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Leoluca Orlando è un animale politico. Riesce sempre a cogliere l’attimo, quel “carpe diem” che gli ha permesso di essere perfettamente puntuale, come un metronomo, quello usato dai musicisti per misurare il tempo della musica, nell’evoluzione degli scenari politici. E’ una spanna sopra gli altri. Nessuno puo’ dimostrare il contrario. Il suo passaggio nel Pd assieme al suo fido Fabio Giambrone è un’opera d’arte che già da qualche tempo era diventata meno leggenda e più realtà. Mancava solo la cornice, ma è bastato brandire il “pericolo del populismo targato cinquestelle e la paura del ritorno del berlusconismo” e il gioco è stato bello e pronto.

Il sindaco della primavera di Palermo, fondatore del movimento politico la Rete, che scardinò il potere della Dc di Lima e Andreotti nel 1985, riuscendo a battere nel 1997 Gianfranco Miccichè, l’allora plenipotenziario di Berlusconi in Sicilia e poi sconfitto nel 2007 dal forzista Diego Cammarata, rivincendo nel 2012 e nel 2017 contro Fabrizio Ferrandelli, ha calato l’asso. Quello che tutti aspettavano.

La sua è una fine strategia di distrazione di massa, con un obiettivo chiaro, quanto semplice: trovare una via di fuga alla sindacatura per candidarsi nel 2019 alle elezioni europee. Troppi i problemi che il Comune di Palermo ha annotati nel suo libro e che difficilmente, passata la “sbornia” per la nomina a “Capitale italiana della cultura”, riuscirà ad affrontare e risolvere. Per non parlare della situazione finanziaria che non naviga in buone acque.

E poi, la dice tutta la dichiarazione in cui ha voluto puntualizzare: Resto convinto che il mio partito si chiama Palermo”. Forse come a tranquillizzare soprattutto consiglieri e assessori che lo sfratto ancora è lontano. Ma sarà veramente così? Di certo Orlando è riuscito a sorprendere anche questa volta, dimostrando che il mazziere è sempre lui e al tavolo verde del Pd la fiche sul numero, sia esso nero o rosso, sa dove metterla.

Adesso la roulette del partito democratico gira. Un partito che dopo aver gettato strali su Orlando, nel periodo in cui si doveva decidere l’alleanza per l’elezione a sindaco senza simboli di partito, adesso plaude all’ingresso nelle sue fila. Quasi come una boccata d’ossigeno per un partito lacerato che ha dovuto, anche questa volta, fare atto di sottomissione al professore. In fondo in politica i numeri sono numeri e Orlando in questo è bravissimo maestro e giocoliere.

di Gaetano Càfici. La notizia dell’ufficializzazione da parte del Rettore dell’Università di Palermo Fabrizio Micari, a candidarsi all’interno di un’alleanza espressione del centrosinistra (sicuramente monco di Sinistra italiana e Mdp), ma con una forte connotazione “civica” è, nei fatti, una “non notizia”. Negli ultimi mesi abbiamo assistito al solito balletto di nomi più o meno utilizzati come cavalli di troia. Di quelli che escono fuori come un jolly, ma con l’incognita di sempre: E’ veramente quella la carta da calare?

Sì perchè l’operazione Micari, e questo lo sappiamo tutti, nasce dall’ingegno, ma anche dal cinismo politico del professore Orlando che, cavalcando  il modello tanto sbandierato del civismo politico, che gli ha permesso la riconferma a sindaco di Palermo, riesce per la seconda volta a mettere ko il Pd. Di nuovo mazziere di un tavolo da gioco in cui il famoso jolly, sia esso nero o rosso, è quello che lui ha nella manica: “perchè solo con Micari il centrosinistra vince” (parole del primo cittadino che danno il senso di come l’asticella è sempre lui a tenerla).

