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Nelle ultime settimane, il tema della sicurezza globale e della stabilità geopolitica è tornato al centro del dibattito internazionale, alimentato dalle dichiarazioni rilasciate dalla portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova che parla del “rischio di una guerra nucleare, cresciuta significativamente a causa delle politiche considerate provocatorie e distruttive messe in atto dall’Occidente”.

Le parole di Zakharova non lasciano spazio a interpretazioni: “L’Occidente, guidato dagli Stati Uniti, continua a intraprendere una politica di escalation e pressione che non fa altro che avvicinare il mondo a una possibile catastrofe nucleare”, ha affermato durante una recente conferenza stampa. Per la diplomatica russa, le azioni degli Stati Uniti e dei suoi alleati della NATO stanno minando ogni possibilità di dialogo e cooperazione internazionale, contribuendo a un clima di crescente tensione tra le potenze nucleari.

Le accuse alla NATO e il contesto geopolitico
Zakharova ha puntato il dito in particolare contro le operazioni della NATO ai confini della Russia e l’espansione dell’Alleanza Atlantica in Europa orientale, considerate da Mosca come una minaccia diretta alla sua sicurezza nazionale. La portavoce ha inoltre criticato l’invio di armamenti avanzati e il sostegno militare e finanziario fornito da diversi paesi occidentali all’Ucraina, interpretato dal Cremlino come un tentativo di “contenere” la Russia e di destabilizzare ulteriormente la regione.

Secondo l’analisi russa, l’Occidente starebbe spingendo il mondo verso una nuova corsa agli armamenti, simile a quella della Guerra Fredda, ma con rischi ancora più elevati data l’elevata instabilità globale e la mancanza di meccanismi di controllo delle armi e dialogo tra le grandi potenze.

Le conseguenze per la sicurezza globale
Le dichiarazioni di Zakharova arrivano in un momento delicato, caratterizzato da un’escalation retorica tra Mosca e le capitali occidentali, con ripetuti richiami a un possibile impiego dell’arsenale nucleare russo nel caso di minacce alla sopravvivenza dello Stato. La portavoce ha sottolineato come, a differenza dell’Occidente, la Russia mantenga una dottrina nucleare “puramente difensiva”, che prevede l’uso delle armi nucleari solo in risposta a un attacco diretto con armi di distruzione di massa o a una minaccia esistenziale per il Paese.

Questa presa di posizione si inserisce in un contesto di crescente sfiducia reciproca e ridotta comunicazione tra le parti. Le recenti decisioni di sospendere alcuni trattati chiave sul controllo degli armamenti, come il New START, e di ridurre al minimo i contatti militari bilaterali tra Russia e Stati Uniti, hanno ulteriormente indebolito le strutture di sicurezza che finora avevano contribuito a prevenire un conflitto nucleare.

La reazione dell’Occidente
Le affermazioni di Zakharova sono state accolte con scetticismo e preoccupazione dalle capitali occidentali. I portavoce della NATO e del Dipartimento di Stato americano hanno respinto le accuse russe, affermando che l’Alleanza e i suoi membri non hanno intenzione di provocare un confronto diretto con la Russia e che tutte le iniziative prese finora sono esclusivamente difensive e finalizzate a garantire la sicurezza dei paesi membri.

Tuttavia, la retorica di Mosca sembra mirata a consolidare il sostegno interno e a rafforzare la narrativa di una Russia accerchiata e minacciata da forze esterne, alimentando così il consenso attorno alla linea dura del Cremlino. Sul piano internazionale, il richiamo al pericolo nucleare ha l’obiettivo di scoraggiare ulteriori pressioni occidentali, inclusi nuovi pacchetti di sanzioni e il sostegno militare all’Ucraina.

L’avvertimento lanciato da Maria Zakharova rappresenta l’ennesimo campanello d’allarme in un mondo sempre più diviso e polarizzato. Se le politiche aggressive e le risposte muscolari dovessero continuare, il rischio di una nuova era di instabilità globale e di una corsa agli armamenti nucleari appare sempre più concreto. In questo contesto, l’auspicio è che le potenze internazionali possano trovare un terreno comune per ristabilire un dialogo costruttivo e per evitare che il mondo precipiti in una nuova crisi, le cui conseguenze potrebbero essere devastanti per l’intera umanità.

