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Gaetano Càfici

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Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni è intervenuta con un video pubblicato sulla sua pagina Facebook, per rispondere alle recenti critiche sulla legge di bilancio in corso di definizione. Nel video, Meloni ha difeso il suo operato, smentendo con fermezza le accuse secondo cui il governo stia pianificando di introdurre nuove imposte. «È falso che vogliamo introdurre nuove tasse – ha dichiarato Meloni – noi, semmai, le stiamo abbassando».

Le Critiche alla Manovra Finanziaria

Negli ultimi giorni, la bozza della manovra finanziaria ha sollevato un acceso dibattito, con molteplici esponenti politici e commentatori che hanno espresso preoccupazione su possibili aumenti fiscali. L’opposizione ha accusato il governo di voler imporre nuove tasse per far fronte alle esigenze di bilancio, in particolare per coprire le spese necessarie a sostenere misure di welfare e sviluppo economico. La questione è stata sollevata anche da diversi media, alimentando una narrazione che, secondo Meloni, distorce la realtà dei fatti.

La Replica di Meloni

Nel video, la Premier ha sottolineato che il governo sta lavorando per mantenere le promesse fatte durante la campagna elettorale, ribadendo l’impegno a ridurre il carico fiscale su famiglie e imprese. «Abbiamo sempre detto che vogliamo favorire la crescita e la competitività dell’Italia, non appesantendo ulteriormente i cittadini e questo è ciò che stiamo facendo con la manovra attuale».

Meloni ha poi fatto un elenco delle misure previste nel documento finanziario che andrebbero nella direzione opposta rispetto a quanto denunciato dall’opposizione. Tra queste, il taglio del cuneo fiscale per i redditi medio-bassi e l’eliminazione di alcuni balzelli considerati iniqui. «Abbassare le tasse non significa solo ridurre le aliquote, ma anche eliminare quelle voci che rendono il nostro sistema fiscale opprimente», ha aggiunto.

Le Misure Contenute nella Manovra

Tra le misure che il governo intende introdurre nella nuova legge di bilancio, Meloni ha citato:

– Taglio del cuneo fiscale: previsto un ulteriore sgravio per i redditi inferiori ai 35.000 euro annui, volto a favorire l’incremento del potere d’acquisto e stimolare i consumi interni.
– Semplificazione fiscale per le imprese: nuove norme per ridurre la burocrazia fiscale e facilitare il pagamento delle imposte da parte delle PMI.
– Abolizione di micro-tasse: eliminazione di piccole imposte e balzelli che spesso complicano la vita a cittadini e aziende senza generare un reale beneficio per l’erario.

Le reazioni dell’opposizione

Nonostante le rassicurazioni del Presidente del Consiglio, le reazioni all’annuncio non si sono fatte attendere. Le opposizioni sostengono che le misure proposte non siano sufficienti per far fronte alle sfide economiche che il paese sta affrontando, e che alcune delle proposte potrebbero, in realtà, gravare sui conti pubblici nel medio-lungo termine. Alcuni analisti hanno sottolineato che la riduzione delle tasse deve essere accompagnata da una strategia di sviluppo chiara e sostenibile, per evitare di incrementare il debito pubblico.

Il video di Giorgia Meloni, (clicca qui per vederlo), rappresenta un tentativo di smorzare le polemiche e rassicurare i cittadini sulle intenzioni del governo in merito alla legge di bilancio. Tuttavia, la questione resta aperta e continuerà a essere oggetto di dibattito nelle prossime settimane, soprattutto alla luce dei confronti che seguiranno in Parlamento. Sarà necessario attendere l’approvazione definitiva della manovra per comprendere realmente l’impatto delle misure annunciate e verificare se il governo riuscirà a mantenere la promessa di ridurre il carico fiscale senza compromettere la stabilità economica del Paese.

