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Gaetano Càfici

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fontanello-istallazione-artistica“Da questo nuovo fontanello si potrà bere gratuitamente acqua corrente naturizzata, anche ghiacciata e/o gasata e resterà funzionante 24 ore su 24 per tutti i cittadini che potranno utilizzarlo, sempre gratuitamente e (si spera) rispettosamente”.

Così si leggeva in un comunicato stampa dell’ottobre del 2011, che annunciava l’installazione di un fontanello, voluto dall’Amap di Palermo (società che gestisce la distribuzione dell’acqua in città) e realizzato da un’azienda italiana del settore. Questo prodigioso strumento venne collocato proprio davanti la sede dell’Amap in via Volturno, dove ancora si trova, ma forse con una diversa utilità!

Non più quello di offrire, oltre che ai cittadini, un servizio ai turisti assetati in visita nella nostra città, ma una vera e propria “installazione artistica”, con bottiglia di birra di marca annessa, quale sponsor di tale immaginifica opera da lasciare ai posteri.

Il fontanello venne inaugurato quasi 5 anni fa, in pompa magna (presenti i vertici della precedente amministrazione), con la partecipazione straordinaria della medaglia d’oro di atletica leggera Pietro Mennea, testimonial d’eccezione dell’evento, scomparso purtroppo nel marzo del 2013. Un’iniziativa legata alla “Staffetta dell’acqua”: progetto a carattere nazionale, che doveva promuovere iniziative sui territori, in favore dell’acqua di rubinetto e responsabilizzare i cittadini ad un uso corretto e consapevole dell’acqua.

Oggi, come un desiderio irrefrenabile, il fontanello ha deciso di cambiare abiti: smettere nella sua “noiosa” routine giornaliera di offrire acqua gratis e diventare, invece, un oggetto diversamente artistico.
In fondo, in periodo di spending review ci si inventa tutto! E comunque qualcuno lo dica a chi “responsabilmente” dovrebbe controllare il funzionamento di un servizio e in questo caso non lo fa. Perché magari un fontanello non è per sempre, ma l’acqua sì!

Che la Sicilia sia ormai un malato terminale è forse fin troppo ripetitivo. Lo abbiamo più volte denunciato, analizzato, gridato con forza ma l’irresponsabilità di una politica cieca, che spera soltanto di arrivare indenne alla fine della corsa, (mandato elettorale per intenderci!) ci ha resi tutti inesorabilmente sfiduciati e forse anche indifferenti. Il rito dell’espianto, forse l’unica cura possibile.

Da una parte vi è il fallimento personale del “rivoluzionario” Saro da Gela, che è riuscito nell’abile impresa di farsi “commissariare” da Renzi evitando la resa delle armi, che forse sarebbe stata la soluzione più onorevole (vince invece sempre la tasca e non il cuore), ma sicuramente da futura lista di disoccupazione! o in extremis da lista “italicum”; dall’altra, invece, il mero calcolo politico del Pd, dei suoi deputati e dell’intero centrodestra (quest’ultimi giocano da sempre la carta della mozione di sfiducia, ma ormai come un’arma spuntata!), che non potevano in alcun modo trovarsi senza paracadute.

E non parlatemi di scelta “responsabile” per le sorti della Sicilia. Non ci crede più nessuno. Meglio tacere. Quindi far passare “l’elefante Regione” attraverso la cruna dell’ago, con una finanziaria azzoppata (mancano appena 500 milioni di euro all’appello) e l’accordo o pseudo tale sulla cancellazione dei crediti che la nostra regione avanza dallo Stato, è stata impresa davvero opera titanica, ma tutto ancora in divenire.