Calano i prestiti, ma aumentano i finanziamenti e gli italiani si ritrovano sempre più indebitati. Il panorama finanziario italiano sta vivendo un cambiamento significativo. Secondo gli ultimi dati diffusi da istituti di ricerca economica e banche centrali, sebbene si registri un calo generale nei prestiti personali tradizionali, è in costante aumento il ricorso a finanziamenti di vario tipo. Questo scenario evidenzia un fenomeno allarmante: gli italiani sono sempre più indebitati, nonostante le apparenze di una riduzione del credito.

Calano i prestiti tradizionali

La diminuzione dei prestiti personali concessi dalle banche tradizionali si è manifestata con un calo di oltre il 5% rispetto all’anno precedente. Questo tipo di prestito, che solitamente viene richiesto per affrontare spese come l’acquisto di beni durevoli o per finanziare progetti personali, è stato frenato principalmente dall’aumento dei tassi di interesse e dalle condizioni più stringenti imposte dagli istituti bancari.

Le banche, infatti, hanno adottato una politica più cauta nel concedere prestiti, soprattutto a causa dell’incertezza economica e della difficoltà di molti cittadini nel rispettare le scadenze di pagamento. L’inflazione e la crescita dei costi della vita hanno ridotto la capacità di rimborso delle famiglie, spingendo le banche a limitare l’erogazione di crediti con una maggiore esposizione al rischio.

L’aumento dei finanziamenti e delle linee di credito

Tuttavia, parallelamente al calo dei prestiti tradizionali, è stato osservato un aumento delle richieste di finanziamenti e linee di credito. Questi strumenti, che comprendono i prestiti finalizzati per l’acquisto di auto, elettrodomestici e altri beni di consumo, hanno visto una crescita del 7% nell’ultimo anno. Anche il credito al consumo, sotto forma di carte revolving e cessioni del quinto, è in aumento, segno che molte famiglie cercano soluzioni alternative per gestire le proprie spese.

Questa tendenza rivela un problema strutturale: gli italiani, a fronte di una contrazione del potere d’acquisto, stanno cercando nuove forme di indebitamento per mantenere il loro tenore di vita. Non potendo più contare su prestiti a lungo termine, sempre più persone ricorrono a soluzioni che, pur permettendo un accesso più facile al credito, hanno spesso tassi di interesse più elevati e condizioni meno favorevoli.

L’indebitamento delle famiglie italiane: fenomeno in crescita

L’incremento dei finanziamenti a breve termine e delle linee di credito è un chiaro indicatore di un crescente indebitamento delle famiglie italiane. Secondo l’ultima rilevazione dell’Osservatorio Nazionale sul Credito, il livello di indebitamento medio delle famiglie ha superato i 20mila euro, un record preoccupante che mostra come molti cittadini siano costretti a fare affidamento sul credito per sostenere anche le spese quotidiane.

Inoltre, l’incidenza delle rate di finanziamento sul reddito disponibile è salita al 12 per cento, un valore che dimostra quanto l’indebitamento stia diventando una componente rilevante del bilancio familiare. Sempre più italiani utilizzano questi strumenti non solo per finanziare progetti specifici, ma per coprire i costi essenziali della vita, come l’istruzione, le cure mediche e, in alcuni casi, le spese alimentari.

Cause e implicazioni del fenomeno

Le ragioni di questo trend sono molteplici. In primo luogo, la pressione dell’inflazione ha eroso il potere d’acquisto dei consumatori, rendendo difficile far fronte alle spese con il solo reddito disponibile. Di conseguenza, il ricorso al credito è diventato una necessità per molti. In secondo luogo, il mercato del lavoro, ancora caratterizzato da una forte precarietà, non garantisce una stabilità economica sufficiente per affrontare spese straordinarie senza dover ricorrere a prestiti o finanziamenti.

Un altro fattore che alimenta questo fenomeno è la crescente promozione di finanziamenti e linee di credito da parte delle società finanziarie, che offrono soluzioni sempre più personalizzate e accessibili. Spesso, però, questi prodotti celano tassi di interesse elevati, che possono portare a un ulteriore aggravamento della situazione debitoria delle famiglie nel lungo termine.

