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Immagini, ma senza audio, di un video di quasi 2 minuti diffuso dal M5S e pubblicato dal sito dell‘agenzia Ansa, mostrano il vertice alla Camera tra Salvini e Di Maio. Siamo nella sala Siani di Montecitorio, che ha ospitato i lavori sul programma di questi 7 giorni. Come si vede dalla foto, Di Maio in camicia ma con la cravatta, al suo fianco il capo della comunicazione pentastellata, Rocco Casalino, e il braccio destro del leader, Vincenzo Spadafora. Dall’altro lato, sempre in camicia ma senza cravatta, Salvini e il suo vice Giancarlo Giorgetti, gli occhiali appoggiati tra le copie del contratto (quello datato ’16 marzo ore 19′) sparse sul tavolo.

Dovrebbe essere l’ultimo incontro tra ‘il Signor Luigi Di Maio’ e ‘il Signor Matteo Salvini’, come vengono definiti, nella prima pagina del ‘Contratto per il governo del cambiamento’. E poi, forse, la firma.

Tutto, comunque, sembra ancora in alto mare, anche se fonti dei cinquestelle parlano di “chiusura” degli accordi, mentre la Lega smentisce categoricamente la dichiarazione del M5S. Il testo, formato da 39 pagine, ha ancora dei buchi neri. Sono 10 i punti sui quali non c’è accordo. Tra cui il nome del presidente del Consiglio e della squadra di governo. Quindi per adesso niente firma e, soprattutto, niente governo. E la pazienza di Mattarella è messa a dura prova.

(foto Ansa)

 

 

Non si arresta l’ascesa della Lega che risulta essere l’unico partito post elezioni ad aver incrementato i propri consensi e compensa il calo dei due partiti della coalizione, quello di Berlusconi e della Meloni. Ma il dato rilevante è il superamento della quota del 40 per cento della coalizione di centrodestra che, se si votasse oggi, risulterebbe vincente. Brutte notizie per il centrosinistra che varrebbe invece la metà. E’ quanto emerge dal sondaggio Tecnè, commissionato per la trasmissione televisiva Matrix.

E come si legge dal grafico, oggi il partito di Salvini raccoglierebbe il 22,6 per cento (17,4% il risultato raggiunto alle ultime politiche. Una percentuale che lo farebbe balzare rispetto al partito democratico, che si troverebbe sotto la soglia del 18 per cento. Primo partito rimarrebbe, secondo la rilevazione, il M5S con il 32 per cento. Mentre Forza Italia scenderebbe al 12,9 per cento (alle politiche di marzo aveva ottenuto il 14 per cento).

E poi c’è anche il gradimento dei leader di coalizione con Di Maio “bocciato” con “4-“, anche se tra gli elettori dei cinquestelle viene apprezzato quanto Salvini. Per il leader del centrodestra, invece, un “8-“.

Infine, come si vede nel grafico che segue, viene analizzata l’opinione degli elettori espressa alle ultime politiche. Pochi sembrano aver cambiato idea. Infatti, il 79 per cento degli italiani, cioè 25,8 milioni di aventi diritto, confermerebbero la scelta fatta nell’urna il 4 marzo. Soltanto il 3 per cento avrebbe deciso di cambiare il proprio voto.

Una situazione, dunque, che presa con le dovute cautele (sempre di sondaggio si tratta), sposterebbe, inequivocabilmente, di più l’asse verso destra e non c’è dubbio che alletterebbe qualcuno che forse, per capitalizzare ancora di più il proprio consenso, sarebbe tentato come a monopoli di tornare al “via”, scegliendo magari la “casella” del voto.

E’ un fulmine a ciel sereno, quello caduto oggi nella tanto tormentata “trattativa” per il governo del Paese. Silvio Berlusconi ritorna in pista. Il tribunale di Milano ha cancellato gli effetti della legge Severino, quella sulla incandidabilità, annullando, di fatto, l’efficacia della condanna nell’ambito del processo sui diritti Mediaset nel 2013. Quindi se si dovesse ritornare alle urne Berlusconi potrebbe essere ricandidato alla Camera o al Senato.

Un evento che spariglierebbe la partita già complicata per il parto di un governo a trazione Lega-M5S. A questo punto Mr. B. potrebbe mettere i bastoni tra le ruote del carro giallo-verde, tentando come unwriter” di spruzzare un pò di vernice sul quadro al quale, in questi giorni, si è tentato di dare l’ultimo colpo di pennello.