Quindi, secondo il pensiero orlandiano, se perderete sarà per colpa di un jolly non giocato. E se la sceneggiatura appare chiara, meno chiara è la figura di Angelino Alfano che in questo copione rimane un’entità silente. Forse questa la vera notizia. Nessuna dichiarazione o messaggio “subliminale”. Una strategia che si lega al voler essere ago della bilancia, in uno scenario politicamente confuso e instabile, in modo da poter giocare, dunque, su più fronti. Perchè in fondo, non dimentichiamo che uno dei tanti desideri dell’ex delfino di mr. B. è sempre stato quello di poter esser il candidato presidente, come avevamo già analizzato su questo blog.

Intanto, oggi, Micari, si è incoronato candidato presidente “civico” del centrosinistra, precisando che lascerà il suo incarico di Rettore solo se eletto. Sapete di questi tempi non è facile essere “coraggiosi” (preciso nessun riferimento a Ferrandelli). Essere cauti è l’imperativo perchè a dimettersi c’è sempre tempo. E il jolly rimane sempre sul tavolo in attesa di essere giocato. Sarà quello da spendere su Micari o sarà un cip da poker? A breve lo sapremo.

 

 

Saro di Gela non molla la presa e continua nel tentativo disperato di resistere con ogni mezzo. Si sente accerchiato nella trincea di Palazzo D’Orleans. Vuole una resa onorevole, che in termini pratici si traduce in un posto al sole. Una sorta di esilio dorato per avere, in questi anni, portato la “croce” in una terra dove i dati, al di là della pura propaganda parlano chiaro. E enunciarli è anche un’offesa per tutti i siciliani. Basta guardarsi intorno per vedere come il de profundis del tessuto economico e sociale sia ormai inarrestabile. In fondo Crocetta mi ricorda molto Hiroo Onoda, il militare giapponese che dopo quasi 30 anni (era il 1974) dalla fine del secondo conflitto mondiale, venne recuperato nella giungla dell’isola di Lugang, convinto che la guerra non fosse mai finita.

E proprio, oggi, l’esternazione dell’uomo dei miracoli su Rainews24 riportata dal Corriere della Sera, in cui le manda a dire ai vertici del partito democratico.  “Lo statuto del Pd dice che un Presidente della Regione ha il diritto di candidarsi per un secondo mandato. Mi pare che scegliere di andare a primarie per definire il candidato è dunque una grande proposta di unità che io faccio al centrosinistra. Ma se non si faranno le primarie io non potrò non ricandidarmi. Lo devo alla mia storia, al rapporto che ho con i siciliani, al progetto di trasparenza che abbiamo portato avanti in questi anni, al lavoro fatto per evitare alla Sicilia il default. Hanno provato a mandarmi via più volte, con reiterate sfiducia, anche con intercettazioni false smentite da tutte le Procure siciliane. Se non ci saranno le primarie mi ricandido e a quel punto nessuno potrà dire che ho mancato di senso di responsabilità”.

Quindi al Pd basterà solo fare le primarie e trovare, attraverso l’ufficio di collocamento del partito, un collegio sicuro alle prossime nazionali del 2018 (se ci saranno i collegi). Niente di più semplice. Il problema è uno solo e forse anche un po’ complicato: individuare chi si immola per il post Crocetta. Ma in questo gli uomini del Pd sono sicuramente da premio Nobel.