La preoccupazioni degli esperti

Gli esperti di economia e finanza stanno lanciando l’allarme: l’aumento dell’indebitamento, se non accompagnato da una crescita dei redditi e da un miglioramento delle condizioni economiche generali, rischia di sfociare in una crisi finanziaria personale per molte famiglie. Il rischio di insolvenza e di morosità è in crescita, e le politiche di contenimento dell’inflazione attraverso l’aumento dei tassi di interesse stanno complicando ulteriormente la situazione. Secondo gli analisti, è fondamentale che il governo intervenga con misure mirate per sostenere le famiglie più vulnerabili e per garantire un accesso al credito più responsabile e sostenibile. Tra le proposte ci sono incentivi per il risparmio, agevolazioni fiscali e il rafforzamento dei servizi di consulenza finanziaria per aiutare i cittadini a gestire meglio i propri debiti.

Il calo, dunque, dei prestiti tradizionali e il contemporaneo aumento dei finanziamenti e delle linee di credito sono un segnale preoccupante per la salute finanziaria delle famiglie italiane. Questo fenomeno riflette una crescente difficoltà economica che, se non affrontata adeguatamente, potrebbe avere ripercussioni gravi sul tessuto sociale del Paese. È necessario promuovere una maggiore consapevolezza sui rischi dell’indebitamento e implementare politiche efficaci per sostenere i redditi e prevenire una crisi del credito che potrebbe colpire duramente il sistema economico nazionale.

(fonte foto www.cgiamestre.com)

E’ un attacco a tutto tondo quello del segretario nazionale di “Indipendenza!”, Gianni Alemanno, che stamattina, nel corso di un incontro pubblico al palazzo municipale di Messina, ha ribadito la propria contrarietà alla realizzazione del Ponte sullo Stretto.

“Un progetto lacunoso, incompleto, costosissimo e inutile – ha detto Alemanno – che ha già iniziato a bruciare una enorme quantità di risorse. Alla Sicilia e alla Calabria servono consapevolezza culturale, legalità, strade, ferrovie, prevenzione idrogeologica, rigenerazione urbana, difesa della bellezza e non l’ennesima illusione di un’opera priva di senso e logica. L’attuale ‘progetto Ponte’ è solo una grottesca operazione, priva di un vero progetto esecutivo e con lacune praticamente insormontabili, sottolineate dalle centinaia di osservazioni sostanziali formulate dal Ministero dell’Ambiente, dalla Commissione tecnica del Ministero delle Infrastrutture, dagli ordini professionali, dalle associazioni e dai comitati cittadini. E poi a ciò si aggiunge la follia di un piano espropri surreale che dovrebbe portare alla demolizione di migliaia di abitazioni e di spazi pubblici, per edificare due mostruosi piloni di oltre 400 metri d’altezza, che pregiudicherebbero per sempre uno dei paesaggi naturali, storici e mitologici più belli e importanti al mondo”.

Dunque, una totale bocciatura per un’opera reputata fondamentale e voluta dal ministro Matteo Salvini che si sta giocando, con il Ponte, una partita esclusivamente elettorale contro il resto del suo partito, che certamente non vede di buon occhio un’infrastruttura che si scontra contro la politica leghista pro Nord.

Inoltre, Alemanno ha ribadito la “il dovere di sostenere una politica che sappia ascoltare le reali esigenze della gente e costruire, al contempo, una classe dirigente che accolga il grido di cambiamento di tanti, contro logiche che mettono sempre al centro interessi clientelari e propagandistici. Dalla Sicilia deve partire il riscatto per favorire quello sviluppo economico e sociale, che non può prescindere dalla scelta di uomini e donne all’altezza di portare avanti battaglie che possano ridare speranza ai siciliani”.

L’ex sindaco di Roma si recherà, nel tardo pomeriggio, a Bagheria e poi a Mazara del Vallo per sostenere i propri candidati alle prossime amministrative e per incontrare i dirigenti del movimento della Sicilia occidentale.  

