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Gaetano Càfici

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Abbiamo intervistato Alessandro Madron, classe 1978, giornalista de “Il Fatto Quotidiano” che su “FqMillennium”, il mensile diretto da Peter Gomez, racconta come si fa a vivere da invisibile, tra gli invisibili.

Un reportage giornalistico per le strade di Torino, nei luoghi dove i poveri senza casa vivono con dignità, nella speranza di non essere più ultimi. Alessandro, per una settimana, ha indossato i panni del cronista di strada e ha vissuto in prima persona questa esperienza durissima, con in tasca pochi euro, ma con il desiderio di portare alla luce uno spaccato sociale, drammaticamente attuale.

Una conversazione dalla quale traspare il pathos per le storie dei tanti “esclusi” con i quali ha dormito, parlato e condiviso quella vita che certamente non dimenticherà. Buona lettura.


Sei partito con soli 10 euro per provare a diventare invisibile tra gli invisibili. E poi che cosa è successo?

Per ovvie ragioni non posso anticipare molto. Quello che mi è successo è il cuore del mio reportage pubblicato su Fq Millennium. Diciamo che ho vissuto quello che migliaia di persone vivono quotidianamente: mi sono messo in fila per essere ammesso ai servizi comunali, ho mangiato alla mensa del Sacro cuore di Gesù, ho passato le notti in diversi dormitori comunali, ho provato (con scarso successo) a rimediare qualche spicciolo di elemosina, mi sono fatto venire le vesciche ai piedi alla ricerca (vana) di qualche lavoretto per iniziare a rimettermi in sesto. Il lavoro si è dimostrato essere il tasto più dolente: al Centro per l’impiego di Torino Nord mi hanno detto di presentarmi alle cinque e mezzo del mattino per provare a iscrivermi alle liste del collocamento, perché “c’è sempre molta coda”. Ho provato a rimediare un lavoretto, a stringere rapporti con le persone che ho incontrato… difficile riassumere tutto in poche battute: se vi ho incuriosito comprate Fq Millennium in edicola!

Perché la scelta di Torino, città dell’estremo nord e icona di una vita che, in qualche modo, poco dovrebbe avere a che fare con la povertà. E invece?

La scelta di Torino è nata un po’ per caso e un po’ per esigenza, ma si è rivelata una scelta fortunata. La nostra redazione si trova a Milano e non volevo fare questa esperienza in un luogo in cui potessi essere facilmente riconosciuto o dove potessi trovare facilmente riparo dai disagi della vita di strada (la tentazione di ripararmi in redazione sarebbe stata forte). Così la scelta è caduta su Torino, città che conosco, ma non troppo. Documentandomi ho poi scoperto che Torino è stata a lungo una città laboratorio in tema di servizi ai senza dimora e c’è un’ampia letteratura dedicata proprio alle politiche messe in atto in questa città.

Che il nord non abbia a che fare con la povertà è un falso mito. E’ vero che le città del nord Italia sono mediamente più ricche, me proprio per questo attraggono un maggior numero di persone in difficoltà che qui sperano di trovare maggiori occasioni. Secondo il censimento realizzato nel 2014 la città italiana che conta il maggior numero di senza dimora è Milano. Quindi il nord era il posto giusto dove tentare questa avventura.

I dati sul disagio sociale danno un quadro davvero desolante. Si parla di quasi 5 milioni di italiani che vivono nell’indigenza. La tua esperienza diretta è sicuramente un contributo per far conoscere questo dramma.

Certo, fortunatamente chi vive per strada è una piccola minoranza di questa enorme massa di indigenti (si parla più o meno di 50mila persone). I più poveri tra i poveri. Persone che non hanno i soldi per permettersi un affitto o non hanno maturato i requisiti per accedere alle case popolari. Spesso sono uomini di mezza età, costretti a rivolgersi a enti di carità, associazioni o servizi sociali per garantirsi una sopravvivenza. Sotto la punta di questo iceberg c’è un mondo sconfinato e multiforme. Una parte di questo mondo l’ho incontrato nelle mense, frequentate non solo da coloro che non hanno una dimora, ma anche da una schiera di poveri, uomini, donne, italiani o stranieri, che pur avendo un alloggio non hanno i soldi per fare la spesa.

Immagino che tantissime sono state le storie che hai ascoltato. Ci piacerebbe che ne raccontassi qualcuna.