(fonte foto La Stampa)

La guerra non è soltanto una questione militare, un risiko di pedine che si muovono sui vari fronti. La guerra è soprattutto fiumi di denaro che dissanguano, inevitabilmente, gli stati e arricchiscono, invece, i trafficanti di armi e le aziende che li producono. E alla fine, non per paradosso ma per realtà oggettiva, lacerano lentamente il tessuto economico dei paesi interessati. Ma parliamo di numeri.

Razzi su Tel Aviv e Gerusalemme

Israele, con l’inizio delle operazioni di terra in Libano e l’attacco dell’Iran di ieri, rischia di portare il paese ad una crisi economica di proporzioni impensabili. La forchetta attuale si aggirerebbe tra i 67 miliardi di dollari, stimati dalla banca centrale israeliana e i 120 miliardi di dollari (circa il 20% del pil israeliano) come affermato dall’economista israeliano Yacov Sheinin.Ad agosto, infatti, la banca centrale israeliana aveva stimato il costo del conflitto per Israele tra il 2023 e il 2025 in 67 miliardi di dollari (di cui 32 miliardi per le sole spese militari), pari a quasi il 13% del pil del paese, al quale si aggiungeva 10 miliardi di dollari per finanziare il trasferimento dei circa 100 mila israeliani che hanno dovuto lasciare le loro abitazioni nelle vicinanze della Striscia di Gaza o del confine con Libano dopo che erano stati presi di mira dai razzi di Hamas e dell’Hezbollah. La riparazione dei danni causati da queste azioni veniva stimata ad agosto in 6 miliardi di dollari.

E’ particolarmente alto il costo della difesa del territorio. Israele con l’Iron Dome, che è stato schierato per la prima volta nel 2011 e con la ‘Fionda di Davide’ e con i missili Arrow riesce ad intercettare circa il 90% dei razzi. Ma a quale prezzo? Si stima che ogni missile dell’Iron Dome costi circa 50 mila dollari (ogni batteria dislocata su tutto il territorio comprende tre o quattro lanciatori che contengono 20 missili). I missili del sistema missilistico detto ‘Fionda di Davide’ che è stato progettato per abbattere missili balistici a corto, medio e lungo raggio a bassa quota costano circa 1 milione di dollari l’uno. Poi ci sono anche i missili Arrow il cui costo, secondo un ex consulente finanziario del capo di stato maggiore dell’Idf, è intorno ai 3,5 milioni di dollari l’uno.

Il sistema missilistico “Iron Dome”

L’economia israeliana, quindi, è una delle vittime collaterali del conflitto scoppiato dopo l’attacco del 7 ottobre di Hamas. Migliaia di aziende israeliane, infatti, si sono ritrovate in difficoltà anche a causa del fatto che i riservisti hanno dovuto imbracciare le armi. Circa 287.000 israeliani, riferisce il ‘Washington Post’, sono stati infatti chiamati a prestare servizio dopo il 7 ottobre, un numero particolarmente importante in un paese di meno di 10 milioni di abitanti. A questi lavoratori prestati all’esercito si aggiungono i circa 85 mila lavoratori palestinesi che operavano soprattutto nel settore dell’edilizia che sono praticamente scomparsi, poiché non sono stati autorizzati a lavorare in Israele a causa di problemi legati alla sicurezza e ai lavoratori stranieri che hanno lasciato il Paese.

CofaceBdi, a luglio, ha stimato che 46 mila aziende israeliane hanno chiuso a causa del conflitto in corso e ha previsto che entro la fine dell’anno il loro numero potrebbe salire fino a 60 mila (nel 2020 con il Covid circa 76 mila imprese erano state costrette a chiudere mentre in un anno normale il numero di imprese costrette a chiudere si aggira intorno a 40 mila).

“Non c’è un settore dell’economia che sia immune dalle ripercussioni della guerra in corso”, aveva spiegato al ‘Times of Israel’ il Ceo di CofaceBdi, Yoel Amir. A soffrire di più sono comunque le imprese che operano nei settori dell’edilizia, dell’agricoltura, del turismo, dell’ospitalità e dell’intrattenimento. “Le imprese stanno affrontando una realtà molto complessa: la paura di un’escalation della guerra, unita all’incertezza su quando finiranno i combattimenti, insieme a continue sfide come la carenza di personale, la bassa domanda, le crescenti esigenze di finanziamento, l’aumento dei costi di approvvigionamento e dei problemi logistici e, più recentemente, il divieto di esportazione da parte della Turchia, stanno rendendo sempre più difficile per le imprese israeliane sopravvivere a questo periodo”.

