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Il balzo dei prezzi sui mercati mondiali delle materie prime alimentari si registra nelle quotazioni del grano e della pasta. E la guerra in Ucraina porta con sé ricadute, dunque, pesanti anche per la tavola e le tasche degli italiani.

Quest’ultima – fanno notare da Assoutenti – che già a gennaio ha subito un rincaro del 12,5%, potrebbe arrivare a costare il 30% in più rispetto allo scorso anno. Il prezzo del pane, cresciuto del 3,7% lo scorso mese, potrebbe subire aumenti del 10%. Gli analisti tuttavia, anche tenendo conto del costo di energia e gas alle stelle e dell’inflazione che tende a stabilizzarsi sugli alti livelli di adesso, ritengono che l’aumento di due beni di consumo primari per gli italiani come pane e pasta possano gonfiarsi fino ad arrivare a un 50% in più.

Il Cai (Consorzi Agrari d’Italia) lancia l’allarme indicando che le quotazioni di grano tenero sono “a livelli mai visti prima d’ora e le prime conseguenze potrebbero ricadere presto su consumatori e agricoltori”. Federalimentari ritiene che il costo della pasta potrebbe superare il 10%, percentuale che si aggiunge all’aumento del 10% avvenuto a fine dello scorso anno.

Coldiretti spiega che le quotazioni del grano sono balzate del 5,7% nella sola giornata del 24 febbraio, subito dopo l’attacco della Russia all’Ucraina, raggiungendo il valore massimo da 9 anni a 9.34 dollari a bushel. Per Assopanificatori-Fiesa Confesercenti il prezzo del pane potrebbe aumentare del 10% a causa del conflitto, ma la stima di incremento, che va ad aggiungersi al 10-15% in più del 2020, è soggetto a diverse variabili, tra cui l’aumento dell’energia e del gas che impatta sul funzionamento di macchine e forni.

Sulla questione Coldiretti ha segnalato che il prezzo del pane fresco in media è già aumentato a gennaio del 3,8% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Un chilo di grano tenero – dice l’organizzazione – in Italia è venduto a circa 32 centesimi, mentre un chilo di pane è acquistato dai cittadini ad un valore medio di 3,2 euro al chilo “con un rincaro quindi di dieci volte, tenuto conto che per fare un chilo di pane occorre circa un chilo di grano”.

Il Cai, nella rilevazione di ieri, ha indicato che il grano tenero, utilizzato per la produzione di pane, farine e biscotti, viene quotato, a seconda del valore proteico, dai 4 agli 8 euro in più a tonnellata, attestandosi in media intorno ai 315-320 euro per tonnellata, fino ad arrivare a 381 euro a tonnellata (+2,5%).

L’ Ucraina, osserva la Coldiretti, si colloca al terzo posto come esportatore di grano a livello mondiale, la Russia al primo, e garantiscono insieme circa un terzo del commercio mondiale. Dall’Ucraina arriva in Italia grano tenero per la produzione di pane e biscotti per una quota pari al 5% dell’import totale nazionale e una quantitativo di 107 mila tonnellate nei primi dieci mesi del 2021. Un valore quasi doppio rispetto a quello proveniente dalla Russia (44 mila tonnellate) dalla quale arriva anche il grano duro per la pasta (36 mila tonnellate).

L’Italia è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori – sottolinea Coldiretti – molte industrie hanno preferito continuare ad acquistare per anni in modo speculativo sul mercato mondiale, anziché garantirsi gli approvvigionamenti con prodotto nazionale attraverso i contratti di filiera.

“Abbiamo abbandonato quasi la metà delle superfici agricole, non tanto e non solo per le trasformazioni economiche e sociali del Paese, ma perché i prezzi delle nostre produzioni non sono giudicati vantaggiosi rispetto a quelli di altri Paesi – commenta Mauro Agnoletti, coordinatore scientifico dell’Osservatorio Nazionale sul Paesaggio Rurale – questo ha portato a un progressivo scollamento dell’industria agroalimentare dal nostro territorio”.

fonte foto agenzia Ansa

“Ho comunicato al collega Dmytro Kuleba di aver appena firmato la delibera che dispone l’erogazione immediata di 110 milioni di euro al governo di Kiev, come espressione concreta della solidarietà e del sostegno dell’Italia a un popolo con cui coltiviamo un rapporto fraterno. In questo momento l’Ucraina è sotto assedio senza avere una colpa, attaccata con continui bombardamenti dal governo russo”. Lo scrive su facebook il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.