Certo, anche se in strada vige un clima di diffidenza, è difficile entrare in confidenza con le persone. Molti hanno avuto vite di cui non vanno orgogliosi: dipendenze di varia natura, storie di carcerazione, preferiscono stare un passo indietro e non si concedono volentieri alla curiosità dell’ultimo arrivato. Non è mancato chi ha raccontato la sua esperienza personale. Un uomo sulla cinquantina mi ha raccontato di essere finito per strada dopo essersi “pippato seimila euro di coca in tre settimane”. Poi c’è chi si è giocato tutto, chi semplicemente non trova lavoro e si trova per strada dopo una crisi coniugale.

Un’ultima domanda che forse potrebbe sembrare anche banale. Ritornare alla vita “normale” dopo aver vissuto una vicenda così forte. Per farla breve. Quando vai a letto la sera quelle immagini…

Non è banale. Fin dal momento in cui ho preso il treno per il mio rientro a Milano sono stato assalito dai pensieri. In prima battuta sono arrivati i sensi di colpa. Fingendomi senza dimora ho tolto per qualche notte un letto a chi ne aveva realmente bisogno. Poi ho riflettuto molto sull’asprezza delle storie in cui mi sono imbattuto e sulla fortuna inconsapevole di una vita “normale”, così anche l’incombenza della rata del mutuo può diventare un sollievo.

di Gaetano Càfici. Dietro ogni operazione elettorale c’è sempre una regia, occulta o meno. E’ quella che traccia i confini e scrive le note per poi dare il “La” alla sinfonia. Sappiamo bene come la Sicilia, da sempre etichettata “laboratorio politico nazionale”, sia sponda di approdi per governare il Paese. E sappiamo anche bene come il Senato, con l’elezione proporzionale dei suoi membri, è da sempre, nell’isola, ago della bilancia in quel puzzle farraginoso della legge elettorale, ma soprattutto per la stabilità del governo che si va a formare. Le difficoltà di Renzi, in un Pd lacerato, dove l’uomo di Rignano ha perso su tutti i fronti (vedi la madre di tutte le battaglie: il referendum costituzionale), impone a lui stesso di non forzare la mano, passando volentieri il cerino ad altri (l’operazione Orlando-Micari ne è la prova) per poi magari “scaricare”, a fine corsa, le responsabilità.

In tutto questo si intravede sempre il patto del nazareno (che include anche delle varianti), mai  morto e forse più vegeto di prima con l’obiettivo di depotenziare l’arsenale di “fuoco” dei grillini in Sicilia, da sempre favoriti in questo turno elettorale e consentire al centrodestra allargato di ripetere, ovviamente in altra forma, il 61 a 0 delle politiche del 2001.

Una manovra che consentirebbe a Renzi di poter aver, comunque, un interlocutore che non siano i grillini. E al di là dei sondaggi che stanno gravitando nella galassia politica siciliana, all’indomani dell’ufficializzazione dell’armata Musumeci, Miccichè, Armao, Lagalla, Romano, Fratelli d’Italia e Lega, il centrodestra appare favorito, forse perchè dà all’esterno la sensazione di compattezza.  A ciò si aggiunge ancora il silenzio di Alfano e le divisioni nel suo partito. E se sentendo odore di vittoria dei suoi “vecchi compagni” Angelino attuasse un “patto di desistenza?”. Ma la vera partita che si gioca in Sicilia è, comunque, quella del governo nazionale. Sì, perchè nel caso in cui il cdx dovesse vincere il 5 novembre, la presa di “Roma” (non della capitale ovviamente) per Grillo sarebbe molto più complicata. E Berlusconi potrebbe tenere in “ostaggio” Renzi, con l’obiettivo finale di essere lui a sbarrare la strada ai grillini ed incarnare nuovamente l’uomo della “provvidenza”. In politica mai dire mai, perchè a volte ci si azzecca!

di Gaetano Càfici. La notizia dell’ufficializzazione da parte del Rettore dell’Università di Palermo Fabrizio Micari, a candidarsi all’interno di un’alleanza espressione del centrosinistra (sicuramente monco di Sinistra italiana e Mdp), ma con una forte connotazione “civica” è, nei fatti, una “non notizia”. Negli ultimi mesi abbiamo assistito al solito balletto di nomi più o meno utilizzati come cavalli di troia. Di quelli che escono fuori come un jolly, ma con l’incognita di sempre: E’ veramente quella la carta da calare?