E così, lui che doveva essere l’uomo dei miracoli, (l’assessore al Bilancio Baccei tanto per intenderci) dopo l’uomo della rivoluzione, si è accorto che il salvataggio dell’Impresa Palazzo d’Orleans era e rimane tanto difficile, da essere costretto a lanciare un’OPA, guarda caso proprio di 500 milioni di euro. Tentativo estremo per riannodare i fili del discorso con Roma e farsi dare la moneta! I conti devono quadrare, come si dice in matematica: comuni in dissesto, ex province al collasso, forestali e consorzi senza ossigeno. Insomma, un quadro che si fa sempre più nebuloso e pericolosamente instabile, finanziariamente parlando.

Chissà, a questo punto forse saranno i “libri” interstellari del 2.200 a studiarne gli effetti e i “jedi siculiani” di quell’Era, invece, a pagarne, con molta probabilità, le conseguenze per chissà quanti “millenni”.

Viviamo, dunque, in una realtà che ricorda molto la “Corte dei miracoli”, quella della Parigi del 1600, dove in alcuni quartieri borderline, uomini, donne e bambini da storpi e mendicanti chiedevano di giorno l’elemosina per poi improvvisamente la sera, quasi da “miracolati”, ritornare ad essere prodigiosamente guariti. Ma qui di miracolati veri vediamo solo coloro che si sono assicurati i vitalizi e altri privilegi. Per i siciliani, tutto al più, resta l’elemosina che vi ricordo nella nostra legislazione ravvede anche alcuni casi di reato. Per dirla pragmaticamente: “cornuti e mazziati”.

tram

Il sindaco della primavera di Palermo, fondatore del movimento politico la Rete, che scardinò il potere della Dc di Lima e Andreotti nel 1985, riuscendo a battere nel 1997 Gianfranco Miccichè, l’allora plenipotenziario di Berlusconi in Sicilia e poi sconfitto nel 2007 dal forzista Diego Cammarata, rivincendo nel 2012 al ballottaggio contro Fabrizio Ferrandelli, oggi, al motto “il Sindaco lo sa fare”, si prepara ad aprire la campagna elettorale per il 2017.

L’inaugurazione del tram, assieme a tutte le iniziative sul tema della mobilità sostenibile avviate dall’amministrazione comunale (carsharing, bike sharing, taxi sharing), è un’opportunità ghiotta per un sindaco che, in materia di “comunicazione” ed affini, non ha eguali. Potremmo tranquillamente affermare: un biglietto di sola andata per la riconferma a Palazzo delle Aquile, magari con il voto ombra, al ballottaggio, del centrodestra.

L’opera, costata 322 milioni, di cui 87 a carico del Comune e il resto elargiti da Stato e Unione europea, con 17 vetture, una capienza di 250 passeggeri ciascuna e quattro linee disponibili, è di fatto una mastodontica operazione politica, (non dimentichiamo che manca un anno e mezzo alla fine del mandato), che viaggia però non sui binari di un’alleanza politica, ma sulla capacità di Orlando di essere da sempre l’uomo solo al comando e di saper scegliere lui gli alleati e le strategie.

Nei fatti la paventata minaccia di dimissioni, da parte del sindaco di Palermo (assolutamente studiata a tavolino), in caso di non approvazione del contratto di servizio per l’avvio del tram e l’accordo trasversale con i forzisti, ha messo all’angolo un Pd che da mazziere nel governo nazionale e regionale, in consiglio comunale si è cucito, invece, il ruolo di solo spettatore e di finto oppositore.

Nei giorni scorsi il sottosegretario Davide Faraone, il cui sogno nel cassetto è risaputo essere quello di diventare sindaco di Palermo, aveva definito “Orlando rimasto ancorato alla preistoria, sia rispetto agli uomini che lo sostengono, sia rispetto alle idee su come si governa una città”. E parlando dell’iniziativa di Rifondazione comunista di conferire la cittadinanza onoraria al leader curdo Abdullah Öcalan, diceva di “una giunta governata dagli uomini di Ocalan”.