IL VIDEO

fonte agenzia Vista

“Siamo tutti qui”, a Kiev, “i nostri militari, i nostri concittadini, la società, siamo tutti qui per difendere la nostra indipendenza, il nostro Stato”. Lo ha detto il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, in un video in cui appare con i suoi collaboratori davanti al palazzo presidenziale. Al fianco di Zelensky c’è anche il premier Denys Chmygal.

Il VIDEO del leader ucraino, Volodymyr Zelensky

L’offensiva russa in Ucraina prosegue senza sosta. La manovre militari vanno avanti mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky offre a Vladimir Putin di avviare il negoziato, parlando anche di neutralità. Dalla controparte arrivano segnali contrastanti, ma il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov fa sapere che Mosca sarebbe disposta a negoziare con l’Ucraina a Minsk. Anche Pechino caldeggia una soluzione negoziale.

L’assedio di Kiev comincia nella notte con una pioggia di missili, mentre i tank russi avanzano, pesanti ma inesorabili. La popolazione è in assetto di difesa, 18 mila fucili sono stati consegnati ai civili volontari, il sindaco-pugile Vitalij Klitschko invoca la resistenza, mentre blindati e missili Grad si schierano tra i palazzi.

Ma secondo l’intelligence Usa la caduta della capitale è questione di giorni, forse ore. Una clessidra che scorre a segnare il destino dell’Ucraina, come quello del suo presidente. La testa di Volodymyr Zelensky è sempre più l’obiettivo dichiarato di Vladimir Putin, l’ostacolo al cambio di regime preteso da Mosca per porre fine alle ostilità.

Il presidente russo chiama al golpe, facendo appello all’esercito di Kiev a “prendere il potere” e rimuovere il governo dell’ex comico diventato capo dello Stato, etichettato come una “banda di drogati e neonazisti”. Così, suggerisce il capo del Cremlino, “sarà più facile per voi trovare un accordo con noi”. L’appello all’ammutinamento è il seme della discordia sparso tra una popolazione stremata e terrorizzata, che ha trascorso la notte nelle metropolitane adibite a bunker antiaerei e il giorno a improvvisare trincee con i sacchi di sabbia. Una propaganda destabilizzante, poche ore dopo lo spiraglio aperto con la proposta di negoziati a Minsk. Colloqui che comunque “non cancellerebbero l’operazione speciale russa in Ucraina”, avverte Mosca, accusando Kiev di aver prima nicchiato, proponendo un incontro a Varsavia, e poi interrotto le comunicazioni.

La sorte del leader ucraino appare sempre più la chiave di volta del conflitto. “Questa potrebbe essere l’ultima volta che mi vedete vivo”, avrebbe detto già ieri notte in videoconferenza ai leader Ue. Il presidente giura che non mollerà, cerca ogni possibile sponda diplomatica – in serata ha risentito Joe Biden e chiesto al premier israeliano Naftali Bennett di mediare con il Cremlino, che subito ha chiuso le porte – ma intanto è costretto a confermare di essere ancora al suo posto. “Siamo qui, stiamo difendendo l’Ucraina”, dice in un video amatoriale girato per strada in look militare nella notte di Kiev, insieme a quattro fedelissimi. Alla fine del secondo giorno di invasione, l’Ucraina resiste.

Sotto attacco da tutti i fronti possibili, numericamente e militarmente schiacciati, ricacciati sempre più lontano dalle frontiere che deve difendere, i militari di Kiev combattono orgogliosi. Come i 13 soldati diventati “eroi” nazionali dopo che sui social è diventato virale l’audio in cui insultano la nave da guerra russa che ha poi occupato la piccola ma strategica isola dei Serpenti nel mar Nero, a poche miglia dalla Romania. Un esempio per i combattenti volontari, come i 9mila ucraini in Polonia che si sono fatti avanti per arruolarsi. Pur rallentata, l’offensiva non si ferma. Mosca rivendica l’eliminazione di 211 obiettivi strategici, tra cui 17 centri di comando e comunicazione.

Un quadro politico in divenire nel quale ciò che salta agli occhi è il crollo delle intenzioni di voto per la Lega, lontanissima da quel 34,26% ottenuto alle Europee del 2019. Oggi secondo quasi tutte le rilevazioni il partito di Matteo Salvini otterrebbe la metà dei voti, mentre secondo la rilevazione Quorum/YouTrend per Sky TgG24, avrebbe consensi più che dimezzati e si fermerebbe al 15,5%.