Sì perchè l’operazione Micari, e questo lo sappiamo tutti, nasce dall’ingegno, ma anche dal cinismo politico del professore Orlando che, cavalcando  il modello tanto sbandierato del civismo politico, che gli ha permesso la riconferma a sindaco di Palermo, riesce per la seconda volta a mettere ko il Pd. Di nuovo mazziere di un tavolo da gioco in cui il famoso jolly, sia esso nero o rosso, è quello che lui ha nella manica: “perchè solo con Micari il centrosinistra vince” (parole del primo cittadino che danno il senso di come l’asticella è sempre lui a tenerla).

Quindi, secondo il pensiero orlandiano, se perderete sarà per colpa di un jolly non giocato. E se la sceneggiatura appare chiara, meno chiara è la figura di Angelino Alfano che in questo copione rimane un’entità silente. Forse questa la vera notizia. Nessuna dichiarazione o messaggio “subliminale”. Una strategia che si lega al voler essere ago della bilancia, in uno scenario politicamente confuso e instabile, in modo da poter giocare, dunque, su più fronti. Perchè in fondo, non dimentichiamo che uno dei tanti desideri dell’ex delfino di mr. B. è sempre stato quello di poter esser il candidato presidente, come avevamo già analizzato su questo blog.

Intanto, oggi, Micari, si è incoronato candidato presidente “civico” del centrosinistra, precisando che lascerà il suo incarico di Rettore solo se eletto. Sapete di questi tempi non è facile essere “coraggiosi” (preciso nessun riferimento a Ferrandelli). Essere cauti è l’imperativo perchè a dimettersi c’è sempre tempo. E il jolly rimane sempre sul tavolo in attesa di essere giocato. Sarà quello da spendere su Micari o sarà un cip da poker? A breve lo sapremo.

 

 

di Gaetano Càfici. Faide interne, annunci di abbandoni da parte di esponenti del partito berlusconiano in Sicilia, ambizioni ad uno scranno all’Ars, (cinque anni di “ossigeno” poi non sono male per qualche politicante “pensionato”), continue dichiarazioni da Prima Repubblica, danno il senso di come la politica si sia ridotta ad un “parco” di auto usate. Verrebbe da rispolverare il refrain della canzone di Franco Battiato che parlando di un “centro di gravità permanente”, mandava un chiaro messaggio: “guardare il mondo esterno da osservatore senza emettere alcun giudizio”.

Il concetto ovviamente, con il dovuto rispetto per Battiato, non può essere paragonabile al cinico mondo della politica dove ragionamenti accurati e sofismi ricercati non possono essere utilizzati. Si tratterebbe altrimenti di “blasfemie”. In questo campo si gioca per spazi di potere e di sopravvivenza e non per parlare di filosofia applicata. Quella è una materia che appartiene ai grandi pensatori ed io, non me ne vogliano, di questi non ne vedo nel recinto delle candidature a Presidente della Regione. Sia chiaro la regola vale per tutti. Ma ritornando al centro di gravità permanente del centrodestra io lo trasformerei in centro “confusionale” di gravità permanente.

Sì, perchè il vero problema non è quello di fare la quadra o la squadra unita per vincere, come qualche esponente azzurro ripete insistentemente. Qui si vuole perdere, perchè vincere sarebbe una responsabilità. Governare una regione devastata, con un Pil (prodotto interno lordo) bruttissima parola, che fanno crescere o diminuire a loro piacimento come facevano con lo Spread, è un impresa da Supereroi.

Non si tratta di qualunquismo, ma direi piuttosto di tatticismo. Più facile giocare la partita dall’opposizione in una situazione “confusionale permanente”, lasciando ai Grillini il calice amaro da bere. In questo modo si potrebbe giocare su più tavoli, utilizzando il rosso e il nero della roulette politica siciliana. Un modo meno complicato, ma più sicuro per vincere.

Saro di Gela non molla la presa e continua nel tentativo disperato di resistere con ogni mezzo. Si sente accerchiato nella trincea di Palazzo D’Orleans. Vuole una resa onorevole, che in termini pratici si traduce in un posto al sole. Una sorta di esilio dorato per avere, in questi anni, portato la “croce” in una terra dove i dati, al di là della pura propaganda parlano chiaro. E enunciarli è anche un’offesa per tutti i siciliani. Basta guardarsi intorno per vedere come il de profundis del tessuto economico e sociale sia ormai inarrestabile. In fondo Crocetta mi ricorda molto Hiroo Onoda, il militare giapponese che dopo quasi 30 anni (era il 1974) dalla fine del secondo conflitto mondiale, venne recuperato nella giungla dell’isola di Lugang, convinto che la guerra non fosse mai finita.

