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In un mondo globalizzato come il nostro, dove ormai gran parte di noi è connesso al web è facile cadere nella trappola degli hacker che, attraverso falsi messaggi, tentano di rubare la nostra identità.

E’ proprio il post pubblicato dalla Polizia Postale sulla pagina ufficiale Facebook, “Commissariato di PS On Line – Italia, a rilanciare il tema attualissimo delle frodi telematiche mediante il furto dei dati personali.

E l’associazione dello  “Sportello dei Diritti”, parla proprio del rischio che “hacker e truffatori telematici si insinuino nei nostri dispositivi. Come andiamo ripetendo da tempo ad essere particolarmente nel mirino di questi malintenzionati sono i conti correnti e i prodotti creditizi di Poste Italiane“.

Infatti, l’attacco ha una diffusione capillare in quanto, la platea dei residenti in Italia che ha un rapporto con Poste italiane è molto alta. Si tratta di anziani, giovanissimi o stranieri e quindi più vulnerabili. Gli strumenti del raggiro avviene attraverso la ricezione sulla propria mail o sul proprio dispositivo, che può essere smarthpone, tablet o pc, di un messaggio che invita a comunicare i propri dati o a cliccare su qualche link che riguarda la propria Postpay, il proprio conto BancoPosta o prodotti similari.

L’ultimo segnalato dalla Polizia Postale ha per impostazione grafica e loghi di Poste Italiane (l’immagine come sopra) e ci paventa l’ipotesi che il nostro account sia stato disattivato invitandoci a cliccare su un link. Si tratta dell’ennesimo tentativo di frode telematica come ci ricorda la Polizia Postale: “Anche se confezionata molto bene rimane sempre una truffa. Mai seguire i link suggeriti”.

“Il modo migliore per difendersi – spiega Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti, è quello di prestare sempre attenzione ad ogni messaggio che ci giunge, leggendolo attentamente e cestinarlo subito dopo aver verificato il contenuto truffaldino. È sufficiente, quindi, non cliccare sui link cui solitamente conducono, non rispondere alle richieste di dati personali o bancari o aprire gli allegati per evitare qualsiasi tipo di conseguenza pregiudizievole”.

Ricordiamo che Poste Italiane non utilizza mai queste modalità per le proprie procedure o attività. E nel caso siate, comunque, incappati nella frode oltre a segnalarlo alla Polizia Postale, potrete rivolgervi agli esperti dell’associazione “Sportello dei diritti”,  tramite i contatti mail: info@sportellodeidiritti.org o segnalazioni@sportellodeidiritti.org.

Quindi occhi aperti e soprattutto attenti a dove mettete le dita quando “navigate” sul web. Uno sbaglio potrebbe costarvi molto caro.

Il web ha mille sfaccettature e Antonio Gulisano, un giovane restauratore di Catania, ha capito che quello strumento poteva essere per lui vincente. E’ stato così che ha deciso di utilizzare internet e i social media per incrementare ancora di più il suo lavoro. Lui, appena trentaseienne, che da nove anni ha una bottega artigiana a Viagrande, un paesino alle pendici dell’Etna, dove scolpisce la pietra d’agata e con pennelli, spatole, bisturi, realizza e restaura pezzi di vero pregio artistico.

“Il web per me è stata una manna dal cielo, che mi ha permesso di raggiungere tantissime persone, sia italiane che straniere”Attraverso il suo sito arrivano gran parte dei lavori che realizza. “Si tratta di antiquari, ma talvolta mi chiamano anche sacerdoti per restauri all’interno di chiese e basiliche”.

Dopo la maturità scientifica, Antonio decide di iniziare un lungo percorso professionale avvicinandosi alle arti pratiche. Approfondisce la conoscenza del legno e della sua complessa lavorazione presso la Bottega dei fratelli Giuffrida, leader nel settore falegnameria, ebanisteria e restauro da  oltre 40 anni. Dopo 3 anni di attività, decide di dedicarsi esclusivamente alla conservazione e al restauro, approfondendo l’aspetto teorico che sta alla base del rispetto e della tutela delle opere d’arte. Poi si trasferisce a Firenze, dove per 3 anni frequenta un corso accademico presso il Centro Europeo del Restauro, con sede a “Villa della Petraia”.