“Indipendenza! oggi in Sicilia vuole dare un segnale chiaro e forte ponendosi a fianco dei tantissimi amministratori che negli anni scorsi hanno lavorato bene sul territorio. E la figura di Nicola Cristaldi, candidato sindaco di Mazara del Vallo, che ha dimostrato doti di spessore come amministratore, va proprio in questa direzione. Una scommessa che ci vede costruttori nel saper aggregare risorse umane, quale valore aggiunto di una politica che guarda oltre gli steccati delle sigle”.

Questo il calendario degli appuntamenti pomeridiani

Gianni Alemanno terrà un incontro alle 16.30 a Bagheria presso il locale Agapè, a sostegno del candidato alle amministrative Fabio Catrisano. Alle 19.30 si recherà, invece, a Mazara del Vallo per sostenere la candidatura a Sindaco di Nicola Cristaldi e dove incontrerà la candidata alle ammnistrative, Adriana Cavasino.

 

 

 

Appare tutta in divenire la partita delle europee di giugno, anche se il partito di Giorgia Meloni conferma il podio, ma non riesce a sfondare il tetto del 30 per cento rimanendo ben sotto il 27 per cento. E’ quanto emerge dal sondaggio di Quorum/YouTrend commissionato per Sky Tg24. Uno scenario al quale si aggiunge il calo complessivo del centrodestra, che vede anche Forza Italia in difficoltà. Dunque, consecutiva flessione nelle intenzioni di voto degli italiani per Fratelli d’Italia, che resta, come abbiamo detto, il primo partito con il 26,8% (-0,5% dal 6 maggio). Cala anche Forza Italia (8%, -0,3%) che deve dare il passo come seconda forza del centrodestra alla Lega (stabile all’8,3%).

Il Pd, invece, rimane il secondo partito in Italia, riavvicinandosi al 21% (20,7%, +0,2%). Continua ad attorno al 16% il M5S (16,1%: +0,1%). Tra i tre partiti che si avvicinano alla soglia di sbarramento, stabile AVS al 4,4%, crescono leggermente SUE (4,7%, +0,2%) e soprattutto Azione di Calenda, che arriva esattamente alla soglia 4% (+0,2%).

Simulazione seggi: Fratelli d’Italia al momento otterrebbe 21 seggi (ne aveva 6 nel 2019). Seguirebbe il Pd con 17 seggi (in calo di 2) e il Movimento Cinque Stelle con 14 seggi (stabile). Tonfo della Lega da 29 a 6, stesso numero per Forza Italia (in perdita di un seggio). Stati Uniti d’Europa raggiungerebbe quota 4 seggi, così come Alleanza-Verdi Sinistra. Azione ne avrebbe 3, il Südtiroler Volkspartei 1.

Peggiora il giudizio degli intervistati su Giorgia Meloni, che raggiunge Giuseppe Conte: il 33% degli italiani dice di avere fiducia in loro. In leggera salita Elly Schlein (25%), in discesa Antonio Tajani (anche lui al 25%). Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella torna al 64%. Come Meloni e Tajani, va verso il basso anche la fiducia in Matteo Salvini (17%). Stabile Carlo Calenda, al 16%, e in discesa dell’1% Matteo Renzi.

Parallelamente al leggero calo della fiducia nei tre leader dei maggiori partiti di Centrodestra, peggiora anche il giudizio complessivo sul governo Meloni: è positivo per il 34% degli intervistati, -3%.

(fonte Sky Tg24)

Kate Middleton è in cura per un cancro, lo ha annunciato lei stessa in un videomessaggio. E’ ancora sottoposta ad un ciclo di chemioterapia iniziato a febbraio.

La principessa del Galles, 42 anni, era stata ricoverata in ospedale il 16 gennaio per un intervento all’addome. Al momento dell’operazione si pensava che la sua condizione non fosse cancerosa, poiché nessun test aveva confermato la presenza del tumore. Tuttavia, i test postoperatori hanno, invece, ribaltato la diagnosi.

Seduta su una panchina a Windsor, Kate ha ringraziato il marito, il principe William, per il suo sostegno nella toccante clip. La principessa ha anche detto di aver dato la notizia a George, 10 anni, Charlotte, 8, e Louis di 5 anni, dicendo loro che sarebbe andato tutto “bene”. “Il mio team medico mi ha quindi consigliato di sottopormi a un ciclo di chemioterapia preventiva e ora sono nelle fasi iniziali di quel trattamento”.