E proprio, oggi, l’esternazione dell’uomo dei miracoli su Rainews24 riportata dal Corriere della Sera, in cui le manda a dire ai vertici del partito democratico.  “Lo statuto del Pd dice che un Presidente della Regione ha il diritto di candidarsi per un secondo mandato. Mi pare che scegliere di andare a primarie per definire il candidato è dunque una grande proposta di unità che io faccio al centrosinistra. Ma se non si faranno le primarie io non potrò non ricandidarmi. Lo devo alla mia storia, al rapporto che ho con i siciliani, al progetto di trasparenza che abbiamo portato avanti in questi anni, al lavoro fatto per evitare alla Sicilia il default. Hanno provato a mandarmi via più volte, con reiterate sfiducia, anche con intercettazioni false smentite da tutte le Procure siciliane. Se non ci saranno le primarie mi ricandido e a quel punto nessuno potrà dire che ho mancato di senso di responsabilità”.

Quindi al Pd basterà solo fare le primarie e trovare, attraverso l’ufficio di collocamento del partito, un collegio sicuro alle prossime nazionali del 2018 (se ci saranno i collegi). Niente di più semplice. Il problema è uno solo e forse anche un po’ complicato: individuare chi si immola per il post Crocetta. Ma in questo gli uomini del Pd sono sicuramente da premio Nobel.

di Gaetano Càfici. La politica ci ha sempre insegnato che nulla può essere scontato, soprattutto in tema di coerenza e di scelte. E poi se in ballo c’è il mantenimento della “seggiola” e del potere che ne deriva, la cultura dell’appartenenza, con improbabili valori annessi, diventa come il Santo Graal: un misterioso oggetto della leggenda. Valori per i quali non si guarda troppo per il sottile: cerniere di porte girevoli in cui il trasformismo applicato a scienza perfetta, non pone limiti alla decenza. Nessun “reato” ovviamente è raffigurabile in questa analisi. Ma soltanto una leggera brezza di “disgusto” che poi trova sempre l’alibi nella tempesta perfetta: giungere inesorabilmente all’obiettivo.

In questo Angelino Alfano è un abile stratega. Un disegnatore di tele che sa giocare e giocarsi la partita. Nel ginepraio infinito delle candidature, che affollano la cronaca e che ci danno il senso di un effetto domino, ogni nome è messo fuori come il gioco dell’Orso al Luna Park. Ricordate? Quello che veniva giù a colpi di pistola. Ovviamente a salve. Dell’ombra dell’ex delfino di Mr. B. che sarebbe ritornato in Forza Italia ne avevamo parlato. E quell’ombra adesso non è più tale. Direi una sagoma ben delineata al centro del dibattito politico.

Il suo avvicinamento al centrodestra, dopo il “tradimento” consumato nel talamo renziano, è stato studiato nei minimi dettagli. Da un lato per cercare di avere quella contrattualità con l’ex premier che negli ultimi tempi si era ridotta davvero a lumicino e dall’altra il tentativo di giocarsi la partita della regionali in prima persona e non certo con un Pd azzoppato e forse alleato ombra.

In fondo, l’avvocato agrigentino ha da sempre manifestato il desiderio di fare il Presidente della Regione siciliana. Un’opzione che, ad oggi, appare la più remota e impercorribile. Come si potrebbe riuscire ad unire anime politicamente così distanti? Una domanda che secondo un percorso logico appare assolutamente pertinente, ma che in politica diventa anomalia.  Ma sta proprio qui l’asso nella manica del fu yes man ed oggi ago della bilancia di un appuntamento elettorale che segnerà i futuri scenari nell’ambito delle elezioni nazionali del 2018.