La “partita” delle comunali a Palermo è appena iniziata. Potrebbe apparire come un paradosso, ma a tre mesi o poco più dall’appuntamento elettorale, che dovrà esprimere il nuovo sindaco, “pedoni” e “alfieri” sono là a guardarsi, in attesa delle mosse da fare. Un ginepraio tattico, che si muove felpato come da tradizione prettamente nostrana. Ne rivendichiamo con orgoglio il copyright.
Ad oggi, a meno di prodigiose alchimie alla mago Merlino, i nomi dei candidati, che potrebbero andare al ballottaggio, sembrano già delinearsi. Sì, perché, rispetto agli analisti e ai politologi che nel web declamano le proprie certezze in materia, il secondo turno è sicuro come le equazioni che ai tempi di scuola mi facevano impazzire!
Le due recenti aperture di campagna elettorale: quella dell’uscente Orlando e l’altra del suo mancato figliol prodigo, Ferrandelli e i posizionamenti delle aree politiche di riferimento, che ufficialmente sembrano essere al di fuori dei partiti, ma che nei fatti stanno costruendo una cornice (ciascuno la sua) di un quadro che prende forma, ne sono la prova provata.
Il terzo incomodo, ossia il M5s, con il suo candidato Forello, non sembra, a meno di eclatanti avvenimenti, poter essere da disturbo ai due blocchi. Poi c’è il Pd o quello che ne resta, diviso tra chi vorrebbe appoggiare il sindaco della fu primavera di Palermo (ndr. Leoluca Orlando) e una parte dichiaratamente schierata con Ferrandelli. Infine, “dulcis in fundo”, quei Democratici che rivendicano l’orgoglio di esprimere un proprio candidato sindaco. Una summa degna di un film thriller, o per gli amanti di altro genere: un horror in salsa siciliana.
Dimenticavo la sinistra. Quella sinistra però che in città ha sempre vinto, ma quando in sella c’era un democristiano. Anzi per dirla tutta solo quando quel democristiano era, anzi è Leoluca Orlando. Perché, realisticamente, Palermo non è mai stata di sinistra, così come non è lo è mai stata di destra nell’accezione etimologica del termine. E i forzisti, che non avendo trovato l’agnello sacrificale, alla fine hanno deciso di “svoltare” dalle parti di Ferrandelli.
Quindi, considerando i “resti”, tanto per usare un termine a caratura di legge elettorale, lo scenario numerico dei candidati a sindaco potrebbe salire a nove! Una frammentazione che inciderà, inevitabilmente, escludendo una vittoria piena al primo giro di “boa”.
Malgrado ciò, il “secondo tempo” lo giocheranno gli stessi giocatori di cinque anni fa, con una piccola differenza che in quelle del 2012, furono determinanti, per la rielezione di Orlando, i voti del centrodestra.
E adesso che il centrodestra appoggerà Ferrandelli, cosa accadrà? Forse all’attuale primo cittadino non resta che sperare nel voto disgiunto, anche se l’effetto trascinamento reintrodotto per legge, di fatto, premia le liste forti.
E su questo attenderei i nomi dei candidati al consiglio comunale di ambedue gli “schieramenti”. Perché saranno questi a fare vincere il prossimo sindaco, in una battaglia che non è soltanto la “presa” di Palazzo delle Aquile, ma la resa dei conti tra il “maestro” e il proprio “allievo”.

ferrandelli2Fabrizio Ferrandelli ci riprova e dopo la sconfitta nel 2012, contro Leoluca Orlando, si ricandida a sindaco di Palermo. Non una parola sul professore che al ballottaggio di quattro anni fa vinse con il 47 per cento di consensi, riconquistando la città dopo l’era Cammarata.

“Non sono il candidato del Pd, ma il mio progetto politico su Palermo è aperto a tutti quelli che hanno a cuore le sorti della città. I partiti non hanno più la capacità di ascolto”. E precisa che la sua “è una candidatura politica”.

Un messaggio chiarissimo che rispecchia quelli che sono i “rumours” sulla sua candidatura: creare un’ampia convergenza, con molta probabilità di liste senza simboli che potrebbero essere frutto di accordi trasversali su un fronte ampio. Esclude assolutamente la valenza civica del suo impegno, ribadendo l’importanza dell’azione etica e morale che la politica deve esercitare. Da qui parla delle sue dimissioni da deputato regionale un anno fa, dopo aver ascoltato le parole di Manfredi Borsellino.