“Questo ovviamente è stato un enorme shock. William e io abbiamo fatto tutto il possibile per elaborare questa cosa in privato per il bene della nostra giovane famiglia. Come puoi immaginare, ci è voluto del tempo. Ci è voluto del tempo per riprendersi da un intervento chirurgico importante e per iniziare il trattamento. La cosa più importante è che ci è voluto del tempo per spiegare tutto a George, Charlotte e Louis in un modo che fosse appropriato per loro e per rassicurarli che starò bene. Come ho detto loro, sto bene e sto diventando più forte ogni giorno concentrandomi sulle cose che mi aiuteranno a guarire nella mia mente, nel mio corpo e nel mio spirito”.

(fonte Ansa)

IL VIDEO PUBBLICATO SU X

Uno scenario da incubo per le tantissime famiglie italiane che, a causa della grave crisi economica e, dunque, dei prezzi al rialzo dei beni di consumo, hanno visto svuotare i propri conti correnti.

E’ quanto emerge da uno studio condotto dalla Fabi (Federazione autonoma bancari italiani) che parla di un’inversione di tendenza al risparmio delle famiglie causata dall’inflazione e in particolare del carovita.

Dopo quattro anni di costanti aumenti – si legge nella ricerca della Fabi – nel 2022 il saldo totale dei conti correnti delle famiglie è diminuito di quasi 20 miliardi di euro. Da agosto a novembre si è registrato, infatti, un calo di 18 miliardi da 1.177 miliardi a 1.159 miliardi, con una riduzione dell’1,5%. Già a giugno, rispetto a maggio, c’era stata una prima diminuzione di 10 miliardi.

La vistosa inversione di tendenza sulla capacità di accumulo dei correntisti, evidenzia l’analisi della Fabi, arriva dopo un lungo periodo di incremento dei saldi dei depositi bancari: a fine 2017 l’ammontare complessivo era a quota 967 miliardi, a fine 2018 a quota 990 miliardi (+23 miliardi), a fine 2019 a 1.044 miliardi (+54 miliardi), a fine 2020 a 1.110 miliardi (+66 miliardi) e a fine 2021 a 1.144 miliardi (+34 miliardi).

Se nei primi sette mesi del 2022 la liquidità accumulata dalle famiglie ha quasi sfiorato i 1.180 miliardi di euro, con una crescita – seppur più lenta rispetto al passato – dello 0,9% da inizio anno, i dati dei quattro mesi successivi confermano i timori, ormai accertati, di un “crollo di potere di acquisto – evidenzia la Fabi – che costringe gli italiani ad attingere alle loro riserve per far fronte ai maggiori costi”.

Da luglio a novembre, il totale dei conti correnti è calato di quasi 20 miliardi di euro. Il valore complessivo era di 1.178 miliardi di euro a luglio e di 1.159 miliardi di euro a fine novembre, con una riduzione di quasi due punti percentuali (-1,53%) e che dimostra che il prezzo della crisi comincia ad essere tutto nelle tasche degli italiani.

Con l’inflazione e il carovita aumentano inoltre i debiti delle famiglie italiane. In particolare si registra un incremento dei prestiti per il consumo e una tenuta dei finanziamenti personali. Nel complesso l’ammontare dei prestiti per entrambe le categorie a fine 2022 si è attestato a 256 miliardi di euro, in crescita rispetto a gennaio dello stesso anno (+1,5 %) e superando la tendenza al costante aumento dal 2017, pari all’1,2%.

I numeri di crescita del mondo dei prestiti finalizzati e non finalizzati arrivano come uno “schiaffo rispetto a quelle che sono le condizioni di mercato, perché non sono certamente i bassi tassi di interesse a spingere le richieste, ma piuttosto la crescente propensione a rateizzare gli acquisti, che rende contradditorio il rapporto che gli italiani hanno con economia e risparmio”, evidenzia l’analisi.