Confermato, invece, il testa a testa tra PD e Fratelli d’Italia per il posto di partito in testa alle intenzioni di voto degli italiani. I Dem sono prima ma a soli sette decimali di punto dal partito di Giorgia Meloni, mentre entrambi restano sopra la soglia psicologica del 20%. Terza forza è il Movimento 5 Stelle cui la casa di sondaggi accredita un 16,2%, dato migliore di altri istituti. Quindi come detto, la Lega al 15,5%.

Tra i partiti minori resta stabile sopra all’8% il dato di Forza Italia, mentre Azione/+Europa secondo Quorum sarebbe ben lontana dal 5% visto da altri istituti di sondaggi e si fermerebbe al 3,7%. Interessante la rilevazione di Italexit, il movimento politico di Gianluigi Paragone, quasi sempre confinato tra gli “altri partiti” nei sondaggi. Secondo questa rilevazione se si votasse oggi otterrebbe un 2,8% di consensi, dato che l’avvicina molto alla soglia di sbarramento e superiore a quelli di Sinistra Italia, Articolo1/Mdp e Italia Viva.

Il consenso di Mario Draghi

Il sondaggio ha, anche, misurato la fiducia degli italiani nel premier Mario Draghi. Ne emerge un quadro nettamente a favore del presidente del Consiglio in carica: il 60% degli intervistati dichiara infatti di avere molta o abbastanza fiducia in lui, mentre solo il 38% afferma di averne poca o nessuna.

Da tre anni aspettano il pagamento da parte della Regione, ma fino adesso non hanno ricevuto alcuna somma. Si tratta dei tirocinanti dell’ex avviso 22. Una vicenda per la quale il gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle, con a capo il capogruppo Nunzio Di Paola e la deputata Roberta Schillaci, hanno chiesto la convocazione urgente in Commissione dell’assessore regionale al Lavoro e dei vertici del Dipartimento alle Attività Formative, dei sindacati e del portavoce dei tirocinanti.

L’Avviso 22, varato nel 2018 per un valore di 25 milioni di euro, doveva finanziare i percorsi di tirocinio della durata sei mesi, o dodici nel caso di soggetti disabili e svantaggiati: ai tirocinanti doveva essere corrisposta una indennità pari a 500 euro mensili mentre a carico delle aziende era prevista la copertura assicurativa dell’Inail e la polizza per responsabilità civile verso terzi. Nonostante la Regione abbia promesso di sbloccare i pagamenti, ancora molti tirocinanti non hanno ricevuto il proprio compenso.

“Abbiamo sollecitato l’incontro – ha detto l’onorevole Roberta Schillaci, componente della Commissione all’Ars – per chiarire come risolvere i ritardi dall’assessorato dovuti anche alla mancata produzione, da parte di enti promotori e aziende, della corretta documentazione”.

“Un vero e proprio autogol quello del Sindaco Orlando, che vive ormai in un loop temporale da film di fantascienza. Vendere, anzi svendere le azioni della Gesap è un errore macroscopico. Un danno economico incalcolabile soprattutto adesso che, un’eventuale operazione di cessione di quote, il cui valore attuale è bassissimo rispetto al passato, darebbe il via ad una speculazione e ad un depauperamento aziendale dagli esisti imprevedibili”.

É quanto afferma il presidente di Unicoop Sicilia, Felice Coppolino che interviene sulla vicenda della vendita delle quote Gesap del Comune di Palermo e si associa all’appello del senatore di Italia Viva, Davide Faraone, del vice presidente di Gesap, Alessandro Albanese, e del presidente di Ance Palermo, Massimiliano Miconi che hanno manifestato la propria contrarietà.

“Condivido perfettamente quanto espresso da Davide Faraone, da Alessandro Albanese e da Massimiliano Miconiha aggiunto Coppolino – e mi interrogo sul perché di questa manovra, ponendomi soprattutto una domanda: A chi gioverebbe tutto questo?”.

“Sono assolutamente convinto che non possa e non debba essere questa la soluzione ai problemi finanziari che sta attraversando il Comune di Palermo. E il giravolta del primo cittadino di Palermo, che prima era nettamente contrario alla privatizzazione della Gesap adesso, invece, apre le porte a incerte operazioni imprenditoriali, solo forse per tentare di mettere altra polvere sotto i suoi tappeti”.

“Tutto questo – conclude Coppolino – è inaccettabile e Unicoop Sicilia sarà sempre e, comunque, a fianco dei lavoratori, se ce ne fosse bisogno, e di tutti coloro che si porranno con determinazione contro questa scelta sciagurata”.