“Io mi sento un uomo libero e la mia candidatura è una candidatura senza padrini e senza padroni”. Parla anche di padre Puglisi, il prete di Brancaccio ucciso dalla mafia, ricordandone la testimonianza di libertà.

E’ molto attento a non addentrarsi su programmi e su interventi da porre in essere per la città. In fondo, questo primo passaggio non è altro che un segnale lanciato all’interno di un agone politico complesso e allo stato attuale imprevedibile da decodificare. Due gli elementi che fanno da cornice a questo quadro: il referendum costituzionale di ottobre, che un eventuale vittoria del No farebbe deframmentare il Pd e non solo; e poi le leggi attualmente in discussione all’Ars sulla modifica delle norme elettorali per le comunali.

Norme in cui sarebbe prevista la possibilità del ritorno al trascinamento delle liste collegate al sindaco. Nei fatti, ne sarebbe avvantaggiato il candidato sindaco, perché il voto dato ad una lista (o anche partito) andrebbe anche al candidato Primo cittadino. Quindi la partita è assolutamente in divenire e nella “scacchiera politica”, almeno per questa estate, vedremo solo mosse tattiche. E quella di oggi è una di queste!

Leoluca-Orlando
E’ come in un risiko, come in una partita a scacchi dove ogni mossa è studiata. L’errore può risultare fatale e far perdere al giocatore il “piatto”. Dunque, non sono ammessi sbagli. E’ come in una immaginaria linea “Maginot”, quella fatta costruire nel 1928 dal ministro francese Maginot a protezione dei  confini della Francia, dove tutto può accadere. Nella seconda guerra mondiale i tedeschi riuscirono ad eluderla.

La ztl, nei fatti, diventa spartiacque e linea di “guerra”, in una battaglia che oggi sembrerebbe a favore del sindaco: quella con cui il Cga ha riaperto, momentaneamente la partita chiusa, invece, dal Tar, sebbene lo stesso Consiglio di giustizia amministrativa ha consigliato all’Amministrazione comunale di attendere la pronuncia del tribunale amministrativo regionale, prevista per novembre, prima di porre in essere qualsiasi atto in materia.

Sembra un “all-in” quello del primo cittadino, dietro il quale c’è, senza se e senza ma, il tentativo di riprendersi Palazzo delle Aquile (il suo è il secondo, quindi ultimo mandato), in una città dove oggettivamente la partita politica, ad oggi, senza alcun avversario di rilievo, sembra proprio essere a portata di mano. E se si considera anche che nel vuoto di proposte alternative, l’ex Sindaco della Rete avrebbe il sostegno di fronde trasversali pronte, come sempre (c’è stato già qualche incontro), a dargli soccorso al ballottaggio.

Ma al di là delle manovre politiche e degli accordi che si delineeranno nei prossimi mesi, la data della #deadline rimane quella del 6 novembre. Perché se come annunciato dal Sindaco la ztl dovesse essere attuata prima di quella data, l’eventuale bocciatura del provvedimento dal parte del Tar, aprirebbe scenari imprevedibili e sarebbe per Orlando un duro colpo a soli sei mesi dalla sindacatura.

Intanto, eppur vero e neanche troppo celato, che un mancato introito della ztl metterebbe a rischio la tenuta finanziaria dell’Amat e dello stesso tram, per il quale Orlando si gioca la rielezione a Palazzo delle Aquile. E non meno rilevante la confusione che regnerebbe nei cittadini che, avendo rifatto il pass, dovrebbero richiedere per la seconda volta il rimborso. Quindi per adesso le carte sono tutte sul tavolo e l’all-in di cui sopra rimane “sospeso”. La “telenovela” continua.

fontanello-istallazione-artistica“Da questo nuovo fontanello si potrà bere gratuitamente acqua corrente naturizzata, anche ghiacciata e/o gasata e resterà funzionante 24 ore su 24 per tutti i cittadini che potranno utilizzarlo, sempre gratuitamente e (si spera) rispettosamente”.