(fonte ansa – foto: fidelityhouse.eu e newsprima.it)

Un’analisi a tutto tondo che dà un quadro ben chiaro di come l’era degli smartphone sembra essersi avviata verso un picco negativo. L’anno scorso, infatti, le consegne sono scese sotto gli 1,2 miliardi, nel quarto trimestre calo del 17% sull’anno prima. I dati peggiori da un decennio. L’analista Paolo Pescatore afferma che “i prezzi stanno andando tutti nella direzione sbagliata, con i consumatori che sentono la pressione e tirano la cinghia”.

Gli smartphone, dunque, avrebbero  esaurito la loro spinta. I telefoni intelligenti hanno toccato il loro picco nel 2016 per iniziare la discesa. Sia a livelli di vendite (nel 2016 fu toccato il massimo, con 1.473 milioni di dispositivi consegnati nel mondo), che a livello di innovazione e di interesse del pubblico, oggi assai più tiepido per un dispositivo che ha cambiato il mondo ma che ormai non riesce più a rinnovarsi in modo sostanziale.

I dati appena usciti però certificano un fatto inedito: il 2022 è stato l’anno nero degli smartphone. Le vendite globali (dati Canalys) sono scese sotto la soglia degli 1,2 miliardi di pezzi. Sempre moltissimi ma il quarto trimestre  (Q4) dello scorso anno, quello tradizionalmente più ricco perché comprende il periodo del Natale e le offerte del Black Friday e del Cyber Monday, ha avuto un vero tracollo rispetto al Q4 del 2021: il calo è stato del 17%, mentre sull’intero 2022 è stato dell’11%. Per trovare dati peggiori bisogna tornare al 2013, l’anno in cui gli smartphone superarono i vecchi cellulari (le consegne si fermarono poco sotto il miliardo totale).

 LA CRISI

“I produttori di smartphone hanno lottato in un contesto macroeconomico difficile per tutto il 2022. Il quarto trimestre segna la peggiore performance annuale e di un Q4 in un decennio” ha dichiarato Runar Bjørhovde, analista di Canalys Research. I problemi con i lockdown per il Covid in Cina, la guerra in Ucraina, l’inflazione e il rincaro di materie prime e logistica sono tutti fattori che hanno azzoppato le vendite. Prezzi dei dispositivi sempre più alti, scarsa innovazione e potere d’acquisto diminuito hanno completato il quadro. Durante il 2022 a essere impattati di più sono stati soprattutto i telefoni a medio e basso costo, quelli che sviluppano i volumi più grossi (ma i margini minori), ma nel quarto trimestre sono stati toccati anche i modelli premium. La performance del mercato nel Q4 2022 è in netto contrasto con il Q4 2021, che ha visto un aumento della domanda e un allentamento dei problemi di offerta. 

LO SCENARIO PER IL 2023

Per l’anno appena iniziato non si intravvedono grandi possibilità di invertire la rotta. Tecnologie come il 5G, che fino a un paio d’anni fa diversi esperti consideravamo importanti per trainare le vendite hanno rivelato tutta la loro debolezza. Ormai tutti i telefoni o quasi sono 5G ma nessuno si fionda a dismettere un vecchio modello 4G soltanto per il 5G, perché i servizi sono ancora embrionali e i benefici in termini di velocità e qualità della rete ancora non così rilevanti. 
“I fornitori si avvicineranno al 2023 con cautela, dando priorità alla redditività e proteggendo la quota di mercato – dice Le Xuan Chiew, altro analista di Canalys -. I fornitori stanno tagliando i costi per adattarsi alla nuova realtà del mercato. Anche se le pressioni inflazionistiche si allenteranno gradualmente, gli effetti degli aumenti dei tassi di interesse, dei rallentamenti economici e di un mercato del lavoro sempre più in difficoltà, limiteranno il potenziale del mercato” influenzerà negativamente i mercati saturi, dominati dalla fascia medio-alta, come l’Europa occidentale e il Nord America. 