“Ho cercato di specializzarmi in qualcosa di più artistico, puntando sulle opere lignee e sulla dorature. Così mi sono dedicato al restauro di opere d’arte e arredi d’epoca”. Oggi il lavoro di Antonio si divide tra la bottega di Viagrande e i cantieri di chiese, enti, gallerie.

“Un tempo le botteghe ospitavano il restauratore e il cliente solo in quell’ambiente. Con internet, invece, posso illustrare ciò che faccio direttamente e la visibilità di fatto non ha confini. E poi anche il cliente arriva molto più preparato, informato. Infatti la chiave per mettersi in competizione sulla rete è quella di specializzarsi”.

Almeno Antonio è riuscito a non fuggire dalla sua terra, riuscendo a utilizzare la tecnologia e far sì che il suo lavoro fosse conosciuto. E questo sicuramente è di buon auspicio per i tanti giovani che, invece, si vedono costretti a trovare fortuna altrove.

 

Abbiamo intervistato Alessandro Madron, classe 1978, giornalista de “Il Fatto Quotidiano” che su “FqMillennium”, il mensile diretto da Peter Gomez, racconta come si fa a vivere da invisibile, tra gli invisibili.

Un reportage giornalistico per le strade di Torino, nei luoghi dove i poveri senza casa vivono con dignità, nella speranza di non essere più ultimi. Alessandro, per una settimana, ha indossato i panni del cronista di strada e ha vissuto in prima persona questa esperienza durissima, con in tasca pochi euro, ma con il desiderio di portare alla luce uno spaccato sociale, drammaticamente attuale.

Una conversazione dalla quale traspare il pathos per le storie dei tanti “esclusi” con i quali ha dormito, parlato e condiviso quella vita che certamente non dimenticherà. Buona lettura.


Sei partito con soli 10 euro per provare a diventare invisibile tra gli invisibili. E poi che cosa è successo?

Per ovvie ragioni non posso anticipare molto. Quello che mi è successo è il cuore del mio reportage pubblicato su Fq Millennium. Diciamo che ho vissuto quello che migliaia di persone vivono quotidianamente: mi sono messo in fila per essere ammesso ai servizi comunali, ho mangiato alla mensa del Sacro cuore di Gesù, ho passato le notti in diversi dormitori comunali, ho provato (con scarso successo) a rimediare qualche spicciolo di elemosina, mi sono fatto venire le vesciche ai piedi alla ricerca (vana) di qualche lavoretto per iniziare a rimettermi in sesto. Il lavoro si è dimostrato essere il tasto più dolente: al Centro per l’impiego di Torino Nord mi hanno detto di presentarmi alle cinque e mezzo del mattino per provare a iscrivermi alle liste del collocamento, perché “c’è sempre molta coda”. Ho provato a rimediare un lavoretto, a stringere rapporti con le persone che ho incontrato… difficile riassumere tutto in poche battute: se vi ho incuriosito comprate Fq Millennium in edicola!

Perché la scelta di Torino, città dell’estremo nord e icona di una vita che, in qualche modo, poco dovrebbe avere a che fare con la povertà. E invece?

La scelta di Torino è nata un po’ per caso e un po’ per esigenza, ma si è rivelata una scelta fortunata. La nostra redazione si trova a Milano e non volevo fare questa esperienza in un luogo in cui potessi essere facilmente riconosciuto o dove potessi trovare facilmente riparo dai disagi della vita di strada (la tentazione di ripararmi in redazione sarebbe stata forte). Così la scelta è caduta su Torino, città che conosco, ma non troppo. Documentandomi ho poi scoperto che Torino è stata a lungo una città laboratorio in tema di servizi ai senza dimora e c’è un’ampia letteratura dedicata proprio alle politiche messe in atto in questa città.