E’ un quadro politico-elettorale in movimento a pochi mesi dal nodale appuntamento che riguarda l’elezione del Capo dello Stato. Una vicenda che sicuramente giocherà un ruolo deciso negli assetti futuri delle alleanze in vista della scadenza elettorale per le nazionali, che ad oggi è inchiodata per il 2023. E in questo sondaggio, commissionato dal Corriere.it all’Istituto Ipsos di Nando Pagnoncelli, si delinea, comunque, un centrodestra ancora vincente rispetto ad un centrosinistra che vede calare la componente dei pentastellati.

Ai vertici della graduatoria, dunque, si confermano il Pd con il 20,8% delle preferenze (stabile rispetto a ottobre), FdI che aumenta di un punto (dal 18,8% di ottobre al 19,8% odierno) e scavalca la Lega che si attesta al 19,1% (- 0,9%). Per la tranquillità di coloro che di fronte ai sondaggi gridano allo scandalo o esultano esageratamente, va osservato che le differenze tra i primi tre partiti sono davvero contenute, all’interno del margine di errore statistico e ciò determina, nelle diverse rilevazioni, sorpassi e controsorpassi sul podio. A seguire si colloca il M5S con il 15,5%, in calo di un punto, quindi Forza Italia con l’8,5% (+0,5%), poi la consueta schiera di forze politiche intorno al 2%. Da notare l’aumento del partito degli astensionisti e degli indecisi che raggiunge il 41,5%.

I dati dei partiti nel sondaggio Ipsos

Sulla base di queste stime, sommando i dati di preferenza attribuiti ai singoli partiti complessivamente le tre forze del centrodestra si attestano al 47,4% e prevalgono sia sul centrosinistra (32,1%) nonché su un’alleanza giallorossa (Pd, M5s, Art.1-Mdp e SI), accreditata del 39,1%. Viceversa, qualora si delineasse l’ipotesi, alquanto remota, di una coalizione di centrosinistra “extralarge”, comprensiva di tutte le formazioni diverse da quelle del centrodestra, lo scenario risulterebbe in equilibrio (47,6% a 47,4%).

Con l’aumento del numero dei contagi registrato nel mese di novembre è ripreso a crescere il timore degli italiani per il Covid, come pure il consenso per il green pass che si attesta al 66% (+7% rispetto a metà ottobre), mentre i contrari scendono dal 31% al 27%. Il Natale è alle porte e, nonostante oltre 47 milioni di cittadini over 12 siano stati vaccinati con almeno una dose (87%), molti sono preoccupati di non poterlo festeggiare come vorrebbero. I favorevoli al green pass prevalgono tra tutti gli elettorati, ma in misura diversa: più convinti i dem (93% i favorevoli), gli elettori delle altre formazioni del centrosinistra (84%) e i pentastellati (78%), un po’ meno gli elettori di Forza Italia e delle forze minori del centrodestra (62%), i leghisti (59%) e gli elettori di FdI, tra i quali il 50% si dichiara a favore ma il 45% ritiene che la misura sia esagerata e violi la libertà di chi non vuole farsi vaccinare.

In questo contesto di crescente timore per la situazione sanitaria, controbilanciato da una significativa fiducia dei cittadini per le prospettive economiche del Paese, l’indice di gradimento del governo fa segnare un aumento di tre punti rispetto a ottobre (da 60 a 63), avvicinandosi a quello del premier che aumenta di un punto (da 63 a 64). Il dibattito politico e mediatico delle ultime settimane, concentrato sulle misure contenute nella legge di bilancio 2022 e sul toto nomi, che riguarda l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica, non ha modificato sostanzialmente gli orientamenti di voto degli elettori.

Gradimento leader

Anche il gradimento dei leader dei partiti non mostra cambiamenti di rilievo: Conte ha fermato la flessione che aveva fatto seguito all’assunzione del ruolo di leader del M5S e al conseguente venire meno del profilo istituzionale che gli garantiva un consenso trasversale, si mantiene al primo posto con un indice pari a 43 ed è seguito da Giorgia Meloni (stabile a 37) e Speranza (35) che continua ad essere valutato più nel ruolo di ministro della Sanità che in quello di leader di Articolo 1 (a conferma del limitato appeal del partito che guida). Più staccati Letta e Berlusconi, entrambi a 31, e Salvini (stabile a 30). L’unica variazione significativa del mese riguarda Emma Bonino (passa da 25 a 28), il cui nome è circolato tra le possibili candidature al Quirinale.