Dunque alla fine il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, dovrà mettere in conto se davvero questa operazione militare sia stata strategica oppure un boomerang dagli effetti imprevedibili. Il rischio di portare il paese verso una crisi grave crisi economica potrebbe essere il tallone di Achille, a beneficio dei suoi avversari politici. E non è detto che l’America faccia un pò alla Ponzio Pilato, in considerazione che a novembre si giocherà la partita per l’elezione del Presidente Usa.

(fonte adkronos e foto ansa)

 

 

Era assolutamente un’elezione scontata. Diciamo giocata a tavolino anche di fronte l’ombra dell’inchiesta sui vaccini, che era piombata ieri sulla presidente della Commissione Ue. Dunque, Ursula Von der Leyen è nuovamente al comando in Europa, soprattutto grazie ai voti dei Verdi, ma con il vento contrario “dell’amica” Meloni, che ha dovuto piegarsi ai diktat interni del suo partito. La presidente del consiglio italiano avrebbe sicuramente gradito una posizione di forza, con un voto favorevole, ma è stata costretta a dire no per non far implodere il suo giocattolo.

Sono stati 401 i voti a favore, 284 i contrari e 15 gli astenuti. Sette le schede nulle. I votanti 707. La maggioranza minima richiesta per l’elezione era 360. Gli europarlamentari di Fdi hanno votato contro Ursula Von der Leyen. “Le scelte fatte in questi giorni, la piattaforma politica, la ricerca di un consenso a sinistra fino ai Verdi hanno reso impossibile il nostro sostegno a riconferma della presidente Ursula von der Leyen”. A dirlo è stato il capodelegazione di Fdi all’Eurocamera Carlo Fidanza sottolineando che con la rielezione “non viene dato seguito al forte messaggio di cambiamento uscito dalle urne del 9 giugno”.

“Questo non pregiudica il nostro rapporto di lavoro istituzionale ha aggiunto l’esponente di FdIche siamo certi possa portare alla definizione di un ruolo adeguato in seno alla prossima commissione che l’Italia merita”.

Il voto a favore dei Verdi è stato decisivo per il bis di von der Leyen. E’ quanto emerge da una prima analisi del numero dei voti. La tedesca ha incassato 401 consensi, superando ampiamente la soglia necessaria dei 360. Con l’annunciato sostegno dei Greens, la maggioranza su cui poteva contare con Popolari, Socialisti e Liberali avrebbe raggiunto la quota teorica di 454 voti. Sulla carta i franchi tiratori risultano quindi oltre 50. Dunque, il voto a favore dei Verdi è stato decisivo per il bis di Ursula von der Leyen.

Altri 5 anni. Non so come esprimere quanto sono grata per la fiducia di tutti gli eurodeputati che hanno votato per me”, ha scritto Ursula von der Leyen su X dopo aver ottenuto il bis alla guida della Commissione europea. Poi in conferenza stampa: “L’altra volta ho avuto 8 voti sopra la maggioranza, questa volta 41: è molto meglio. E lancia anche un messaggio di fiducia e testimonia il lavoro che abbiamo fatto insieme al Parlamento”. “Noi abbiamo lavorato per una maggioranza democratica, per un centro pro-Ue. E alla fine mi ha sostenuto. Credo che il nostro approccio è stato corretto”, ha detto ancora la presidente della Commissione rispondendo a chi gli chiedeva se il voto contrario di Fratelli d’Italia non abbia mostrato che poteva essere messo in campo un approccio diverso.