Che il nord non abbia a che fare con la povertà è un falso mito. E’ vero che le città del nord Italia sono mediamente più ricche, me proprio per questo attraggono un maggior numero di persone in difficoltà che qui sperano di trovare maggiori occasioni. Secondo il censimento realizzato nel 2014 la città italiana che conta il maggior numero di senza dimora è Milano. Quindi il nord era il posto giusto dove tentare questa avventura.

I dati sul disagio sociale danno un quadro davvero desolante. Si parla di quasi 5 milioni di italiani che vivono nell’indigenza. La tua esperienza diretta è sicuramente un contributo per far conoscere questo dramma.

Certo, fortunatamente chi vive per strada è una piccola minoranza di questa enorme massa di indigenti (si parla più o meno di 50mila persone). I più poveri tra i poveri. Persone che non hanno i soldi per permettersi un affitto o non hanno maturato i requisiti per accedere alle case popolari. Spesso sono uomini di mezza età, costretti a rivolgersi a enti di carità, associazioni o servizi sociali per garantirsi una sopravvivenza. Sotto la punta di questo iceberg c’è un mondo sconfinato e multiforme. Una parte di questo mondo l’ho incontrato nelle mense, frequentate non solo da coloro che non hanno una dimora, ma anche da una schiera di poveri, uomini, donne, italiani o stranieri, che pur avendo un alloggio non hanno i soldi per fare la spesa.

Immagino che tantissime sono state le storie che hai ascoltato. Ci piacerebbe che ne raccontassi qualcuna.

Certo, anche se in strada vige un clima di diffidenza, è difficile entrare in confidenza con le persone. Molti hanno avuto vite di cui non vanno orgogliosi: dipendenze di varia natura, storie di carcerazione, preferiscono stare un passo indietro e non si concedono volentieri alla curiosità dell’ultimo arrivato. Non è mancato chi ha raccontato la sua esperienza personale. Un uomo sulla cinquantina mi ha raccontato di essere finito per strada dopo essersi “pippato seimila euro di coca in tre settimane”. Poi c’è chi si è giocato tutto, chi semplicemente non trova lavoro e si trova per strada dopo una crisi coniugale.

Un’ultima domanda che forse potrebbe sembrare anche banale. Ritornare alla vita “normale” dopo aver vissuto una vicenda così forte. Per farla breve. Quando vai a letto la sera quelle immagini…

Non è banale. Fin dal momento in cui ho preso il treno per il mio rientro a Milano sono stato assalito dai pensieri. In prima battuta sono arrivati i sensi di colpa. Fingendomi senza dimora ho tolto per qualche notte un letto a chi ne aveva realmente bisogno. Poi ho riflettuto molto sull’asprezza delle storie in cui mi sono imbattuto e sulla fortuna inconsapevole di una vita “normale”, così anche l’incombenza della rata del mutuo può diventare un sollievo.

foto i-design

di redazione. In una città annichilita da tutto e sostanzialmente spenta, dove il quotidiano è vissuto sempre con lo stesso ritmo, anche i progetti che apparentemente possono sembrare effimeri e di nicchia, danno invece un alito di speranza ai tanti giovani che si vogliono avvicinare al mondo del design.

“I-Design”, letteralmente “Io Progetto”, è un’iniziativa culturale, sociale ed economica curata da Daniela Brignone, giunta già alla terza edizione. Si articolerà a Palermo, dall’11 al 19 ottobre, e mira alla rinascita del settore del disegno industriale, offrendo l’opportunità, ai designer giovani e anche a quelli più noti, di mettere in scena la propria creatività.

Tanti i progetti in programma, molti dei quali realizzati con l’ausilio delle nuove tecnologie. Il design, dunque, sarà il filo conduttore di una manifestazione costruita secondo stili e campi d’interesse fra loro differenti: dal suono alla fotografia, dall’ecologico al tecnologico, dalla tradizione culinaria al moderno food design, dai complementi d’arredo agli accessori.