Con i grillini favoriti, a sentire la vox populi, inghiottire il calice amaro di una candidatura come quella di Angelino sarebbe davvero dura, anzi da fantapolitica. Ma consentirebbe però al patto del Nazareno (mai morto) di sopravvivere, evitando a Grillo la scalata a Montecitorio. Perchè se da un lato Berlusconi ha la necessità di tutelare le sue aziende, Matteo Renzi non può permettersi di uscire dalla scena politica se non prima di avere risolto qualche problemuccio familiare. In questo quadro l’ombra di Angelino, diventata poi sagoma, si muterebbe in un perfetto accordo bipartisan. Modello: geometrie variabili. E Grillo sarebbe fuori dai giochi.

di Gaetano Càfici. La nuova legge elettorale che verrà partorita dal sempre eterno patto del Nazareno tra Berlusconi e Renzi, segna inesorabilmente la fine della legislatura. Modello tedesco con sistema proporzionale puro e sbarramento al 5 per cento. Senza voler fare voli pindarici, all’indomani del voto sarà inevitabile un governo di coalizione tra Pd e Forza Italia che tenteranno di mettere fuori gioco l’armata grillina. Ma il dilemma è un altro. Che farà Angelino Alfano oggi l’unico ad avere manifestato pubblicamente il proprio dissenso per una legge che, nei fatti, lo vede fuori dai giochi?

Il 5 per cento non gli permetterebbe di rientrare in parlamento e nel dubbio amletico l’unica strada percorribile sarebbe quella di un ritorno alla “casa madre”, anche se lui nega questa possibilità.

Ma come si dice: anche Angelino tiene famiglia, non dimenticando però che  Forza Italia in Sicilia si è letta e si è sempre scritta Miccichè. Piaccia o non piaccia, ma la storia politica del partito di Berlusconi in Sicilia, è racchiusa proprio in quel 61 a zero. Correva l’anno 2001 e Miccichè l’ex bancario e poi venditore di Pubblitalia, per volontà di Marcello dell’Utri, fece il miracolo. Praticamente l’allora Casa delle Libertà vinse tutti i 61 collegi in Sicilia, facendo un “cappotto” epico al centrosinistra. Il credito di Miccichè divenne come un assegno in bianco, ma di quelli a zeri infiniti, e all’uomo di Arcore poteva chiedere anche l’impossibile. Fu incoronato Viceré e la pletora di cortigiani non gli fece mancare la propria “vicinanza”.

Lui, che aveva potere di vita e di morte su tutto e su tutti, ovviamente politicamente parlando, dispensò “gloria”al suo cerchio magico. Chi stava fuori era spacciato. Anni di “splendore”, ma anche sbagli da scuola serale. Primo fra tutti quello chiamato Diego Cammarata. “Il sindaco che vi stupirà” disse Miccichè, ma non fu così. E il secondo mandato permise all’Orlando furioso di ritornare sulla scena politica e vivere di “eredità”. Il passo fu breve e l’idillio tra “padre” e “figlio” si tramutò prima in indifferenza e poi in definitiva “separazione”, ma senza alimenti.

Intanto, in un altro luogo della nostra cara amata Sicilia, ad Agrigento tanto per essere chiari, stava nascendo un altro “astro” politico. Un giovane avvocato, uno “yesman”, perfetta icona e ritratto per un partito come Forza Italia. Poco carisma, ma sicuramente con doti genetiche che nulla avevano a che fare con il miccicheiano pensiero. La nota stonata forse il nome: Angelino, ma con un cognome sicuramente “pesante”. Elemento questo che lo accomunava a Miccichè. Alfano padre, antico notabile siciliano e Miccichè padre, un pezzo di storia del Banco di Sicilia.

La scalata alla vetta per Angelino è facile. L’errore per Miccichè è dietro l’angolo: presenta il futuro “dispensatore di perle di saggezza” al Cavaliere. Il “suicidio” è servito e da lì a breve Angelino entra nelle grazie di Berlusconi, defenestrando Miccichè. Ma come tutte le commedie alla Goldoni il finale è imprevedibile.

Angelino molla Berlusconi dato in caduta libera e fonda un partito che somiglia più ad un sigla di un farmaco (Ncd per l’esattezza) e con numeri da prefisso telefonico per buttarsi poi tra le braccia di Renzi, riuscendo così ad ottenere scorte di ossigeno fino al 2018 e un posto a sedere di Ministro. Ma non basta. Trasforma Ncd e lo fa diventare Alternativa popolare nel tentativo di creare un contenitore centrista con la sponda di Casini. Oggi però, la variabile imprevista di possibili elezioni anticipate e di una legge contrapersonam (partitini compresi), cambia lo scenario. E come in una macchina del tempo l’ombra di Angelino riappare all’improvviso dalle parti di Forza Italia.