Congratulazioni von der Leyen! Fieri del grande lavoro di squadra del Ppe per sostenere la tua conferma alla guida della Commissione europea – ha scritto su X il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani -. Conta sempre su Forza Italia per costruire un’Europa più competitiva, più sicura e portatrice di pace”. Per il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, la rielezione di Ursula von der Leyen è “un chiaro segno della nostra capacità di agire” nell’Ue.

“Per noi votare a favore di von der Leyen avrebbe significato andare contro ad alcuni dei nostri principi. Alcune tematiche ci hanno reso impossibile votare a favore”, ha detto l’eurodeputato di Fratelli d’Italia e co-presidente di Ecr, Nicola Procaccini, dopo il voto sulla riconferma della presidente della Commissione europea. “D’altra parte vogliamo avere un rapporto estremamente costruttivo”, ha aggiunto Procaccini, evidenziando che nel corso della legislatura “la partita si giocherà sui contenuti”.

“La conferma di Ursula Von der Leyen è una brutta notizia per i cittadini europei e per gli italiani in particolare, soprattutto per il pericoloso sostegno di sinistre ed eco-fanatici. Tradito il voto di milioni di elettori che chiedevano il cambiamento e che ora subiranno le scelte scellerate degli estremisti verdi”. Così una nota della Lega.

Un lungo applauso nell’emiciclo di Strasburgo ha seguito l’annuncio dei risultati del voto. In piedi gli eurodeputati di Verdi, Socialisti, Liberali e Popolari. Gelo dai Patrioti e dall’estrema destra. Seduti senza applaudire gli eurodeputati di Fratelli d’Italia.

(fonte Ansa e foto)

Il leader della Lega sa benissimo di giocare su un tavolo verde, dove il bluff è l’unico strumento che gli consente di firmare, al suo popolo, un “assegno in bianco” per la la sua permanenza in questo governo e tentare di arginare le ire di tutti quegli elettori che lo vorrebbero barricadièro  e fautore del liberi tutti. Ma Salvini, oggi, ha una grana ancora più grande: i sondaggi che lentamente sembrerebbero erodere il suo consenso. Nelle ultime settimane ha perso quasi l’1 per cento e se tutto andrà bene la scadenza elettorale del 2023 è quasi una certezza. Quindi un altro problema: niente elezioni all’orizzonte. Staccare la spina adesso? Sicuramente è tentato anche perchè, in questo caso, per Mattarella sarebbe davvero difficile comporre un nuovo governo: strada davvero impercorribile. Per non parlare poi del “fido Giorgetti” che di “strambate” non ne vuole sentire. Fortemente saldo all’interno di un governo guidato dall’amico Draghi.

Dunque, Salvini diventa prigioniero di Salvini. Una spirale da cui non può uscire e in nome della quale brandisce ancora una volta il bluff della dittatura sanitaria. Prima contro Speranza (blindato apertamente dallo stesso Draghi) e poi in risposta al segretario del Pd Enrico Letta, che sulla posizione del coprifuoco alle 22, osteggiata dallo stesso Salvini che aveva firmato in tal senso una petizione, gli aveva dato un aut aut: “Così la Lega non può stare al governo.“

E oggi la risposta del leader del Carroccio dai microfoni di “Non Stop News su Rtl 102.5″. “La Lega fuori dal governo? Ho tutta l’intenzione di stare dentro, per le nostre idee e le nostre battaglie, anche se qualcuno ci vorrebbe fuori, come il Pd di Letta. La Lega, quindi, c’è ma basta che Letta non provochi continuamente, come sta facendo parlando di ius soli, di immigrati, chiedendo che Salvini vada a processo…e basta!”.

E sulla raccolta di firme sul coprifuoco aggiunge: ”È venuta dal basso. Una richiesta assolutamente trasversale: non è politica ma risponde ad una voglia di libertà da parte dei cittadini. Se c’è qualcosa che non convince, come il coprifuoco, che non ha senso, ma è scelta politica, lo diciamo, in 24 ore quasi 60mila persone hanno firmato il nostro appello online. Il coprifuoco non porta vantaggio, non c’è in Europa, non c’è a Madrid. Se la scienza dice bianco e giallo, perché devo restringere la libertà? Per me dipende dal buon senso, che fai alle 22.01 fai le retate? Il no al coprifuoco viene dal basso”. 