L’inaugurazione della manifestazione: sabato 11 ottobre, alle ore 18, con diverse mostre (è possibile visionare il programma completo e i luoghi degli eventi, collegandosi al sito www.idesignpalermo.com), mentre oggi mercoledì 8, alle 19, ci sarà un’anteprima alla Rinascente di via Roma, con l’installazione “Is white color” di Eliana Maria Lorena.

terminelli

di redazione. In una terra complicata come la nostra, che il grande Sciascia definiva “irredimibile” (nessuno potrebbe opinare diversamente) e dove la normalità può essere tranquillamente assimilabile al caos, dodici “talenti”, invece di fuggire via come dei migranti al contrario, diventano ‘network’.

Una squadra di incoscienti o di lucidi visionari che hanno visto la “luce?” Vi ricordate l’indimenticabile John Belushi nel film The Blues Brothers ?
In effetti, in un contesto economicamente degradato come il nostro e sul confine del baratro ci vuole molto coraggio a rimettersi in gioco. Parole forti le nostre, ma che corrispondono ai dati che giornalmente leggiamo: Pil in discesa, crollo dei consumi, produzione ferma, sistema di accesso al credito ingessato e quant’altro.

In questo quadro, che definire apocalittico è forse anche riduttivo, l’idea di un progetto di un gruppo di persone, assieme a realtà imprenditoriali locali, rivolto a iniziative di startup e servizi alle imprese, potrebbe sembrare al momento una “sana follia”, ma in fondo è anche una buona notizia. Anzi un’ottima notizia. Significa che la voglia di fare c’è e piangersi addosso, noi lo sosteniamo da sempre, non è il modo per affrontare quello che è diventato un eterno tormentone: la crisi !

Quindi il “Consorzio network dei talenti”, che ha preso il volo da qualche giorno e che aderisce all’Unicoop (Unione italiana cooperative), può essere, nell’ambito del settore cooperativistico, un valore aggiunto. Un progetto con il quale si mette in campo un sistema di reti umane, professionali e di idee innovative, per il futuro e lo sviluppo della Sicilia.
Dimenticavamo ! a capitanare questa nave di “matti” è Ninni Terminelli che, ovviamente, non ha bisogno di presentazione.

di redazione. Anziani fragili, persone diversamente abili, bambini complessi, stranieri emarginati e, più in generale, uomini e donne di diverse età e provenienza culturale, spesso lasciati ai margini della società. Ne sentiamo parlare in tv, sui giornali, o alla radio, ma sono come degli  “invisibili”. Di quelli che fanno notizia solo per qualche minuto e poi cadono giù nel dimenticatoio.
Un “libro” che si sfoglia velocemente e si ripone allo stesso modo sullo scaffale. Invece, basterebbe rimettere in gioco le vite di chi momentaneamente le ha perse o le cerca ancora, con l’avvio di un percorso educativo e di inclusione sociale.
Ed è proprio questo il senso del progetto Un’incantevole grande età”, nato grazie alla collaborazione fra la cooperativa sociale “Nuova Socialità Onlus”, l’associazione “Educazione al Benessere” e l’associazione culturale Néon di Catania.
Un’iniziativa, che è stata presentata nei giorni scorsi a Roma, anche per far conoscere nella capitale, l’impegno più che ventennale di Nèon a partire dal “Teatro delle diversità”, creato in Sicilia da Monica Felloni e Piero Ristagno.
Il progetto, inserito nell’ambito delle iniziative dell’Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni, ha visto la realizzazione di un laboratorio, di uno spettacolo teatrale e di un video-documentario, per testimoniare la condivisione e lo scambio di esperienze di vita tra diverse generazioni: esperienze che, nel desiderio dei suoi promotori, hanno come obiettivo una società fondata sulla dignità di ogni essere umano.
Un modo per far sì che quel “libro”, di cui parlavamo prima, possa rimane più a lungo aperto e non impolverato nello “scaffale” della nostra indifferenza.
(Per informazioni sull’attività di Nèon: (www.associazioneculturaleneon.it)