Dichiarazioni poco gradite ad Orlando che, lasciando “cuocere” nel brodo primordiale i democratici, ha battuto “banco”, incassando un piatto ricco e riuscendo ad isolare i renziani che vorrebbero volentieri “rottamarlo”.

E poi ci sono anche grillini che protestano per la ztl, ma più che altro per dovere di cronaca. Un atteggiamento da decodificare, in un panorama politico locale dove tutti credevano che l’orlandismo fosse morto e sepolto. Il movimento di Nello Musumeci #DiventeràBellissima, che annuncia l’avvio di una raccolta firme per rimodulare il provvedimento tanto contestato e il centrodestra che dà l’assist alla maggioranza, quasi da servizio 118. Infine, il Pd in stato confusionale, se non comatoso.

Ma i nodi, comunque, per il primo cittadino stanno tutti in fila, uno dietro l’altro. Ztl a 100 euro, tariffe zone blu portate tutte a 1 euro, possibili ricorsi, petizioni e, eventuali, richieste di annullamento. Non minori i problemi legati ai risultati che questi provvedimenti dovrebbero portare, in termini di vivibilità e di salute, ai cittadini.

Un orizzonte non certamente roseo per chi, al netto dei propri incassi, come il poter sbandierare la realizzazione del tram, deve fare i conti con una città sofferente, sporca e inquinata. Basteranno le pedonalizzazioni, il percorso Unesco e le fioriere sparse ovunque, a far dimenticare il degrado che è sotto gli occhi di tutti?

I palermitani hanno intuito bene che l’istituzione della ztl è una tassa per fare cassa. Ma in tutto questo, se i risultati complessivi ci saranno, tram compreso, da qui alla fine del sindacatura l’Orlando furioso, il sindaco del “lo sa fare”, “l’uomo dalle sette vite” come lui stesso si è definito, potrà agilmente e, sempre, con il #soccorsoazzurro prima citato, sedere nuovamente sul primo “scranno” del Comune, regnando per altri cinque anni la sua Palermo.

Ovviamente la strada da percorrere è ancora lunga e a “deragliare”, tanto per stare in tema, basta un attimo.

tram orlando

di Gaetano Càfici. “Stasera o si fa il tram o si muore!”, amarcord di una frase storicamente più celebre pronunciata a Calatafimi, nella sanguinosa battaglia tra i garibaldini e l’armata borbonica nel 1862 che potrebbe essere gridata stasera, nell’Aula del Consiglio comunale di Palermo dal generale Leoluca Orlando.

Lui che ha costruito la campagna elettorale del 2012 al grido: “Il sindaco lo sa fare”, brandirà la spada delle dimissioni, per far capire ai 50 consiglieri che si va tutti a casa, se non si pone il sigillo “reale” su quel controverso contratto di servizio, che consentirebbe al tram di non girare più a vuoto e, a lui, di essere rieletto primo cittadino.

I numeri al momento sembrano non esserci, ma in politica di fronte ad un invito esplicito, in cui viene meno la solidità di una seggiola, i margini di conflitto morale si riducono e aumentano a dismisura quelli di interesse alla sopravvivenza!
E poi sotto natale un cadeaux non si rifiuta a nessuno. Quindi, alla fine, le opposizioni parleranno di “senso di responsabilità nei confronti della città” e la maggioranza di “vittoria grazie al contributo del primo cittadino che ci ha messo la faccia”.

Vedo già gli sguardi dei consiglieri comunali, mentre ascoltano le parole del Sindaco, pronti ad inviare messaggini rassicuranti ai propri familiari. Perché poi, diciamolo sinceramente, la famiglia è tutto e dare una brutta notizia sotto le feste sarebbe davvero un dramma!

Per non parlare del prossimo giro elettorale nel quale potrebbe non esserci più un posto per tutti (non 50 eletti ma 40 come prevede la nuova legge!). E, dunque, altri due anni di ossigeno diventerebbero un tempo infinito per poter soddisfare le proprie debolezze e pagare le ultime rate dell’auto.
E se qualcuno mostrerà segni di cedimento, come essere fulminato sulla via di Damasco, ci sarà, comunque, il #prontosoccorsopolitico. Quello lo conosciamo bene! E’ un vecchio arnese che funziona sempre e, soprattutto, non ha alcun colore politico.

