Author

redazione

Browsing

“L’Italia è sul punto di installare il governo più non convenzionale e senza esperienza per governare una democrazia occidentale europea dal Trattato fondatore dell’Ue di Roma del 1957. La sua capitale di fatto apre le porte ai moderni barbari dove le proposte economiche del Movimento 5 stelle e della Lega sono una ragione di preoccupazione”. È quanto scrive il prestigioso giornale economico Financial Times.

Il giudizio è davvero impietoso. Di fatto il giornale inglese paragona l’asse Salvini-Di Maio alla discesa di Attila, il re degli Unni che dove passava non cresceva più nulla. “Prima delle elezioni – scrive ancora il Financial Times – “era saggezza comune nelle altre capitali Ue e sui mercati finanziari che un governo Lega-Cinquestelle sarebbe stato il più inquietante di tutti gli esiti possibili”.

 E continua dicendo: “Ora i barbari non stanno solo attraversando le porte di Roma. Sono proprio dentro alle mura della città. E i due partiti godono di un’indiscutibile legittimità democratica e escludere i vincitori delle elezioni dal potere non è un passo per una democrazia matura”. Critico anche nei confronti dei partiti politici, “che devono solo accusare se stessi dopo vent’anni di stagnazione economica”.
Detto questo, continua l’editoriale, il contratto di governo Salvini-Di Maio “dà molte ragioni di preoccupazione” in quanto “i due partiti sono troppo filo russi”, e “la Lega è a favore di deportazioni su larga scala di migranti illegali”.
 
E sul versante economia i dubbi del Financial Times diventano ancora più consistenti: “Reddito di cittadinanza, flat tax e modifica della legge Fornero sulle pensioni sono iniziative che valgono decine di miliardi di euro, ma per le coperture proposte dai due partiti che si vogliono ‘nuovi’, dalla lotta all’evasione fiscale alla vendita di asset pubblici, colpisce quanto vecchie siano la maggior parte di queste idee, già provate in passato, che non sono state parzialmente efficaci”.
 “Un governo formato da queste due forze, potrebbe scontrarsi con le ‘correnti di pensiero fiscali’ di altri governi Ue e della commissione europee. Queste sono aree – conclude l’articolo – dove l’Unione europea può e deve lavorare in modo costruttivo con il prossimo governo italiano, anche se questo significa assecondare la retorica iconoclasta dei pentastellati e della Lega”.
Un’analisi che demolisce l’asse Salvini-Di Maio, parlando di uno scenario “preoccupante” nel caso che la “presa” di Roma diventasse davvero realtà. Un altro pilastro che cade sulla fragile e ancora incerta intesa giallo-verde.

La grave situazione di povertà in cui versa la nostra isola richiede l’attuazione, anche in Sicilia, del reddito di inclusione“. A chiederlo al presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, è l’Alleanza contro la povertà. Si tratta di un cartello di 18 tra associazioni, enti e organizzazioni sociali, che ha preso forma a marzo, in Sicilia, sul modello nazionale.

Sono, infatti, quasi 26 mila le famiglie siciliane che hanno presentato all’Inps la richiesta di Rei (reddito di inclusione), In pratica 80 mila persone, più o meno, che aspirano a ricevere il sussidio.

Nei giorni scorsi la conferenza unificata Stato-Regioni-Enti locali ha dato via libera al decreto di riparto delle risorse del fondo per il finanziamento di servizi e il piano di interventi contro la povertà. “La quota di competenza della Regione siciliana ammonta a quasi 43 milioni di euro”. A dirlo Rosanna Laplaca, portavoce dell’Alleanza. “Esistono adesso tutte le condizioni per attuare una politica organizzata, costruita su una seria infrastruttura sociale capace di generare strategie di inclusione”.

Una richiesta-denuncia proprio all’indomani dei dati pubblicati da “Save the Children”, secondo cui il 25 per cento dei ragazzi in Sicilia abbandona la scuola per le condizioni di disagio vissute dalle famiglie. “Il piano nazionale – si legge nella lettera inviata al governatore Musumeciapre all’elaborazione dei piani regionali, per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà. Così, diventa importante che anche in Sicilia si avvii una fase di concertazione, per giungere al miglior risultato possibile”.

