittadini votano per avere un governo, non per il gusto dell’agonismo. Soprattutto quando il torneo appare così smaccatamente condizionato dalle ambizioni
personali dei leader, dalla fretta che hanno di vincere per non essere disarcionati, o dalla speranza di tornare in pista pur avendo perso.

Così lo scontro politico di questi due mesi si è trasformato, inevitabilmente, in una grave tensione istituzionale. Tra i partiti ha prevalso il giochino del pop corn. È una metafora più volte usata in questa crisi. Ogni volta che qualcuno voleva sfuggire alle sue responsabilità, se ne usciva dicendo: «Ora ci compriamo i pop corn e ci divertiamo». Il che stava a dire: voglio proprio vedere come se la sbrogliano gli altri. O anche: tanto peggio, tanto meglio per me, che almeno mi diverto (sottinteso: conquisto altri voti). Si sono divertiti tutti, pare; e adesso vogliono che il pop corn lo compriamo noi elettori e ci sediamo ad assistere al più straordinario degli spettacoli politici mai visti: la seconda campagna elettorale in sei mesi.

Questa propensione al gioco del cerino non è purtroppo tipica solo del nostro sistema politico: in troppi campi gli
italiani preferiscono che perda pure l’avversario, se non possono vincere loro. Ma in politica si gioca con il bene comune. E nessuno tra i protagonisti di questa crisi è esente da colpe. Né chi avendo preso molti voti aveva la responsabilità di accettare i compromessi inevitabili a far nascere un governo di coalizione. Né chi, avendo preso meno voti, ha pensato solo a mettersi di traverso per dimostrare che gli elettori si erano sbagliati. La crisi si è così trasformata in un minuetto: ciascuno dei tre schieramenti maggiori mancava dei parlamentari necessari per fare un governo, ma nessuno dei tre è riuscito ad allearsi con un altro per ottenerli.

Lo scambio di accuse finali ha il solo scopo di prendere la posizione migliore per la griglia di partenza del nuovo gran premio elettorale. Così ora non ci resta che scoprire se si voterà a luglio, addirittura l’otto, la data che con una certa presunzione Di Maio e Salvini hanno ieri indicato a Mattarella, unico titolato in materia; oppure a fine luglio, visto che prima è difficile anche tecnicamente, quando cioè alcuni milioni di italiani saranno in meritate vacanze; o in autunno, come Berlusconi preferirebbe, distinguendosi in questo da Salvini. Fino a dicembre, come vorrebbe Mattarella, nelle  attuali condizioni non pare possibile arrivarci. Il suo invito alla responsabilità per il momento non è stato accolto. C’è ancora qualche ora per ripensarci. Ma la legge di Murphy dice che se una cosa può andare male, andrà male. E questa legislatura è finora andata così male da far disperare che si possa riprendere in articulo mortis.

(Antonio Polito, Corriere della Sera)

Mi piace sempre paragonare la nobile “arte” del tennis alla politica, ma ovviamente con i doverosi distinguo. Nel gioco della racchetta, infatti, esistono tante variabili: dal campo in erba a quello sintetico, dallo stile che ogni giocatore imprime personalizzando tecniche specifiche quali il rovescio, il pallonetto, il famoso servizio “Ace” (tanto per capirci quello che il giocatore mette a segno senza che l’altro abbia il tempo di rispondere).

Ma non voglio farvi una lezione di tennis. Quello che, invece, è assolutamente imprescindibile in questo sport, tranne casi eccezionali, è la disciplina che ne fa una competizione agonistica forse unica. Elemento quest’ultimo che sicuramente non appartiene alla politica e che può essere il primo distinguo. E allora direte, quale affinità possono esserci con il tennis? Una ci sta tutta ed quella dell’ultimo “servizio”, nell’ultimo set da giocare.

La politica gioca sempre la sua partita nell’ultimo “set” e come nel tennis, quando il giocatore crede di avere la palla del match, all’improvviso lo scenario cambia. E ritornando nei meandri della politica, oggi lo scenario, alla luce di un possibile ritorno alle urne, riapre di fatto quella “partita” che per molti, dalle parti di Montecitorio, credevano sepolta almeno per cinque anni.