Così si leggeva in un comunicato stampa dell’ottobre del 2011, che annunciava l’installazione di un fontanello, voluto dall’Amap di Palermo (società che gestisce la distribuzione dell’acqua in città) e realizzato da un’azienda italiana del settore. Questo prodigioso strumento venne collocato proprio davanti la sede dell’Amap in via Volturno, dove ancora si trova, ma forse con una diversa utilità!

Non più quello di offrire, oltre che ai cittadini, un servizio ai turisti assetati in visita nella nostra città, ma una vera e propria “installazione artistica”, con bottiglia di birra di marca annessa, quale sponsor di tale immaginifica opera da lasciare ai posteri.

Il fontanello venne inaugurato quasi 5 anni fa, in pompa magna (presenti i vertici della precedente amministrazione), con la partecipazione straordinaria della medaglia d’oro di atletica leggera Pietro Mennea, testimonial d’eccezione dell’evento, scomparso purtroppo nel marzo del 2013. Un’iniziativa legata alla “Staffetta dell’acqua”: progetto a carattere nazionale, che doveva promuovere iniziative sui territori, in favore dell’acqua di rubinetto e responsabilizzare i cittadini ad un uso corretto e consapevole dell’acqua.

Oggi, come un desiderio irrefrenabile, il fontanello ha deciso di cambiare abiti: smettere nella sua “noiosa” routine giornaliera di offrire acqua gratis e diventare, invece, un oggetto diversamente artistico.
In fondo, in periodo di spending review ci si inventa tutto! E comunque qualcuno lo dica a chi “responsabilmente” dovrebbe controllare il funzionamento di un servizio e in questo caso non lo fa. Perché magari un fontanello non è per sempre, ma l’acqua sì!

Che la Sicilia sia ormai un malato terminale è forse fin troppo ripetitivo. Lo abbiamo più volte denunciato, analizzato, gridato con forza ma l’irresponsabilità di una politica cieca, che spera soltanto di arrivare indenne alla fine della corsa, (mandato elettorale per intenderci!) ci ha resi tutti inesorabilmente sfiduciati e forse anche indifferenti. Il rito dell’espianto, forse l’unica cura possibile.

Da una parte vi è il fallimento personale del “rivoluzionario” Saro da Gela, che è riuscito nell’abile impresa di farsi “commissariare” da Renzi evitando la resa delle armi, che forse sarebbe stata la soluzione più onorevole (vince invece sempre la tasca e non il cuore), ma sicuramente da futura lista di disoccupazione! o in extremis da lista “italicum”; dall’altra, invece, il mero calcolo politico del Pd, dei suoi deputati e dell’intero centrodestra (quest’ultimi giocano da sempre la carta della mozione di sfiducia, ma ormai come un’arma spuntata!), che non potevano in alcun modo trovarsi senza paracadute.

E non parlatemi di scelta “responsabile” per le sorti della Sicilia. Non ci crede più nessuno. Meglio tacere. Quindi far passare “l’elefante Regione” attraverso la cruna dell’ago, con una finanziaria azzoppata (mancano appena 500 milioni di euro all’appello) e l’accordo o pseudo tale sulla cancellazione dei crediti che la nostra regione avanza dallo Stato, è stata impresa davvero opera titanica, ma tutto ancora in divenire.

E così, lui che doveva essere l’uomo dei miracoli, (l’assessore al Bilancio Baccei tanto per intenderci) dopo l’uomo della rivoluzione, si è accorto che il salvataggio dell’Impresa Palazzo d’Orleans era e rimane tanto difficile, da essere costretto a lanciare un’OPA, guarda caso proprio di 500 milioni di euro. Tentativo estremo per riannodare i fili del discorso con Roma e farsi dare la moneta! I conti devono quadrare, come si dice in matematica: comuni in dissesto, ex province al collasso, forestali e consorzi senza ossigeno. Insomma, un quadro che si fa sempre più nebuloso e pericolosamente instabile, finanziariamente parlando.