Da Palazzo d’Orleans – aggiunge Rosanna Laplaca – ci aspettiamo la convocazione per definire assieme, come accaduto a livello nazionale, un memorandum che faccia da piattaforma per tutti i provvedimenti legislativi e amministrativi”.

“I presupposti ci sono – sostengono le diciotto organizzazioni sociali – ma serve uno slancio di volontà politica nel solco della riforma del sistema regionale del welfare”.

Del cartello dell’Alleanza fanno parte: Cgil, Cisl, Uil, Acli, Adiconsum, Arci, Banco alimentare, Caritas, Confcooperative Federsolidarietà, Csvnet, Fondazione Ebbene, Fiopsd, Forum terzo settore, Jesuit social network, Legacoop sociali, Professione in famiglia, Save the children. E, anche, l’Anci Sicilia. 

“Tentano di delegittimare i protagonisti dell’Antimafia” –. Diceva l’allora presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante, che rivendicava di essersi “impegnato contro il malaffare” e ricordava come già dal 2013 “i vertici di mafia abbiano messo in atto azioni di delegittimazione”. Era  il 2015 e si difendeva dalle accuse di un’inchiesta che lo vedevano al centro di un giro di corruzione e di rapporti con esponenti della mafia.

E ora l’ex presidente di Sicindustria Antonio Montante, attualmente presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta e presidente di Retimpresa Servizi di Confindustria Nazionale, è stato arrestato e poi messo ai domiciliari con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di esponenti delle forze dell’ordine.

Si tratta di indagini condotte dalla squadra mobile e della procura di Caltanissetta con le quali gli viene contestato di aver creato una rete illegale per controllare l’inchiesta che era scattata nei suoi confronti tre anni fa, dopo le dichiarazioni di alcuni pentiti di mafia. Anche altre cinque persone sono finite agli arresti domiciliari e a una sesta è stato notificato un provvedimento di interdizione. Tutti soggetti al servizio di Montante, secondo i sostituti procuratori Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso, dall’aggiunto Gabriele Paci e dal procuratore capo Amedeo Bertone.

Ed era proprio il governatore Crocetta che difendeva tre anni fa Montante “dalle notizie che riporta la stampa”, sottolinenando  “l’impegno nella lotta alla mafia”.  Anche Beppe Lumia, ex presidente della Commissione Antimafia, transitato nel 2012 dal Pd alla lista Il Megafono (quella di Crocetta per intenderci) diceva della vicenda: “Salvatore Dario Di Francesco (uno dei pentiti che accusava Montante, ndr) è un ex colletto bianco, un imprenditore che è stato bombardato da Montante ai tempi della rivoluzione in Confindustria. Da quello che emerge, non c’è nulla che riguardi il presente ma il passato, i primi anni del duemila quando appunto la Confindustria di Lo Bello e Montante cominciò il bombardamento su Cosa Nostra”. E aggiunge: “sono molto scettico rispetto a questa inchiesta semplicemente perché Montante l’ho visto in azione”.

E, invece, con l’arresto di oggi, queste difese d’ufficio sono state smentite. Cala il sipario su “un’era”, quella di Antonello Montante, figura controversa tra “presunti” rapporti con la mafia e amicizie politiche.

LE REAZIONI

Il sindaco di Palermo Leoluca Orlando: “Confidando nel lavoro della Magistratura su questa ed altre vicende che riguardano l’ex presidente di Confindustria Sicilia, non posso che ribadire l’anomalia, da me più volte denunciata in diverse sedi, di un sistema Confindustriale che ha determinato per almeno sei, sette anni le politiche dei precedenti governi della Regione in settori strategici dell’economia e della vita delle nostre comunità.” 