La “denuncia” del presidente della Rap Sergio Marino ha tutte le peculiarità per essere paragonata al già famoso “uovo di colombo” e segue alle parole dure dei giorni scorsi, scritte e indirizzate dal primo cittadino ai dirigenti della rinata Amia.

Ne prendiamo atto dalle righe di palermo.repubblica.it, in cui Marino stesso afferma che “buona parte dei dipendenti in questi mesi stanno facendo molta resistenza ad accettare la riorganizzazione del lavoro che li costringerebbe a lavorare in squadre sotto la supervisione delle circoscrizioni. Fino ad oggi lavorando da soli trascorrono il tempo del turno imboscandosi, senza fare il proprio lavoro”.

Nella pratica vorrebbe dire che la colpa della sporcizia a Palermo è solo e soltanto dei lavoratori, cioè dei netturbini ossia dei cosiddetti operatori ecologici.

Questa sua riflessione mi ricorda molto un refrain scolpito nella mia mente, che un politico mi faceva come lezione giornaliera avendo la “fissa” del concetto illuminato di “eredità precedente”.

Ma voi direte: ma sto giornalista che vuole dire! Mi diceva sempre che bisognava essere pungenti sull’eredità passata, cioè su quello che l’amministrazione precedente aveva lasciato. Insomma le colpe dovevano essere sempre e, comunque, addossate agli “incapaci” seduti precedentemente nelle stanze dei bottoni.

Tutto sommato il “trucco” poteva andare bene per un certo periodo di tempo e magari poteva anche “pagare”. Ma un giorno gli dissi: adesso non puoi, non potete continuare ancora, perché è il momento di governare e di fare le cose.

Quindi caro presidente Marino, al di là del mio racconto che potrebbe apparire fuori tema, di certo fuori tema non è il suo ruolo che è quello di governare un’azienda, senza se e senza ma.

Adotti realmente tutti gli strumenti utili a farla funzionare come lei stesso ha affermato, altrimenti, se non ne è capace, in modo onorevole e umile, rassegni le dimissioni. Perché i “trucchi da scaricabarile”, essendo vecchi escamotage, prima o poi si trasformano in boomerang che, per natura, ritorna sempre indietro. Infatti proprio per questo si chiama: #effettoboomerang.