E la sua frase, “spero non riescano”, poi subito smentita è il piccolo assaggio di ciò che ci aspetta nelle prossime ore. Quindi il match si riapre e Berlusconi inizia a tifare e gufare come direbbe Renzi, affinchè il matrimonio tra Salvini e Di Maio diventi subito divorzio.

“L’alleanza di centrodestra non si rompe. Posso semplicemente ripetere quello che vado dicendo da due mesi, lavorerò fino all’ultimo per dare un governo al Paese che risolva i problemi degli italiani. E siccome sono come San Tommaso finchè non tocco non credo. Io non vendo fumo, quindi lasciatemi lavorare. Datemi 24 ore e vi saprò dire qualcosa. Se non ci dovessero essere novità, l’unica strada è il ritorno al voto”. 

Con queste parole il leader della Lega, Matteo Salvini, ha sintetizzato davanti alle telecamere il suo pensiero, dopo aver avuto un incontro con Luigi Di Maio. Da quanto è emerso, l’accordo per il governo sarebbe già fatto.

 

La paura di possibili elezioni anticipate avrebbe portato Silvio Berlusconi a non osteggiare più un possibile patto di governo tra la Lega e il movimento cinquestelle. Sembra proprio che il vento sia cambiato a poche ore dalla decisione di Mattarella di formare il governo di “tregua”. Anche le parole di Di Maio fanno pensare che il lavoro dei “pontieri” sia stato proficuo, con l’obiettivo di chiudere la partita in tempi brevissimi.

Il designato premier grillino, come all’improvviso, sembra aver cambiato idea su Berlusconi, con un’affermazione che smentisce, di fatto,  quanto dichiarato da sempre: “Lui è il meno responsabile di questo stallo e non c’è alcun veto, la colpa è di altri”. E questi colpevoli avrebbero nomi e cognomi: Salvini, Renzi e Martina.

Tutto questo porterebbe ad un ragionamento semplice. Lo sdoganamento di Mr. B. da parte di Di Maio, consentirebbe un ammorbidimento dello stesso Berlusconi nei confronti dei grillini e, quindi, anche la possibilità di Forza Italia a votare un governo Lega-M5S. Il problema sarà, invece, sui temi che si affronteranno in parlamento ma anche qui l’escamotage è pronto: l’ex Cavaliere su alcuni provvedimenti potrebbe votare favorevolmente e su altri potrebbe astenersi o votare contro, non pregiudicando la tenuta della maggioranza.

A questo punto non resta che aspettare le 17 di oggi e vedere se Mattarella concederà ancora tempo o andrà dritto per lapropria strada, nominando il governo di “tregua”.

 

 

 

 

 

 

 

L’Italia verso un Governo “neutrale”, cioè un esecutivo tecnico per dirla papale papale. Lo ha annunciato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, riservandosi di anticipare i nomi che, però, sono stati svelati dal Corriere della Sera.

“Chi guiderà il «governo di servizio» evocato dal capo dello Stato (con una previsione di 12 ministri oltre il premier)
potrebbe avere infatti le settimane contate se — come d’altronde hanno annunciato molti leader politici — il nuovo
esecutivo non otterrà la fiducia in Parlamento e, dunque, avrà il fiato corto che si potrebbe esaurire del tutto già a luglio con le elezioni super anticipate. «Non è facile individuare i profili giusti anche perché si chiede di lasciare professioni e incarichi per un periodo indeterminato di tempo», è la frase che si è sentita ripetere per tutta la giornata delle consultazioni anche da fonti del Quirinale. Poi sono arrivati altri paletti piantati da Mattarella: «Ai componenti del governo di garanzia chiederò l’impegno di non candidarsi alle elezioni».

Aggiunge Dino Martirano che “Inoltre premier e ministri dell’«esecutivo di servizio» dovrebbero «dimettersi con immediatezza per lasciare campo libero a un governo politico laddove si formasse una maggioranza parlamentare». Così sulla scrivania del presidente sono passati in questi giorni molti curriculum: pochi burocrati di Stato, parecchi
profili di donne impegnate in vari settori, professionisti del mondo delle imprese e delle startup e anche nomi imprevedibili per un accademico di lungo corso come Mattarella.Tra i nomi che ritornano in questa caccia al civil servant c’è quello di Elisabetta Belloni, segretario generale della Farnesina con una lunghissima esperienza alle spalle, che non dovrebbe essere sgradita al mondo dei 5 Stelle anche se agli Esteri ha saputo resistere con nervi saldi pure dopo le molte nomine decise da Matteo Renzi e da Angelino Alfano: il nome della Belloni, dunque, potrebbe essere giocato dal Quirinale non solo per la casella degli Esteri ma anche per quella di Palazzo Chigi”.