Nessuno ride, ma guardando ai marchi – sempre secondo i dati Canalys – Apple ha recuperato il primo posto tra i produttori nel quarto trimestre 2022 e ha raggiunto la sua quota di mercato trimestrale più alta di sempre al 25%, nonostante i problemi di produzione nel maxi stabilimento di  Zhengzhou, in Cina. Samsung ha chiuso il Q4 al secondo posto con una quota di mercato del 20%, ma si è comunque confermato primo marchio guardando all’intero 2022. Xiaomi ha mantenuto il terzo posto nonostante la sua quota sia scesa all’11% nel Q4, in gran parte a causa  di difficoltà in India. Le altre due cinesi Oppo vivo hanno completato la top 5 dei produttori, conquistando rispettivamente il 10% e l’8% delle quote di mercato.

QUALE DUNQUE LA SOLUZIONE?
Prova a rispondere Paolo Pescatore, analista di PP Foresight, esperto in Tecnologia e digitale: “Per i produttori di smartphone sta diventando sempre più difficile differenziare i dispositivi. Per anni hanno progettato modelli guidati dall’insaziabile desiderio degli utenti di essere connessi con schermi più grandi, batterie di lunga durata e fotocamere migliori. Per questo motivo, ora ci si concentra molto sul miglioramento significativo delle funzionalità esistenti, sull’esperienza dell’utente e sul rendere i dispositivi a prova di futuro, prolungando il ciclo di vita del prodotto”.

Guardando avanti aggiunge Pescatore : “I produttori di elettronica di consumo hanno una lunga storia di investimenti nel tentativo di fornire una soluzione a un problema. Basti pensare alle tv arrotolabili, i cui display potrebbero arrivare sui dispositivi mobili. Le sfide da affrontare sono immense e richiedono un’impressionante lavoro di ingegneria e anni di sviluppo. Il mio timore è che molte di queste tecnologie, l’8K è un altro esempio, vengano lanciate troppo presto, quando non c’è una reale domanda del pubblico”.

E tornando agli smartphone l’analista britannico di origini italiane aggiunge: “Le prime incursioni nei dispositivi pieghevoli hanno riacceso il mercato e creato entusiasmo. Ma sebbene questi nuovi design innovativi siano piacevoli da avere, non si tratta di caratteristiche indispensabili per gli utenti. E si stanno rivelando proibitivi dal punto di vista dei costi. Sebbene gli utenti vogliano di più, è improbabile che spendano più del dovuto. Lo smartphone rimane il coltellino svizzero del mondo tecnologico, ma la crisi del costo della vita sta avendo un impatto profondo su tutte le aziende; nessuno ne è immune. Questo causerà un effetto domino, incidendo sulla disponibilità degli utenti ad acquistare un nuovo dispositivo premium. I prezzi stanno andando tutti nella direzione sbagliata, con i consumatori che sentono la pressione e tirano la cinghia. Inevitabilmente, questo avrà un impatto negativo sulle vendite, con gli utenti che si terranno più a lungo i loro telefoni, cedendoli e magari acquistandone uno più economico”.

Quindi alla fine il ritorno ad apparati diciamo più datati, potrebbe essere la scelta obbligata in un mondo dove la grande crisi economica è la vera “sovrana” a dettare legge.

(fonte Corriere.it e foto istockphoto.com)

E’ un appello forte quello lanciato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo intervento al primo Festival delle Regioni e delle Province Autonome, che si è tenuto a Palazzo Lombardia a Milano.

“I massicci finanziamenti erogati dalla Commissione europea sono destinati precisamente ad accelerare l’infrastrutturazione del Paese colmando i divari che prima ho ricordato, a partire da quello tra il Nord e il Meridione. Si registra un’ampia condivisione in ordine alla necessità di completare il programma di riforme e, per quanto riguarda gli investimenti, di considerare una priorità assoluta gli obiettivi individuati nel Piano per far crescere l’economia all’insegna della sostenibilità e dell’uguaglianza. Dinanzi a sfide di questa portata è richiesto l’impegno convergente delle istituzioni e di tutte le forze politiche e sociali”.

“Un impegno – ha aggiunto Mattarella – che abbiamo assunto in sede europea e che va, ovviamente, onorato. Opportunamente il Presidente Fedriga ha definito il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ‘un momento straordinario di potenziale sviluppo del nostro Paese’. E va apprezzata la disponibilità della Conferenza a contribuire all’attuazione del Piano favorendo l’integrazione di tutte le politiche pubbliche e uno sviluppo omogeneo dei territori. La leale collaborazione e la disponibilità al dialogo, al confronto e alla collaborazione che le Regioni manifestano meritano di essere fatte proprie da tutti nell’interesse dell’Italia”.