“Siamo d’accordo con Draghi”, continua l’ex ministro dell’Interno, “entro metà maggio ci sarà un aggiornamento in base ai dati scientifici, se continueranno a essere positivi, dal nostro punto di vista la riapertura deve essere totale, con azzeramento del coprifuoco”. Per Salvini c’è urgenza di far ripartire l’economia: “La fine della pandemia è vicina? Lo spero, lo indicano i numeri. Ma spero che qualcuno non dica ’tiriamo giugno, tiriamo luglio, perchè ogni giorno ci sono aziende che chiudono e posti di lavoro che se ne vanno”. 

Dunque, Salvini ribadisce il liberi tutti arrampicandosi sugli specchi, e con i numeri della pandemia che dicono altro. Non si schiodano, infatti, da quella curva che vede giornalmente dai 13 al 15 mila nuovi positivi e 300/400 morti. Ricordo il mio professore di matematica (materia scolastica a me decisamente ostica) che mi ripeteva in continuazione la perfezione dei numeri che si incastrano e che devono dare sempre e, comunque, il totale.

E se oggi i numeri sono quelli giusti e le vaccinazioni soltanto delle chimere (vedi l’altro bluff delle 500mila al giorno sbandierate dal generale Figliuolo), la strategia di Salvini è come una tempesta perfetta. Utile soltanto a calmierare il suo popolo e cercare di risalire la china del consenso perchè quel 2023 è lontano e in politica tutto è possibile. E il modello “Ursula”, per adesso in soffitta, potrebbe essere rispolverato all’interno di un’alleanza allargata in cui Forza Italia, adesso, sembra soltanto uno spettatore, ma non dimenticando che tra 9 mesi si elegge il nuovo Capo dello Stato e la partita per vincere le prossime nazionali, da una parte e dall’altra, si giocherà tutta là. To be continued…

Romani Prodi, la vecchia volpe della prima Repubblica, che nella vita ha acchiappato quasi tutto, tranne forse il sogno della sua vita: quello di salire sullo scranno più alto del paese ovvero il Quirinale. Parla a ruota libera in un’intervista rilasciata al Corriere.it, dove per prima cosa chiarisce la sua indisponibilità a fare il Presidente della Repubblica.

Tra nove mesi si vota per il Quirinale, con Sergio Mattarella che sembra non guardare ad un secondo mandato. “Se si parla di indisponibilità, ne ha un’altra, la mia. Non ho l’età, come cantava Gigliola Cinquetti: nel senso però che ne ho troppa, quasi 82 anni. E poi sono stato un uomo di parte, e in fondo lo sono ancora. Credo che su Mattarella influiranno la sua volontà e gli eventi. Personalmente lo sento il mio presidente della Repubblica. Mi rende tranquillo e credo che renda tranquilla l’Italia”. 

Un vero e proprio assist a Mattarella, per un bis che però lo stesso presidente della Repubblica ha da sempre escluso. Ma come si dice in politica mai dire mai. Lo stesso Giorgio Napolitano, in “illo tempore”, dichiarò la sua indisponibilità per poi accettare o forse subire la rielezione. E’ anche vero che i tempi erano altri ma oggi, in piena pandemia, certamente per Mattarella sarebbe difficile declinare l’offerta di una seconda chance in nome di un equilibrio che lo stesso Prodi gli riconosce e che all’Italia è indispensabile.

E poi continua lodando il neo segretario del Pd, Enrico Letta.  “Tutti conoscono il rapporto di amicizia e fiducia che ho verso Enrico: lo chiamai a Palazzo Chigi come sottosegretario che era un ragazzo. Ebbene, il ragazzo è cresciuto. In Europa si è rafforzato e accreditato. E io, da spettatore più che da protagonista, per quanto angosciato dal debito che cresce, sono fiducioso: al Quirinale, a Palazzo Chigi e nel Pd ci sono le persone che più stimo. Se l’Italia non vince ora non vincerà mai”.