Claudio Fava, deputato regionale #CentoPassi: “E’ scandaloso che l’ex presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante conservi intatte le proprie cariche: presidente della  Camera di commercio di Caltanissetta e presidente di Retimpresa, una consociata di Confindustria nazionale. A lungo protetto dall’ex presidente della Regione Crocetta e dall’ex senatore Lumia, chi consente ancora oggi al signor Montante di ricoprire quegli incarichi, nonostante da due anni sia indagato per reati di mafia? Quale sistema deviato di potere è stato costruito negli anni attorno a questo imprenditore? Quanti altri protettori occulti e palesi, dentro e fuori le istituzioni, hanno protetto la sua carriera? In attesa di una risposta, chiediamo agli organi preposti, nonché al presidente nazionale Confindustria Boccia e al presidente della Regione Musumeci, di adottare i provvedimenti urgenti ed opportuni affinchè Montante venga sollevato immediatamente dalle sue funzioni. Se ad accuse così gravi e circostanziate non segue un atto di autotutela delle istituzioni, rischia di prevalere il senso tragico e ridicolo dell’impunità personale. Nessuno, di fronte al decoro delle istituzioni, può essere considerato per così tanto tempo un intoccabile”. 

Non si arresta l’ascesa della Lega che risulta essere l’unico partito post elezioni ad aver incrementato i propri consensi e compensa il calo dei due partiti della coalizione, quello di Berlusconi e della Meloni. Ma il dato rilevante è il superamento della quota del 40 per cento della coalizione di centrodestra che, se si votasse oggi, risulterebbe vincente. Brutte notizie per il centrosinistra che varrebbe invece la metà. E’ quanto emerge dal sondaggio Tecnè, commissionato per la trasmissione televisiva Matrix.

E come si legge dal grafico, oggi il partito di Salvini raccoglierebbe il 22,6 per cento (17,4% il risultato raggiunto alle ultime politiche. Una percentuale che lo farebbe balzare rispetto al partito democratico, che si troverebbe sotto la soglia del 18 per cento. Primo partito rimarrebbe, secondo la rilevazione, il M5S con il 32 per cento. Mentre Forza Italia scenderebbe al 12,9 per cento (alle politiche di marzo aveva ottenuto il 14 per cento).

E poi c’è anche il gradimento dei leader di coalizione con Di Maio “bocciato” con “4-“, anche se tra gli elettori dei cinquestelle viene apprezzato quanto Salvini. Per il leader del centrodestra, invece, un “8-“.

Infine, come si vede nel grafico che segue, viene analizzata l’opinione degli elettori espressa alle ultime politiche. Pochi sembrano aver cambiato idea. Infatti, il 79 per cento degli italiani, cioè 25,8 milioni di aventi diritto, confermerebbero la scelta fatta nell’urna il 4 marzo. Soltanto il 3 per cento avrebbe deciso di cambiare il proprio voto.

Una situazione, dunque, che presa con le dovute cautele (sempre di sondaggio si tratta), sposterebbe, inequivocabilmente, di più l’asse verso destra e non c’è dubbio che alletterebbe qualcuno che forse, per capitalizzare ancora di più il proprio consenso, sarebbe tentato come a monopoli di tornare al “via”, scegliendo magari la “casella” del voto.

E’ un fulmine a ciel sereno, quello caduto oggi nella tanto tormentata “trattativa” per il governo del Paese. Silvio Berlusconi ritorna in pista. Il tribunale di Milano ha cancellato gli effetti della legge Severino, quella sulla incandidabilità, annullando, di fatto, l’efficacia della condanna nell’ambito del processo sui diritti Mediaset nel 2013. Quindi se si dovesse ritornare alle urne Berlusconi potrebbe essere ricandidato alla Camera o al Senato.

Un evento che spariglierebbe la partita già complicata per il parto di un governo a trazione Lega-M5S. A questo punto Mr. B. potrebbe mettere i bastoni tra le ruote del carro giallo-verde, tentando come unwriter” di spruzzare un pò di vernice sul quadro al quale, in questi giorni, si è tentato di dare l’ultimo colpo di pennello.

E la sua frase, “spero non riescano”, poi subito smentita è il piccolo assaggio di ciò che ci aspetta nelle prossime ore. Quindi il match si riapre e Berlusconi inizia a tifare e gufare come direbbe Renzi, affinchè il matrimonio tra Salvini e Di Maio diventi subito divorzio.