Tornano quindi a respirare l’odore del manto erboso di un “campo da gioco”, i “trombati” eccellenti siciliani che dopo la sconfitta ultime elezioni nazionali, avevano sepolto il sogno di diventare onorevoli. Da Francesco Cascio, recordman di preferenze ai tempi d’oro di Forza Italia a Saverio Romano, democristiano e ex cuffariano doc, da Fabio Giambrone, fresco di tessera Pd e uomo fedele da sempre del sindaco Orlando a Antonello Antinoro ex assessore regionale e anch’egli democristiano di lungo corso. E anche il rais di voti all’Uditore, Giulio Tantillo, capogruppo del partito azzurro al Comune, che da uscente è stato battuto dal vento grillino.

Certo non sarà facile raccattare le palle da bordo campo, ma siamo certi che un’occasione così ghiotta non se la lasceranno scappare. Sempre che gli spazi non vengano presi da altri pretendenti. E allora sarà opportuno mettersi in “lista d’attesa”.

 

 

Parole durissime quelle di Antonio Ingroia, ex magistrato e leader della “Lista del popolo per la Costituzione” contro il servizio pubblico televisivo e l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano,  sul suo profilo facebook.

“GRAVE, GRAVISSIMA VERGOGNA”, quello che si consuma sulla televisione di Stato, ogni minuto che passa. Dopo avere nelle ultime 48 ore quasi ignorato una sentenza storica che ha condannato esponenti di spicco dello Stato italiano per avere trattato con la mafia sul sangue degli innocenti uccisi nella strategia stragista del ’92/’93, viene avviata una campagna di disinformazione e di autoassoluzione dello Stato da parte della TV di Stato”.  

“Il culmine si realizza questa sera su Rai1 nell’ora di massimo ascolto, quando Fazio consente all’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ‘responsabile’ degli ostacoli di fatto frapposti all’indagine, con il famigerato conflitto di attribuzioni contro la Procura di Palermo, di sproloquiare su una sentenza di cui neppure si conoscono le motivazioni, affermando che l’assoluzione di Mancino farebbe giustizia di accuse che ‘grossolanamente’ sarebbero state avanzate contro Mancino”.

“Così poco ‘grossolane’ e così fondate – continua Ingroia – da averne determinato il rinvio a giudizio. Si tratta, in ogni caso, di una gravissima e pesante interferenza, da parte del Presidente Emerito, sui giudici che devono scrivere ancora la motivazione delle ragioni dell’assoluzione, contro cui, verosimilmente, la Procura di Palermo farà appello”.

Un intervento che certamente alimenterà ancora di più le polemiche sulla sentenza, anche perchè lo stesso Ingroia ha chiesto l’intervento sia del Csm che dell’associazione nazionale della magistratura.

“Ma che c’azzecca…” direbbe il buon Antonio Di Pietro, la nomina di un varesotto alla guida della Lega in Sicilia? Una delle tante stranezze che la politica dei giorni nostri esce fuori dal cilindro. E’ vero che nella storia politica non è il primo caso, ma fa riflettere immaginare come un nordista, al nome Stefano Candiani, 47 anni, nato a Varese e senatore al secondo mandato, possa diventare commissario regionale della Lega in questa “buttanissimasicilia”. E’ come andare al polo nord partendo da Palermo in pieno caldo da scirocco, indossando maglietta, pantaloncini e ciabatte infradito. “Mission impossible” direi!

Certamente l’incarico che Salvini ha voluto e deciso è figlio della situazione del partito nell’isola. Causa di forza maggiore diremmo. Non dimentichiamo, infatti, che il segretario uscente della Lega siciliana, Angelo Attaguile assieme al neo deputato nazionale Alessandro Pagano sarebbero sotto inchiesta per voto di scambio. E il leader della Lega sembra proprio di non fidarsi di nessuno qui in Sicilia.

Compito arduo, dunque, per Candiani, mandato dalle nostre parti proprio per occuparsi delle elezioni amministrative del prossimo 10 giugno che si terranno nell’isola.  Matteo Salvini vuole, anche qui, incassare il vento favorevole del voto nazionale. E grandi città come Catania, Messina e Siracusa, saranno per la lega sicula un test importantissimo. Quindi, spassionatamente, consigliamo al leghista doc di fare un corso accelerato di linguaggio siculo, perchè è sempre meglio dialogare con qualche punto di vantaggio.