Un messaggio più che subliminale che ha come destinatario il governo Meloni e in particolare gli ultimi provvedimenti attuati, anche in riferimento al piano di resilienza, che da retroscena interni non sono andati giù al Capo dello stato. Per non parlare della bocciatura in toto della prima manovra finanziaria da parte della Corte dei conti che da Banca d’Italia. E l’insoddisfazione dei sindacati e di Confindustria. Parte, dunque, tutta il salita la “scalata” della Meloni, che tra le altre cose negli ultimi sondaggi sembra aver arrestato la spinta dovuta alle tante promesse elettorali. Perchè una cosa è sciorinare le pagine dei libri dei sogni, un’altra è riuscire a riempirne le pagine.

(Fonte video agenzia vista)

E’ un durissimo attacco quello del leader dei cinquestelle, Giuseppe Conte, contro la premier Giorgia Meloni. Il contendere è il famigerato reddito di cittadinanza che la stessa Meloni ha detto voler cancellare per rimodularlo.

“Con questa manovra di bilancio – ha detto Conte in un video sul suo profilo facebook – il Governo Meloni vuole togliere tutto a oltre 600mila cittadini nel 2023: fanno cassa su chi non arriva a fine mese. Non sono numeri su una calcolatrice, sono persone e famiglie. Domani da Napoli parte una serie di incontri nelle città da Nord a Sud per conoscere le loro storie: tutti devono conoscere questa realtà. A chiunque può capitare di trovarsi in difficoltà, lo Stato non può voltare le spalle”. 

Fratelli d’Italia si conferma ancora primo partito italiano con il 28% (con una crescita di 2 punti percentuali rispetto al voto del 25 settembre 2022). Seguono il Movimento 5 Stelle al 18% (+2.6%) e il Pd al 17% (-2.1%), poi la Lega con il 10% (+1.2%). Quindi con lo stesso valore, nella quinta posizione, all’8% Forza Italia (-0.1%) e Azione-Italia Viva (+0.2%). Seguono i Verdi al 3.5% (-0.1%), +Europa al 2% (-0.8%) e infine Noi Moderati all’1.5% (+0.6%). Per quanto riguarda le coalizioni, il Centrodestra raggiunge il 47.5% (+3.7%), mentre il Centrosinistra si ferma al 22.5% (-3.6%).

E’ quanto emerge dal sondaggio commissionato dalla trasmissione “Porta a Porta” all’istituto demoscopico Noto. Un trend che mette in evidenza come il partito della Meloni sia saldamente in sella, non sfondando però ancora il tetto del 30 per cento. E il movimento cinque stelle che lo tallona con un gap di 10 punti. Mentre il Pd crolla, la Lega riprende fiato e l’accoppiata Calenda-Renzi aumenta leggermente i consenso. Scende anche Forza Italia e tutta l’area di centrosinistra.

Invece dal versante gradimento, l’Emg pubblica un sondaggio per il programma di Rai3 Agorà che vede ancora Mario Draghi come leader politico più gradito dagli italiani. Secondo la rilevazione, infatti, l’ex presidente del consiglio mantiene intatto il gradimento di fiducia al 54%, mentre l’attuale premier Giorgia Meloni guadagna un punto in una settimana salendo al 47 per cento.

Al 40%, stabile rispetto al sondaggio precedente, c’è il governatore del Veneto Luca Zaia, seguito al 35 per cento dal leader del M5S Giuseppe Conte, che perde un punto. Guadagna due punti, invece, il leader della Lega Matteo Salvini, ora accreditato al 33 per cento, seguito dal governatore dell’Emilia-Romagna nonché aspirante segretario del Pd Stefano Bonaccini, che si trova al 32%.

Berlusconi ottiene il 29 per cento del gradimento degli italiani, Calenda il 23%, Letta in calo di un punto, il 20 per cento, mentre chiude la classifica il leader di Italia Viva Matteo Renzi con il 20 per cento dei consensi.

(fonte Adnkronos e Tpi – foto © Combo/AGF)