Lo scenario che emerge mostra una discreta distanza, quasi un’indifferenza, dell’opinione pubblica rispetto alle vicende politico-partitiche delle ultime settimane, dal tavolo sulla finanziaria proposto da Letta alle tensioni interne alla Lega e al M5S, alle manovre in vista dell’elezione del capo dello Stato. Covid e prospettive economiche del Paese guidano l’agenda dei cittadini che, non a caso, guardano più al premier e all’azione del governo che alle forze politiche il cui sostegno all’esecutivo non sembra determinare un ritorno positivo o una penalizzazione in termini di consenso, come se fossero due mondi paralleli.

(fonte Corriere.it e foto copertina dal sito Tpi)

Un Matteo Renzi a tutto tondo a “L’aria che tira” su La7, il programma condotto da Myrta Merlino. “Io come Berlusconi nel litigio con Travaglio? No, non c’è paragone, lui superiore a me 20 a zero. Nel gennaio del 2013 ci fu l’intervista con Santoro e Travaglio, e lui fu il principale sponsor di Berlusconi, perché lì cambiò la sua campagna elettorale. Le opinioni di Travaglio sono quelle di un diffamatore professionista”.

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(fonte Corriere.it e Ansa)

La quarta ondata è già arrivata nel nostro paese e la curva dei contagi sta iniziando a risalire. L’allarme viene soprattutto dalle regioni più colpite che avrebbero allertato il governo, nell’ipotesi più che concreta di un peggioramento della situazione, proprio a ridosso delle prossime festività natalizie.

Il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti è stato chiarissimo: “Chiederemo al governo come regioni, che le misure restrittive legate alle fasce di colore valgano per le persone che non hanno fatto il vaccino, non per le persone che lo hanno correttamente fatto. Se qualcuno deve essere convinto sono coloro che non si sono vaccinati – continua Toti – le misure che devono essere prese, lo devono essere solo per i non vaccinati, non certo per chi ha fatto fino in fondo il proprio dovere”. E aggiunge: “Chi si è vaccinato, proteggendo sé stesso e la sua famiglia, ha diritto di vivere una vita normale. Chi no, con il tampone potrà solo accedere ad attività essenziali alla sopravvivenza: potrà lavorare, fare acquisti indispensabili, ma non frequentare luoghi dove mette a rischio la propria salute e quella altrui”.

A questa presa di posizione si è aggiunta anche quella del governatore del Friuli Venezia Giulia, che non esclude l’idea: “Nel caso in cui dovessimo andare verso una zona arancione, e da quella in su, penso che il prezzo delle chiusure non lo possano pagare i vaccinati, che hanno difeso se stessi e gli altri, partecipando alla campagna vaccinale”.

Sono invece dubbiosi i presidenti di Emilia Romagna e Lombardia. Stefano Bonaccini dice: “Dovremo discuterne ma credo che la prima cosa da fare sia quella di proseguire con le vaccinazioni”. E Attilio Fontana: “Non nascondo di essere perplesso per il rischio di tensioni sociali”. 

Il no secco, invece, del governatore del Veneto, Luca Zaia, secondo il quale il modello austriaco sarebbe difficile da applicare nel nostro Paese dal punto di vista costituzionale. E anche il leader della Lega, Matteo Salvini è contrario: “Mi rifiuto di pensare al lockdown. Rivedere le regole del green pass visto l’aumento dei contagi? No a nuove chiusure e nuove limitazioni”.

E Giorgia Meloni di Fdi: “Siamo la nazione che ha usato il green pass in modo più energico: mi sarei aspettato che a fronte di quella scelta non si sarebbe parlato di nuove restrizioni. Qualcosa non ha evidentemente funzionato. La campagna di vaccinazione non ferma il contagio: servono altre norme di sicurezza sui mezzi pubblici”.

E’ invece totalmente per il sì, Matteo Renzi: “Stanno aumentando purtroppo i casi, probabilmente qualche Regione andrà in zona gialla, mi piacerebbe che l’Italia adottasse lo stesso metodo dell’Austria:  cioè vanno in lockdown solo quelli che non hanno fatto il vaccino, sennò tutti dovremmo pagare le conseguenze di chi non l’ha fatto. Vorrei che chi ha fatto il vaccino potesse non avere restrizioni”.

Adesso la palla passa al presidente del consiglio Mario Draghi, che oltre a cercare di utilizzare tutti gli strumenti per deviare l’attenzione dal tema che sembra per adesso incombente: quello della ridda di nomi sul prossimo presidente della repubblica, deve fare i conti con i numeri del covid che salgono e la prospettiva, non peregrina, di un lockdown mirato che, ad oggi, non sembra più un tabù ma una concreta possibilità. E la scelta non sarà facile ma sicuramente non è possibile che a pagare sia la maggioranza di italiani responsabili, contro una minoranza, invece, di irresponsabili.

(fonte foto nurse24.it)