Poi parla di Salvini che definisce “imbertinottato…”. Sì il leader della Lega afferma Prodi “si è messo nella scia di Bertinotti”. E mette in guardia Mario Draghi dalla “sindrome classica delle coalizioni”. Non ha mai dimenticato l’esperienza di Governo del 1996 quando fu Bertinotti a fare cadere il suo governo e che, oggi, potrebbe vedere proprio Salvini nei panni del segretario di Rifondazione comunista.

Aggiunge poi il Professore: “Fai una scelta drastica, come quella di Bertinotti di coalizzarsi con l’Ulivo. Poi cominci a perdere consensi e la cosa ti fa diventare matto. E allora alzi la posta. Ti impunti anche sul niente, ogni giorno di più. Ma attenzione: questo fa perdere voti, non guadagnarli”. E fa cadere i Governi, “ma Draghi ha molte più riserve. È una grande differenza” spiega Prodi, che già agli albori dell’ascesa dell’ex numero uno della Bce avvertiva che gli italiani spesso “attendono un salvatore per poi crocifiggerlo”. In questo caso Salvini “non crocifigge Draghi solo perché non ha il martello. Ma alza la posta. Fa prevalere il suo interesse di parte”.

Come fece con Giuseppe Conte. Quindi a Mario Draghi consiglia di “fare presto. Ma ha più tempo per vedere e mostrare al Paese i risultati positivi della sua azione, anche se tra pochi giorni, poche ore dovrà presentare il suo piano a Bruxelles. Con Conte si percepiva una tensione montante”. La sfida è la crescita con le riforme per una gestione del debito, che ”è un rischio enorme”.

(fonte foto copertina globalist.it)

“Il governo Draghi ci dica cosa vuole fare del Ponte sullo Stretto, abbiamo diritto a una risposta definitiva. Basta con gli eterni rinvii e i balletti, altrimenti siamo pronti a farlo da soli”.
E’ quanto il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, ha esternato oggi nel corso di una conferenza stampa a Catania col governatore della Calabria, Nino Spirlì, e l’amministratore delegato di Webuild, Pietro Salini, sul tema ‘Grazie Ponte sullo Stretto: l’opera possibile e necessaria, per l’Italia e per l’Europa’.

All’iniziativa, promossa dal network “Lettera150” con il professore Felice Giuffrè, hanno preso parte anche l’ex ministro Pietro Lunardi, l’assessore regionale alle Infrastrutture Marco Falcone e l’omologo della Calabria Domenica Catalfamo.
Con una battuta, il presidente della Regione Siciliana si è riferito al ponte: “Chiamiamolo “Ulisse” – ha detto – perché pare che a Roma se diciamo Ponte sullo Stretto sia considerata una parolaccia”.

E proprio questa dichiarazione ha innescato una polemica a distanza con il presidente della commissione antimafia in Sicilia, il deputato regionale Claudio Fava, che ha stigmatizzato così le parole del presidente della Regione: “Musumeci ha ribattezzato il ponte sullo stretto “Ulisse”. Contento lui. Ai siciliani invece resta  l’Odissea quotidiana di treni lenti come cent’anni fa e di autostrade che assomigliano alla Parigi-Dakar”. 

“Siamo stanchi di essere considerati colonia – ha continuato Musumeci – vogliamo diventare il cuore, la piattaforma logistica del Mediterraneo. Ma non sarà possibile se non c’è l’alta velocità e se non si passa in tre minuti tra le due sponde. C’è chi vuol mantenere il sistema Italia diviso in due: un Nord ricco e opulento che produce e un Sud povero e straccione che consumai i prodotti del Nord”. 