di Gaetano Càfici. Le parole di Manfredi Borsellino, figlio di Paolo il magistrato trucidato dalla mafia e fratello di Lucia, ex assessore del governo Crocetta sono dure come le pietre, di quelle che non si potranno dimenticare facilmente. Il luogo dell’esternazione è il simbolo della legalità e la presenza del Capo dello Stato diviene la cornice dove questo sfogo si riempie di significato.
“Non intervengo per mio padre, ma per mia sorella Lucia. Mia sorella non può parlare, non vuole parlare adesso. Io intervengo perché non credevo che la figlia più grande di mio padre, la sua primogenita, la figlia con cui lui viveva in simbiosi, con cui dialogava solo con lo sguardo, dopo 23 anni dalla morte del padre dovesse vivere un calvario simile a quello che lui ha vissuto, nella stessa terra che lo ha elevato, suo malgrado, ad eroe”.
Un cesello di parole incastonate nel silenzio di quell’Aula. Una vera lezione di moralità da un uomo che da commissario della stazione di polizia di Cefalù, si mette in turno per lavorare nel giorno dell’eccidio del padre, come miglior tributo per ricordalo.
Nei giorni scorsi aveva lanciato un monito chiaro nei confronti dell’antimafia di facciata “che sa fare solo passerelle”. “Sono stato educato da mio padre all’etica del lavoro, alla concretezza e al rifiuto delle passerelle”.
Ma nella realtà la questione è molto più complessa di quanto non appaia. E l’intercettazione vera o presunta è soltanto una leva. Lo scontro “fratricida” all’interno del Pd e gli alibi e non alibi, abilmente costruiti, stanno tutti all’interno del vaso di Pandora! Comunque a perdere è sempre la politica e per fortuna a vincere, invece, è lo Stato. Forse un paradosso, ma è così!
Quello Stato che Manfredi Borsellino rappresenta come servitore e non solo per essere figlio di suo padre. Le ultime parole che ho sentito pronunciare da Crocetta riferite a Lucia Borsellino sono l’epilogo, perle di “saggezza” di un uomo sul precipizio: “La sua sofferenza e il suo calvario sono anche i miei”. Come dire che in tutto questo lui è vittima e i carnefici sono altri.
Io mi sarei aspettato per prima cosa le sue scuse a Lucia Borsellino, poi a tutti i siciliani onesti e anche all’estensore del pezzo incriminato, il mio collega Piero Messina (non è una difesa di ufficio) che ha fatto solo il suo mestiere di cronista. E per me ciò ha un valore etico imprescindibile! Poi alla fine scrivere le quattro righe di dimissioni ed abbandonare definitivamente la politica.
Ma chiedere ad un “falso rivoluzionario” di trasformarsi in un grande condottiere è come sperare di inoculare il “virus” della pietà ad un jadista. Quindi, finché l’etica della “seggiola” prevarrà su tutto, la politica sarà sempre destinata a perdere.

di Gaetano Càfici. Forza Italia in Sicilia si è letta e si è sempre scritta Miccichè. Piaccia o non piaccia, ma la storia politica del cosiddetto partito di “plastica”di Mr. B. in Sicilia, è racchiusa proprio in quel 61 a zero. Correva l’anno 2001 e Miccichè l’ex bancario e poi venditore di Pubblitalia, per volontà di Marcello dell’Utri, fece il miracolo. Praticamente l’allora Casa delle Libertà vinse tutti i 61 collegi in Sicilia, facendo un “cappotto” epico al centrosinistra. Oggi è tutta un’altra storia. Il partito in Sicilia, guidato dal catanese Gibiino, è praticamente a pezzi.

Il credito di Miccichè divenne come un assegno in bianco, ma di quelli a zeri infiniti, e all’uomo di Arcore poteva chiedere anche l’impossibile. Fu incoronato Viceré e la pletora di cortigiani non gli fece mancare la propria “vicinanza”.
Lui, che aveva potere di vita e di morte su tutto e su tutti, ovviamente politicamente parlando, dispensò “gloria”al suo cerchio magico. Chi stava fuori era spacciato. Anni di “splendore”, ma anche sbagli da scuola serale. Primo fra tutti quello chiamato Diego Cammarata. “Il sindaco che vi stupirà” disse Miccichè, ma non fu così. Il passo fu breve e l’idillio tra “padre” e “figlio” si tramutò prima in indifferenza e poi in definitiva “separazione”, ma senza alimenti.

Intanto, in un altro luogo della nostra cara amata Sicilia, ad Agrigento tanto per essere chiari, stava nascendo un altro “astro” politico. Un giovane avvocato, uno “yesman”, perfetta icona e ritratto per un partito come Forza Italia. Poco carisma, ma sicuramente con doti genetiche che nulla avevano a che fare con il miccicheiano pensiero. La nota stonata forse il nome: Angelino, ma con un cognome sicuramente “pesante”. Elemento questo che lo accomunava a Miccichè. Alfano padre, antico notabile siciliano e Miccichè padre, un pezzo di storia del Banco di Sicilia.