La realizzazione di nuove linee del tram sarebbe un’avventura rischiosissima per la città, non solo in termini di viabilità per via dei cantieri e dei disagi apportati alla popolazione, ma anche per la gestione economica stessa dell’infrastruttura. Ricordiamo che Amat, con le attuali tre linee, ha una perdita di 10 milioni di euro”.

Fabrizio Ferrandelli, candidato sindaco per il centrodestra alle ultime comunali contro Orlando, prende una netta posizione sulla vicenda legata alla realizzazione di nuove linee di tram che, l’amministrazione comunale, ha deciso di portare avanti. E dà l’assist a Patrizia Di Dio, presidente di Confcommercio Palermo che, oggi, proprio su questo tema, ha rilasciato un’intervista ad un’agenzia stampa.

“Ben venga dunque la proposta lanciata da Confcommercio – dice Ferrandelli – di effettuare una ‘verifica costi/benefici’ e di realizzare uno ‘studio sull’impatto’ che altre linee di tram possono avere a Palermo. Quindi un fronte comune contro l’Amministrazione comunale e, in primis, contro il  sindaco Orlando che sul tram ha “puntato” da sempre, soprattutto in campagna elettorale.

“Ciò che manca a questa amministrazione è proprio il contatto con i cittadini e il saper dare risposte concrete alle reali necessità della città. Noi continuiamo con coerenza a portare una visione alternativa di mobilità dolce – ha detto infine Ferrandelli – sicuramente più rapida e con costi di gestione nettamente inferiori”.

E la Di Dio in un passaggio dell’intervista si è soffermata proprio sul fatto che “il tram da solo non può risolvere i problemi della mobilità della città. Palermo avrebbe bisogno di più mezzi pubblici, di più parcheggi”. E ha lanciato un’idea: “Voglio farmi promotrice di un’indagine, una sorta di sondaggio sia con i nostri associati che con i cittadini che usano il tram, per conoscere direttamente dagli utenti e dagli imprenditori come la pensano”.

La presidente di Confcommercio lo ha chiamato sondaggio, ma nei fatti di un vero e proprio “referendum” si tratta: un sì o un no all’opera. Siamo ansiosi di conoscerne l’esito e, soprattutto, vedere se il sindaco Orlando lo prenderà in considerazione o andrà dritto per la sua strada. E chissà se Palermo sente proprio questa improrogabile necessità di altri tram.

 

Una sola cosa, nel caos generale, è certa: presto avremo i dettagli del governo targato 5Stelle-Lega, oppure di quello “neutro”e“di servizio” targato Mattarella. E dunque sapremo se le elezioni sono vicine o lontane.

Intanto già sappiamo che, comunque vada, sarà un pastrocchio. Perché da che mondo e mondo, persino nel Paese più bizantino dell’Occidente, i governi devono avere una maggioranza (o una minoranza, se destinati alla sfiducia o alla non sfiducia) chiara. E tutto si può dire sia del governo Di Maio-Salvini, sia del governo Mattarella, fuorché nascano
all’insegna chiarezza. Il governo “neutro” altro non è che un ministero tecnico alla Monti, benedetto dal Quirinale e chiamato a scelte squisitamente politiche (Iva, svuotacarceri, intercettazioni, nomine Rai e Cdp…).

Con la differenza, rispetto a Monti, che questo partirebbe già morto perché l’unico partito disposto a votarlo è il Pd, quello che giurava opposizione a tutto e tutti. Il governo 5Stelle-Lega, salvo chiarimenti dell’ultima ora, rischia di essere ancor più oscuro, perché poggia le fondamenta su un equivoco grosso come una casa: il ruolo di Berlusconi, delinquente naturale, pregiudicato ineleggibile e interdetto.