Chissà, a questo punto forse saranno i “libri” interstellari del 2.200 a studiarne gli effetti e i “jedi siculiani” di quell’Era, invece, a pagarne, con molta probabilità, le conseguenze per chissà quanti “millenni”.

Viviamo, dunque, in una realtà che ricorda molto la “Corte dei miracoli”, quella della Parigi del 1600, dove in alcuni quartieri borderline, uomini, donne e bambini da storpi e mendicanti chiedevano di giorno l’elemosina per poi improvvisamente la sera, quasi da “miracolati”, ritornare ad essere prodigiosamente guariti. Ma qui di miracolati veri vediamo solo coloro che si sono assicurati i vitalizi e altri privilegi. Per i siciliani, tutto al più, resta l’elemosina che vi ricordo nella nostra legislazione ravvede anche alcuni casi di reato. Per dirla pragmaticamente: “cornuti e mazziati”.

tram

Il sindaco della primavera di Palermo, fondatore del movimento politico la Rete, che scardinò il potere della Dc di Lima e Andreotti nel 1985, riuscendo a battere nel 1997 Gianfranco Miccichè, l’allora plenipotenziario di Berlusconi in Sicilia e poi sconfitto nel 2007 dal forzista Diego Cammarata, rivincendo nel 2012 al ballottaggio contro Fabrizio Ferrandelli, oggi, al motto “il Sindaco lo sa fare”, si prepara ad aprire la campagna elettorale per il 2017.

L’inaugurazione del tram, assieme a tutte le iniziative sul tema della mobilità sostenibile avviate dall’amministrazione comunale (carsharing, bike sharing, taxi sharing), è un’opportunità ghiotta per un sindaco che, in materia di “comunicazione” ed affini, non ha eguali. Potremmo tranquillamente affermare: un biglietto di sola andata per la riconferma a Palazzo delle Aquile, magari con il voto ombra, al ballottaggio, del centrodestra.

L’opera, costata 322 milioni, di cui 87 a carico del Comune e il resto elargiti da Stato e Unione europea, con 17 vetture, una capienza di 250 passeggeri ciascuna e quattro linee disponibili, è di fatto una mastodontica operazione politica, (non dimentichiamo che manca un anno e mezzo alla fine del mandato), che viaggia però non sui binari di un’alleanza politica, ma sulla capacità di Orlando di essere da sempre l’uomo solo al comando e di saper scegliere lui gli alleati e le strategie.

Nei fatti la paventata minaccia di dimissioni, da parte del sindaco di Palermo (assolutamente studiata a tavolino), in caso di non approvazione del contratto di servizio per l’avvio del tram e l’accordo trasversale con i forzisti, ha messo all’angolo un Pd che da mazziere nel governo nazionale e regionale, in consiglio comunale si è cucito, invece, il ruolo di solo spettatore e di finto oppositore.

Nei giorni scorsi il sottosegretario Davide Faraone, il cui sogno nel cassetto è risaputo essere quello di diventare sindaco di Palermo, aveva definito “Orlando rimasto ancorato alla preistoria, sia rispetto agli uomini che lo sostengono, sia rispetto alle idee su come si governa una città”. E parlando dell’iniziativa di Rifondazione comunista di conferire la cittadinanza onoraria al leader curdo Abdullah Öcalan, diceva di “una giunta governata dagli uomini di Ocalan”.

Dichiarazioni poco gradite ad Orlando che, lasciando “cuocere” nel brodo primordiale i democratici, ha battuto “banco”, incassando un piatto ricco e riuscendo ad isolare i renziani che vorrebbero volentieri “rottamarlo”.