” Altro profilo ricorrente  svela il CorSera – per la casella del premier è quello dell’economista Carlo Cottarelli, che dirige l’Osservatorio sui conti pubblici e che nel 2013 approdò in area di governo con Enrico Letta, come commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, per poi mollare quando arrivò Renzi. La giudice costituzionale
Marta Cartabia, nominata da Giorgio Napolitano nel 2011 e attuale numero due della Corte con la prospettiva di arrivare ai vertici della Consulta, è molto apprezzata dal presidente Mattarella che l’avrebbe incontrata anche di recente. Il suo mandato di nove anni scade nel 2020″.

“Nella rosa del totonomi per il governo del presidente rimane stabile quello del giudice Alessandro Pajno (presidente
in carica del Consiglio di Stato e vecchio conoscente di Sergio Mattarella) mentre guadagna posizioni l’economista
Lucrezia Reichlin, docente alla London Business School. E tra i profili delle personalità del mondo economico all’esame del Quirinale emerge anche quello dell’ex rettore dell’Università Bocconi Guido Tabellini. Ma l’elenco con i nomi dei possibili premier e dei possibili ministri si arricchisce anche di new entry. Il direttore generale della Banca d’Italia Salvatore Rossi (classe 1949) conosce alla perfezione il mondo delle banche tanto da poter sostituire il governatore
dell’Istituto di via Nazionale in caso di assenza o di impedimento. Dario Scannapieco, uno dei «Ciampi boys» oggi vicepresidente della Banca europea degli investimenti (Bei), arricchisce poi la lista del Quirinale per un governo che, ha ricordato Mattarella, «abbia titolo pieno per rappresentare l’Italia nelle imminenti e importanti scadenze nella Unione Europea». Entro due giorni il presidente Mattarella scoprirà le sue carte, che potrebbero comunque riservare sorprese”.

Non c’e ombra di dubbio che i risultati delle elezioni regionali in Molise e Friuli Venezia Giulia e lo stallo sul governo hanno influenzato l’orientamento del corpo elettorale. E dall’ultimo sondaggio di Nando Pagnoncelli, commissionato dal Corsera, questa indicazione emerge chiaramente.

La Lega che sale al 21 per cento, Salvini leader più gradito, il M5S che si conferma primo partito al 33,7 per cento e il partito democratico che scende ancora, perdendo l’1,2 per cento.

Pagnoncelli evidenzia come gli orientamenti del voto facciano segnare due variazioni di rilievo: crescita della Lega che passa dal 19,5% di due settimane fa al 21,2% (+1,7%) e calo del Pd dal 19,5% al 18,3% (-1,2%).

Al primo posto si conferma il M5S con il 33,7% (+0,2%), seguito da Lega e Pd, quindi Forza Italia con il 13,1% (+0,2%), Fratelli d’Italia (3,6%, in calo di 0,7%), Liberi e Uguali (2,8%) e Più Europa (2,2%).

Il quadro complessivo è rappresentativo del voto che gli italiani hanno espresso il 4 marzo scorso: il centrodestra è la prima coalizione e sfiora il 39% dei consensi, avvicinandosi alla soglia del 40% che potrebbe garantire la maggioranza, i pentastellati consolidano il loro primato, il centrosinistra arretra di 1,4%, mentre i partiti più piccoli perdono, forse penalizzati da una minore visibilità mediatica.

“L’indice di gradimento dei leader, dice Pagnoncelli spiegando il sondaggio fa registrare un cambiamento nelle posizioni del podio, infatti mentre in aprile Di Maio (indice 45) precedeva Salvini (43) e Gentiloni (41), oggi Salvini (44) prevale su Gentiloni (43) e Di Maio (37), scivolato al terzo posto con un calo di 8 punti. A seguire Fico (35, in calo di 4 punti), Meloni (29), Casellati (24, in crescita di 5 punti dopo la ribalta del mandato esplorativo), Berlusconi (23) e Martina (21). Chiudono la graduatoria Renzi (15) e Grasso (14), entrambi in flessione.

Non resta che aspettare i numeri reali, quelli delle urne, in considerazione che le elezioni anticipate prendono sempre più quota, assieme al ritorno di due dei temi cari a leghisti e grillini: quelli di no euro e no migranti. E non dimentichiamo sempre e, comunque, di non prendere troppo sul serio i sondaggi.