Ma anche adesso è Miccichè a guidare Forza Italia in Sicilia dopo la gestione non proprio “esaltante” del catanese Gibiino. E quindi per la sua sopravvivenza Angelino dovrà interpretare il ruolo di figliol prodigo e venire a “miti consigli” con lo stesso Micichè  o tentare, in extremis, di incassare da Renzi un’improbabile ricompensa per un’improbabile candidatura nel Pd. Per lui si tratta vita o di morte o politicamente sarà spacciato.

 

 


La “partita” delle comunali a Palermo è appena iniziata. Potrebbe apparire come un paradosso, ma a tre mesi o poco più dall’appuntamento elettorale, che dovrà esprimere il nuovo sindaco, “pedoni” e “alfieri” sono là a guardarsi, in attesa delle mosse da fare. Un ginepraio tattico, che si muove felpato come da tradizione prettamente nostrana. Ne rivendichiamo con orgoglio il copyright.
Ad oggi, a meno di prodigiose alchimie alla mago Merlino, i nomi dei candidati, che potrebbero andare al ballottaggio, sembrano già delinearsi. Sì, perché, rispetto agli analisti e ai politologi che nel web declamano le proprie certezze in materia, il secondo turno è sicuro come le equazioni che ai tempi di scuola mi facevano impazzire!
Le due recenti aperture di campagna elettorale: quella dell’uscente Orlando e l’altra del suo mancato figliol prodigo, Ferrandelli e i posizionamenti delle aree politiche di riferimento, che ufficialmente sembrano essere al di fuori dei partiti, ma che nei fatti stanno costruendo una cornice (ciascuno la sua) di un quadro che prende forma, ne sono la prova provata.
Il terzo incomodo, ossia il M5s, con il suo candidato Forello, non sembra, a meno di eclatanti avvenimenti, poter essere da disturbo ai due blocchi. Poi c’è il Pd o quello che ne resta, diviso tra chi vorrebbe appoggiare il sindaco della fu primavera di Palermo (ndr. Leoluca Orlando) e una parte dichiaratamente schierata con Ferrandelli. Infine, “dulcis in fundo”, quei Democratici che rivendicano l’orgoglio di esprimere un proprio candidato sindaco. Una summa degna di un film thriller, o per gli amanti di altro genere: un horror in salsa siciliana.
Dimenticavo la sinistra. Quella sinistra però che in città ha sempre vinto, ma quando in sella c’era un democristiano. Anzi per dirla tutta solo quando quel democristiano era, anzi è Leoluca Orlando. Perché, realisticamente, Palermo non è mai stata di sinistra, così come non è lo è mai stata di destra nell’accezione etimologica del termine. E i forzisti, che non avendo trovato l’agnello sacrificale, alla fine hanno deciso di “svoltare” dalle parti di Ferrandelli.
Quindi, considerando i “resti”, tanto per usare un termine a caratura di legge elettorale, lo scenario numerico dei candidati a sindaco potrebbe salire a nove! Una frammentazione che inciderà, inevitabilmente, escludendo una vittoria piena al primo giro di “boa”.
Malgrado ciò, il “secondo tempo” lo giocheranno gli stessi giocatori di cinque anni fa, con una piccola differenza che in quelle del 2012, furono determinanti, per la rielezione di Orlando, i voti del centrodestra.
E adesso che il centrodestra appoggerà Ferrandelli, cosa accadrà? Forse all’attuale primo cittadino non resta che sperare nel voto disgiunto, anche se l’effetto trascinamento reintrodotto per legge, di fatto, premia le liste forti.
E su questo attenderei i nomi dei candidati al consiglio comunale di ambedue gli “schieramenti”. Perché saranno questi a fare vincere il prossimo sindaco, in una battaglia che non è soltanto la “presa” di Palazzo delle Aquile, ma la resa dei conti tra il “maestro” e il proprio “allievo”.

ferrandelli2Fabrizio Ferrandelli ci riprova e dopo la sconfitta nel 2012, contro Leoluca Orlando, si ricandida a sindaco di Palermo. Non una parola sul professore che al ballottaggio di quattro anni fa vinse con il 47 per cento di consensi, riconquistando la città dopo l’era Cammarata.