La scalata alla vetta per Angelino è facile. L’errore per Miccichè è dietro l’angolo: presenta il futuro “dispensatore di perle di saggezza” al Cavaliere. Il “suicidio” è servito e di lì a breve Angelino entra nelle grazie di Berlusconi, defenestrando Miccichè. Ma come tutte le commedie alla Goldoni il finale è imprevedibile.

Angelino molla Berlusconi dato in caduta libera e fonda un partito che somiglia più ad un sigla di un farmaco (Ncd per l’esattezza) e con numeri da prefisso telefonico per buttarsi poi tra le braccia di Renzi, riuscendo così ad ottenere scorte di ossigeno fino al 2018. Pare però sia pronto ad allearsi elettoralmente con Forza Italia, per le regionali di quest’anno che si svolgeranno nel resto d’Italia.

Intanto Miccichè, leccandosi le ferite e quasi da Lazzaro resuscitato, tenta nel 2014 di rientrare in partita, riuscendo a strappare una candidatura alle europee. Il risultato è una vera débacle, forse anche per il mancato appoggio del partito!
Così come la sua poco felice ed ultima dichiarazione mediatica: “con 4000 mila euro non puoi vivere bene”. Non fa meglio organizzando, alla fine del 2014, una reunion palermitana. Più un incontro tra amici, che il lancio di un progetto politico.

Oggi sembra come essersi nuovamente eclissato. I suoi “fedelissimi” dicono che prepari un ritorno in pompa magna, rispolverando forse il suo vecchio progetto “sudista” e la sua creatura Forza Sud alleata (?) con la Lega Nord di Matteo Salvini.

Altri, invece, lo danno definitivamente in “pensione”. Ma in fondo tutto è possibile e niente è impossibile per Miccichè,  anche se questa volta per lui , sarà davvero l’ultimo giro di boa.

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Il Circo Barnum delle dichiarazioni di prassi e gli atteggiamenti talvolta fastidiosamente irritanti, di chi in preda a deliri celebrativi o di presunta vicinanza al neo presidente della Repubblica, hanno di fatto oscurato l’autentico senso di questa elezione.

Ho letto di un vittorioso Renzi che sarebbe riuscito nell’impossibile, ricompattando il Pd e mettendo nell’angolo Berlusconi. Per non parlare di Alfano, al quale l’ex sindaco di Firenze avrebbe fatto un’offerta che non poteva rifiutare: “o voti Mattarella o se fuori dal governo”. E così tutte le altre forze politiche, nessuna esclusa! Dai grillini  apparsi come dei “vivisezionati” dalla scomposizione del loro stesso progetto e dalla Lega di Salvini che, poco autorevolmente, ha parlato di Mattarella come un Presidente “non nostro”. Il resto è soltanto contorno.

Chi ha vinto veramente, invece, è l’Italia perbene. E ieri, quasi in modo “beffardo”, per un gioco di palazzo, è riuscita a salire nel più alto “scranno” istituzionale.

Quindi sul professore Mattarella, mi piace chiamarlo così, sarebbe meglio tacere, perché sono certo, anzi certissimo che a tutti noi, italiani perbene parlerà con il “silenzio” delle sue azioni. Buon lavoro Presidente.

crocetta cappello 2

di Gaetano Càfici. La discesa da Roma del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Graziano Delrio, inviato da Renzi come messaggero governativo è l’ultimo segnale di fumo per un governo che dall’agonia, sta passando lentamente ad un coma irreversibile.
I tatticismi politici sono come i “cip” nel poker, servono a distrarre l’opinione pubblica dando l’effetto ottico di un arcobaleno che non esiste, ma che si vuole fare vedere lo stesso!
Pochi dicono la verità, che non ha bisogno di economisti da podio: la Sicilia è al collasso economico, quello che in gergo tecnico chiamano default. In modo molto pratico: è al fallimento.