 

 

Nubi si addensano dalle parti del centrodestra in previsione dell’ultimo giro di consultazioni di Mattarella, previste per lunedì. Se dovesse esserci esito negativo, il presidente della Repubblica non potrebbe che dare vita ad un governo istituzionale o di scopo che più volte, sia Salvini che Di Maio, hanno considerato il male assoluto. Temono, infatti, che dietro tutto ciò ci siano le manovre di Renzi e Berlusconi per gestire una compagine governativa in accordo con l’Europa.

Tutto l’opposto di Lega e Cinquestelle che non hanno lesinato, anche in questi giorni, posizioni dure contro l’oligarchia di Merkel & co. Lo stesso Grillo ha ripetuto il “mantra” del referendum contro l’euro. Quindi il tempo stringe e questo fine settimana può essere decisivo. E Salvini sta proprio lavorando in queste ore per tentare l’ultima carta con i grillini: scrivere un programma politico a termine sul quale trovare l’intesa.

Operazione, comunque, difficile in considerazione che, come scrive oggi il Corriere della Sera, gli uomini di Salvini hanno paura che Berlusconi, da sempre contrario a elezioni anticipate, possa dire subito sì al cosiddetto governo di “tregua” e che Mattarella abbia già individuato una maggioranza disposta a sostenerlo, recuperando anche i cosiddetti “responsabili” e il gruppo Misto.

Questo, inevitabilmente, farebbe sgretolare il centrodestra. E sembra, sempre sulla base di quanto scrive il Corsera, che qualche leghista abbia già cominciato a chiamare quella del centrodestra “l’alleanza che non c’è” e che sarebbe pronto anche un “governo salvagente“, formato da Lega e Cinquestelle, sempre a scadenza. Il tempo è davvero scaduto. Quindi come dire: “ora o mai più”.

“Non  possiamo legittimare l’arroganza di chi pensa che essere primi alle elezioni significhi avere diritto a diventare tutto. Il mandato del Pd è rafforzare la democrazia italiana. E non possiamo neanche immaginare ad un governo politico guidato da Di Maio o Salvini sostenuto dal Pd”.

E’ il duro attacco di Antonio Rubino dei PartigianiDem, che entra a gamba tesa nel dibattito delle alleanze trasversali per la formazione del nuovo governo, attualmente in una fase di stallo. L’esponente dei partigiani del Pd ha preso questa posizione, nel corso del tour che sta svolgendo sul territorio dei circoli del partito democratico.

“Dobbiamo riflettere sul voto, che non fa dei cinquestelle parte della famiglia della sinistra – aggiunge Rubino – ma che ci pone il problema di recuperare ampie fasce sociali e in particolare il ceto medio impoverito del mezzogiorno. Nel fare questo dovremo riflettere sui nostri limiti, perché anche noi abbiamo spesso pensato e operato così, anche se con più rispetto dei nostri interlocutori e delle istituzioni”.

E conclude ribadendo la necessità di porre una seria riflessione “ma senza abiure, perché la sconfitta non sta solo nelle liste, ma anche nell’impressione che abbiamo dato di governare senza alcuna visione, soprattutto dopo la sconfitta referendaria”.

E’ di fatto un’apertura di accordo con i cinquestelle, quella che chiede il sindaco Leoluca Orlando, anche se nei mesi scorsi aveva parlato di “derive populiste” riferendosi proprio al M5s.

“L’Italia e gli italiani hanno necessità di avere un governo – dice Orlando -. Il Pd ha necessità di recuperare identità ed organizzazione, rafforzando il rapporto con i cittadini e con i territori e proseguendo in una azione politica di attenzione ai diritti di tutti e alle fasce deboli e ai mezzogiorni di Italia. Su queste premesse il Pd può certamente partecipare ad un confronto programmatico con il partito 5 stelle su alcune priorità utili al Paese. Ma se tale confronto dovesse registrare contrasti e divisioni tra gli attuali gruppi dirigenti, anche su un eventuale sostegno esterno e su precise scelte programmatiche, è preferibile evitare di compromettere ulteriormente la credibilità e la fiducia da parte degli aderenti e degli elettori”.

E conclude dicendo: “Ciò che sento è il dovere di esprimere un invito a tutti, proprio a i tutti i dirigenti nazionali, all’unità, superando ogni personalismo che costituisce un male che ha prodotto e rischia anche nel futuro di produrre danni al partito e agli interessi del nostro paese.”