“Non sono il candidato del Pd, ma il mio progetto politico su Palermo è aperto a tutti quelli che hanno a cuore le sorti della città. I partiti non hanno più la capacità di ascolto”. E precisa che la sua “è una candidatura politica”.

Un messaggio chiarissimo che rispecchia quelli che sono i “rumours” sulla sua candidatura: creare un’ampia convergenza, con molta probabilità di liste senza simboli che potrebbero essere frutto di accordi trasversali su un fronte ampio. Esclude assolutamente la valenza civica del suo impegno, ribadendo l’importanza dell’azione etica e morale che la politica deve esercitare. Da qui parla delle sue dimissioni da deputato regionale un anno fa, dopo aver ascoltato le parole di Manfredi Borsellino.

“Io mi sento un uomo libero e la mia candidatura è una candidatura senza padrini e senza padroni”. Parla anche di padre Puglisi, il prete di Brancaccio ucciso dalla mafia, ricordandone la testimonianza di libertà.

E’ molto attento a non addentrarsi su programmi e su interventi da porre in essere per la città. In fondo, questo primo passaggio non è altro che un segnale lanciato all’interno di un agone politico complesso e allo stato attuale imprevedibile da decodificare. Due gli elementi che fanno da cornice a questo quadro: il referendum costituzionale di ottobre, che un eventuale vittoria del No farebbe deframmentare il Pd e non solo; e poi le leggi attualmente in discussione all’Ars sulla modifica delle norme elettorali per le comunali.

Norme in cui sarebbe prevista la possibilità del ritorno al trascinamento delle liste collegate al sindaco. Nei fatti, ne sarebbe avvantaggiato il candidato sindaco, perché il voto dato ad una lista (o anche partito) andrebbe anche al candidato Primo cittadino. Quindi la partita è assolutamente in divenire e nella “scacchiera politica”, almeno per questa estate, vedremo solo mosse tattiche. E quella di oggi è una di queste!

Leoluca-Orlando
E’ come in un risiko, come in una partita a scacchi dove ogni mossa è studiata. L’errore può risultare fatale e far perdere al giocatore il “piatto”. Dunque, non sono ammessi sbagli. E’ come in una immaginaria linea “Maginot”, quella fatta costruire nel 1928 dal ministro francese Maginot a protezione dei  confini della Francia, dove tutto può accadere. Nella seconda guerra mondiale i tedeschi riuscirono ad eluderla.

La ztl, nei fatti, diventa spartiacque e linea di “guerra”, in una battaglia che oggi sembrerebbe a favore del sindaco: quella con cui il Cga ha riaperto, momentaneamente la partita chiusa, invece, dal Tar, sebbene lo stesso Consiglio di giustizia amministrativa ha consigliato all’Amministrazione comunale di attendere la pronuncia del tribunale amministrativo regionale, prevista per novembre, prima di porre in essere qualsiasi atto in materia.

Sembra un “all-in” quello del primo cittadino, dietro il quale c’è, senza se e senza ma, il tentativo di riprendersi Palazzo delle Aquile (il suo è il secondo, quindi ultimo mandato), in una città dove oggettivamente la partita politica, ad oggi, senza alcun avversario di rilievo, sembra proprio essere a portata di mano. E se si considera anche che nel vuoto di proposte alternative, l’ex Sindaco della Rete avrebbe il sostegno di fronde trasversali pronte, come sempre (c’è stato già qualche incontro), a dargli soccorso al ballottaggio.

Ma al di là delle manovre politiche e degli accordi che si delineeranno nei prossimi mesi, la data della #deadline rimane quella del 6 novembre. Perché se come annunciato dal Sindaco la ztl dovesse essere attuata prima di quella data, l’eventuale bocciatura del provvedimento dal parte del Tar, aprirebbe scenari imprevedibili e sarebbe per Orlando un duro colpo a soli sei mesi dalla sindacatura.

Intanto, eppur vero e neanche troppo celato, che un mancato introito della ztl metterebbe a rischio la tenuta finanziaria dell’Amat e dello stesso tram, per il quale Orlando si gioca la rielezione a Palazzo delle Aquile. E non meno rilevante la confusione che regnerebbe nei cittadini che, avendo rifatto il pass, dovrebbero richiedere per la seconda volta il rimborso. Quindi per adesso le carte sono tutte sul tavolo e l’all-in di cui sopra rimane “sospeso”. La “telenovela” continua.