Il governo 5Stelle-Lega, salvo chiarimenti dell’ ultima ora, rischia di essere ancor più oscuro, perché poggia le fondamenta su un equivoco grosso come una casa: il ruolo di Berlusconi, delinquente naturale, pregiudicato ineleggibile e interdetto. Finora Di Maio aveva condizionato l’accordo con la Lega alla rottura del centrodestra, “coalizione finta”, cioè al divorzio tra Salvini e l’imbarazzante alleato. “Salvini scelga fra restaurazione e rivoluzione”, aveva detto, spiegando che “con Berlusconi non si potrà mai cambiare nulla”. Perfetto.

Senonché ieri il Caimano, sfoggiando il suo ultimo travestimento, ha fatto sapere che Salvini può fare il governo con i 5Stelle – che lui considera peggio di Hitler e manderebbe tutti a lavare i cessi di Mediaset – senza rompere la coalizione di centrodestra. Deciderà poi lui, dopo aver visto il premier e i ministri, cosa farà FI: se darà l’appoggio esterno astenendosi (“astensione critica”, anzi “benevola”: ahahahah) o non partecipando al voto, o addirittura voterà contro il governo dell’ alleato e passerà all’ opposizione (finta, visto che la coalizione resterebbe intatta con Salvini leader). Una pagliacciata mai vista neppure in Italia. Tipo quei bei matrimoni dove il marito autorizza la moglie a mettergli le corna, e magari si diverte pure a guardare da dietro la porta. E questa sarebbe solo la parte visibile dell’accordo.

Poi, come sempre quando c’è di mezzo B., c’è quella invisibile. Che è ancora peggio: oscena, nel vero senso della parola (fuori scena). Per scoprirla basta porsi una domanda: perché oggi B. autorizza Salvini a fare ciò che per oltre due mesi gli ha furiosamente proibito?

Delle due l’una. O solo perché ha paura del voto. O anche perché ha ottenuto quelle “garanzie” che ha sempre preteso dai governi non suoi per non scatenare la guerra termonucleare: favori a Mediaset e nessuna norma contro le quattro ragioni sociali della sua banda (corruzione, evasione fiscale, mafia e conflitto d’ interessi). E chi può avergliele date? Ovviamente Salvini che, con Di Maio, tratta per conto di tutto il centrodestra. E qui casca l’asino con tutta la foglia di fico: trattare con Salvini-e-basta è un conto, trattare con Salvini che tratta anche per conto di B. è tutt’altro.

Un governo M5S-Lega-e-basta, oltre alle tante controindicazioni (dalla xenofobia di Salvini&C. al passato ignobile di un partito appiattito da 18 anni sugli affari di B. alle proposte demenziali tipo flat tax), almeno un vantaggio ce l’avrebbe: l’estraneità del Carroccio salviniano (l’inciucione Giorgetti è già tutt’altra cosa) a molte delle mille lobby che bloccano l’Italia e che han sempre trovato protezione all’ombra di Pd&FI. Ma proprio qui sta il punto: Salvini ha le mani libere o no? L’ultima giravolta di B. fa sospettare di no. E un governo che nasce sul non detto è destinato a non fare. In ogni caso, se nascerà, lo capiremo subito.

Dal nome del premier, e soprattutto da quelli dei ministri della Giustizia e delle Telecomunicazioni. E dal testo del “contratto ” fra i due alleati: se recepirà le storiche battaglie del M5S contro i conflitti d’interessi, le concentrazioni televisive e pubblicitarie, la corruzione, la prescrizione e le mafie, e anche l’ottimo proposito annunciato da Salvini in campagna elettorale di “mandare in galera gli evasori”, sapremo che B. è davvero fuori gioco e ha subìto il governo M5S-Lega per il terrore del voto, senza contropartite.

Se invece avrà ministri forzisti travestiti da leghisti o da tecnici “di area”, più posti in prima fila nel nuovo Cda Rai e nel nuovo Csm, oltre alle commissioni di garanzia che gli spetterebbero come (finto) oppositore (Vigilanza Rai? Antimafia?), e se le leggi contro ogni malaffare che attendiamo invano da 25 anni sparissero dai radar, vorrà dire che B. non è affatto “esterno”: è più che mai interno, tipo cetriolo. Ma c’è anche una terza ipotesi: che Salvini e B. siano d’accordo a menare il can per l’aia, facendo partire il governo e poi rinviando alle calende greche le scelte scomode (per B.), contando sull’istinto di sopravvivenza dei parlamentari e rendendo vieppiù impopolare una rottura.