E poi ci sono anche grillini che protestano per la ztl, ma più che altro per dovere di cronaca. Un atteggiamento da decodificare, in un panorama politico locale dove tutti credevano che l’orlandismo fosse morto e sepolto. Il movimento di Nello Musumeci #DiventeràBellissima, che annuncia l’avvio di una raccolta firme per rimodulare il provvedimento tanto contestato e il centrodestra che dà l’assist alla maggioranza, quasi da servizio 118. Infine, il Pd in stato confusionale, se non comatoso.

Ma i nodi, comunque, per il primo cittadino stanno tutti in fila, uno dietro l’altro. Ztl a 100 euro, tariffe zone blu portate tutte a 1 euro, possibili ricorsi, petizioni e, eventuali, richieste di annullamento. Non minori i problemi legati ai risultati che questi provvedimenti dovrebbero portare, in termini di vivibilità e di salute, ai cittadini.

Un orizzonte non certamente roseo per chi, al netto dei propri incassi, come il poter sbandierare la realizzazione del tram, deve fare i conti con una città sofferente, sporca e inquinata. Basteranno le pedonalizzazioni, il percorso Unesco e le fioriere sparse ovunque, a far dimenticare il degrado che è sotto gli occhi di tutti?

I palermitani hanno intuito bene che l’istituzione della ztl è una tassa per fare cassa. Ma in tutto questo, se i risultati complessivi ci saranno, tram compreso, da qui alla fine del sindacatura l’Orlando furioso, il sindaco del “lo sa fare”, “l’uomo dalle sette vite” come lui stesso si è definito, potrà agilmente e, sempre, con il #soccorsoazzurro prima citato, sedere nuovamente sul primo “scranno” del Comune, regnando per altri cinque anni la sua Palermo.

Ovviamente la strada da percorrere è ancora lunga e a “deragliare”, tanto per stare in tema, basta un attimo.

tram orlando

di Gaetano Càfici. “Stasera o si fa il tram o si muore!”, amarcord di una frase storicamente più celebre pronunciata a Calatafimi, nella sanguinosa battaglia tra i garibaldini e l’armata borbonica nel 1862 che potrebbe essere gridata stasera, nell’Aula del Consiglio comunale di Palermo dal generale Leoluca Orlando.

Lui che ha costruito la campagna elettorale del 2012 al grido: “Il sindaco lo sa fare”, brandirà la spada delle dimissioni, per far capire ai 50 consiglieri che si va tutti a casa, se non si pone il sigillo “reale” su quel controverso contratto di servizio, che consentirebbe al tram di non girare più a vuoto e, a lui, di essere rieletto primo cittadino.

I numeri al momento sembrano non esserci, ma in politica di fronte ad un invito esplicito, in cui viene meno la solidità di una seggiola, i margini di conflitto morale si riducono e aumentano a dismisura quelli di interesse alla sopravvivenza!
E poi sotto natale un cadeaux non si rifiuta a nessuno. Quindi, alla fine, le opposizioni parleranno di “senso di responsabilità nei confronti della città” e la maggioranza di “vittoria grazie al contributo del primo cittadino che ci ha messo la faccia”.

Vedo già gli sguardi dei consiglieri comunali, mentre ascoltano le parole del Sindaco, pronti ad inviare messaggini rassicuranti ai propri familiari. Perché poi, diciamolo sinceramente, la famiglia è tutto e dare una brutta notizia sotto le feste sarebbe davvero un dramma!

Per non parlare del prossimo giro elettorale nel quale potrebbe non esserci più un posto per tutti (non 50 eletti ma 40 come prevede la nuova legge!). E, dunque, altri due anni di ossigeno diventerebbero un tempo infinito per poter soddisfare le proprie debolezze e pagare le ultime rate dell’auto.
E se qualcuno mostrerà segni di cedimento, come essere fulminato sulla via di Damasco, ci sarà, comunque, il #prontosoccorsopolitico. Quello lo conosciamo bene! E’ un vecchio arnese che funziona sempre e, soprattutto, non ha alcun colore politico.