Così come mi sembra proprio da grande burla, l’invio di un megatecnico designato da Roma nel tentativo illusorio di trovare, in tempi brevissimi, le soluzioni ad un bilancio che fa acqua da tutte le parti e ad una situazione economica da “Day after”. Piuttosto, un modo per far sì che Crocetta venga “commissariato” politicamente in modo indolore e permetta a Renzi di avere un suo uomo all’interno della macchina finanziaria della Regione. Una sorta di “guardiano”. Anche lui ha capito quanto sia “pericoloso” lasciare la Sicilia nelle mani del “rivoluzionario” di Gela.

Il passaggio successivo sarà quello, da sempre utilizzato dai governi siano essi di sinistra, di centro o destra, della prebenda in soldoni, ossia dell’elargizione di fondi per salvare la Sicilia da un baratro economico inevitabile.
Il solito cappello che si riempie. Nessuno scandalo. Lo hanno fatto tutti. Lo faceva ad esempio l’ex sindaco Cammarata quando andava da Mr. B. a chiedere i soldi per gli Lsu. E non soltanto lui.

In fondo una prassi consolidata in una Sicilia da sempre considerata granaio di voti e, dunque, di consensi. Alla fine ha prevalso la preservazione del “bene personale”. Quella tutela di seggiola a cui nessuno vuole rinunciare!
E sentirete che le prime parole di Crocetta, appena “avranno” varato il “suo” nuovo governo, saranno: “la rivoluzione continua, non ci fermeranno”.

Come dire, speriamo che anche questa volta i siciliani se la siano bevuta!

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Il Partito Democratico non può continuare a sostenere un governo ed il suo Presidente, che stanno portando la Sicilia verso un baratro da cui sarà impossibile trovare la risalita. Credo che ci sia un tempo per ogni cosa. E chi ha responsabilità politiche non può e non deve in alcun modo anteporre i propri interessi a quelli dei siciliani.

Il Pd abbia il coraggio di staccare la spina a Crocetta per il bene della Sicilia. Senza se e senza ma! Se non lo facesse sarebbe davvero un suicidio politico ed un segnale di debolezza estrema: mantenere posizioni di “fortuna” che, certamente, a lunga gittata, sarebbero come un boomerang “caricato” al polonio!

Un governo che ha esaurito ormai qualsiasi azione politica: dal lavoro al turismo, dalla programmazione agli investimenti. Tutti con segni algebrici! Quindi la risultante del problema è presto risolta.

Per non parlare poi delle ultime esternazioni deliranti di Mr. Rivoluzione, fatte a colpi di denunce penali, di “fosforite” e di vari schiaffi dati a destra e manca (vedi ultimo quello al plenipotenziario di Renzi in Sicilia, il futuro sottosegretario Davide Faraone), che hanno più il sapore del ricatto politico, sintomo di quel sentimento di “paura” che aleggia tra i crocettiani e lo stesso Presidente della Regione.

É inutile negarlo, ma la campagna elettorale e la relativa “destituzione democratica” dell’uomo che ha regnato la Sicilia, non governandola, è già iniziata. Le prime truppe si sono già mosse e i primi pedoni, dello scacchiere in bianco e nero, si sono già incontrati. Il luogo ha poca importanza anche se di “ville” istituzionalmente deputate per l’occasione, ce ne sono poche in città!

In una Sicilia, che oggi viaggia verso un livello di disoccupazione impressionante, dove a rischiare sono proprio quelli che pensavano di vivere eternamente in un Eldorado, possiamo dirlo con cognizione di causa: nessuno può più sentirsi al sicuro.

Quindi il 21 ottobre, data in cui dovrebbe essere votata all’Ars l’immaginifica o immaginaria mozione di sfiducia contro Crocetta (che poi in fondo è soltanto un “atto politico”), diventa un vero spartiacque, non come quello di biblica memoria.

Quel giorno, cari onorevoli, per un attimo fateci sognare. Ponete la questione “morale”, ma nel senso della moralità all’immoralità di questa politica gridata e senza anima: votate di “cuore” e non di “tasca” e date una speranza ai siciliani.