La cui colpa ricadrebbe sul M5S gabbato. Per la gioia del Pd renziano, che infatti ieri sprizzava gaudio da tutti i pori per un governo che lo lascerebbe solo all’opposizione a lucrare sugli auspicati litigi e pasticci di un governo tanto eterogeneo. Al momento, con tutte queste ambiguità, il governo M5S-Lega conviene a Lega, B. e Pd, ma non al M5S e – quel che più conta – neppure agli italiani. Starà all’abilità di Di Maio rinunciare a ruoli ministeriali e guidare il gruppo parlamentare per stanare Salvini, incalzare il governo sul contratto e staccargli la spina al primo cenno di tradimento o di logoramento. Peggio delle larghe intese ci sono soltanto le larghe fraintese.

 

(di Marco Travaglio, fonte “Il Fatto Quotidiano”)

“Continuo a pensare che abbiamo fatto bene a non cedere alle lusinghe dei grillini. Faranno il governo con la Lega? Auguri! A noi spetta il compito di fare l’opposizione”. Entra nel dibattito della formazione del nuovo governo, che ormai sembra cosa fatta tra la Lega e i cinquestelle, Antonio Rubino, esponente dei Partigianidem e ala di minoranza del partito democratico in Sicilia.

“Non capisco i tanti esponenti del mio partito che gridano allo scandalo sull’accordo Salvini-Di Maio dopo aver detto per mesi, giustamente, che tocca a loro. L’unico vero elemento di contraddizione emerge per il M5S, che ha legato le sue sorti al permesso di Berlusconi. In ogni caso adesso governino e noi lavoriamo a ricostruire il Pd ed una proposta politica per il Paese”.

“L’alleanza di centrodestra non si rompe. Posso semplicemente ripetere quello che vado dicendo da due mesi, lavorerò fino all’ultimo per dare un governo al Paese che risolva i problemi degli italiani. E siccome sono come San Tommaso finchè non tocco non credo. Io non vendo fumo, quindi lasciatemi lavorare. Datemi 24 ore e vi saprò dire qualcosa. Se non ci dovessero essere novità, l’unica strada è il ritorno al voto”. 

Con queste parole il leader della Lega, Matteo Salvini, ha sintetizzato davanti alle telecamere il suo pensiero, dopo aver avuto un incontro con Luigi Di Maio. Da quanto è emerso, l’accordo per il governo sarebbe già fatto.

 

“Siamo rallegrati della circostanza che anche gli altri consiglieri che occupano i banchi della minoranza, finalmente, si siano svegliati dal torpore, seguendo il M5S nelle battaglie portate avanti nell’interesse dei cittadini. In questo caso, in un’operazione di verità e trasparenza: la situazione finanziaria è grave e i palermitani devono saperlo”. E’ ancora Ugo Forello, capogruppo a Sala delle Lapidi dei cinquestelle, che ritorna sulla grave situazione economica del Comune di Palermo, plaudendo alla minoranza ma al contempo dicendo “che sta facendo solo adesso fronte comune contro Orlando”.

“Davanti ai dati preoccupanti dei conti economici del Comune di Palermo – aggiunge Forello – soltanto Orlando e i suoi sodali continuano a mantenere ostinatamente una posizione del ‘va tutto bene’, mentendo consapevolmente ai nostri concittadini”.

“Nessuno pensi, comunque, di sottrarsi alla critica – ha detto infine Forello – perché la vecchia politica che oggi s’indigna è la stessa che nel passato ha contribuito a determinare lo stato di difficoltà del Comune di Palermo, causando anche il fallimento dell’Amia, di cui ancora oggi ne paghiamo le conseguenze. È necessario voltare pagina e avviare un percorso di innovazione, che sia di netta rottura rispetto al pantano degli ultimi quindici anni”.