Problematiche più politiche che tecniche, anche secondo Pietro Salini, amministratore delegato di Webuild, la società che dovrebbe occuparsi della costruzione dell’opera. “Si può fare – spiega Salini –  anzi, lo stavamo facendo, ma ci hanno fermati. La differenza tra i Paesi che crescono e quelli che annaspano è anche nella capacità di creare le grandi opere, di creare prospettive e di essere attrattivi. Il Ponte creerebbe 20 mila posti di lavoro. Noi siamo pronti a partire, anche domani”.
Sulla stessa linea anche il presidente della Regione Calabria, Nino Spirlì: “Calabria e Sicilia sono le porte per chi arriva dal Canale di Suez e dai Paesi che oggi detengono un grande potere economico, come Cina e India, ormai ago della bilancia dell’economia mondiale, e il continente africano che, nei prossimi decenni, sarà l’interfaccia naturale con l’Europa. Non è dunque ammissibile che i primi territori europei non siano tra loro collegati. L’Europa ha l’obbligo di crearlo”.

Insomma, una vera e pura querelle che ha tanto il sapore di campagna elettorale (il prossimo anno si vota in Sicilia per l’elezione del nuovo presidente della Regione). Di “Ponte sullo Stretto” sì è sempre parlato e forse, chissà, anche in era antidiluviana. Oggi, se vogliamo essere davvero schietti, le priorità per la Sicilia sono davvero altre. E quella in cima tra tutte è la battaglia al covid. Il resto è solo esercizio retorico e operazione di “distrazione di massa”.

Un dato che ha molto il sapore “bulgaro”, ma che delinea un quadro chiaro in quel mondo variegato che è il pianeta cinquestelle. Il tributo esce fuori come un coniglio da un cilindro: un sondaggio di Demos&Pi e Demetra, commissionato dal giornale La Repubblica, dà in modo incontrovertibile una tendenza: per il M5S deve essere l’ex premier Giuseppe Conte a guidare il movimento.

E’ il 62 per cento degli elettori cinquestelle intervistati, infatti, che incorona Conte a capo politico della creatura di Grillo. Secondo l’indagine tra la maggioranza dei grillini si preferirebbe che il movimento venga messo in mano a “un nuovo leader o capo politico”, in contrasto con quanto stabilito dall’ultima votazione sul tema avuta sulla piattaforma Rousseau, che aveva deciso, invece, la creazione di un “direttorio a 5” per sostituire l’uomo solo al comando. “Solo” il 37% degli intervistati concorda con quanto deciso lo scorso 17 febbraio.

Dunque, la risultante di questa analisi demoscopica è che dopo Giuseppe Conte, per i grillini ci sarebbe il nulla. Tra gli altri esponenti di spicco, al secondo posto c’è l’ex capo politico e attuale ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che però raccoglie soltanto il 6% delle preferenze come nuovo volto alla guida di M5S. Seguono col 3% del gradimento Alessandro Di Battista, che però si è dissociato dal Movimento da quando quest’ultimo ha deciso di entrare nella maggioranza a sostegno di Mario Draghi, il garante Beppe Grillo e l’attuale capo politico Vito Crimi, che sta traghettando il partito verso il nuovo consultorio.

Inoltre, è stato chiesto agli elettori di M5s e Pd come vedrebbero una eventuale coalizione sistematica tra le due forze. Il 34% dei grillini e il 40% dei dem pensa che i partiti dovrebbero presentarsi alle elezioni coalizzati, la soluzione “continuare ad essere alleati senza formare una coalizione” piace al 39% dei “gialli” e al 30% dei “rossi”.

Infine, alla domanda se “il M5S è di sinistra”: il 23% degli elettori del movimento cinquestelle ha dichiarato di ritenersi “di sinistra”, mentre il 27% si è detto “di centrosinistra”. La maggioranza però, al 29%, ha affermato di non essere “né di destra né di sinistra”, mentre solo il 5% si ritiene vicino alla destra.

A questo punto è chiaro che il progetto dell’avvocato del popolo: e cioè quello di costruire un nuovo soggetto politico, di cui molto si era sentito parlare e su spinta, sembrerebbe di entità ecclesiali, parrebbe davvero ormai destinato a finire in soffitta. Anche perchè la vera partita, di un’eventuale premiership, si giocherebbe nel 2023 nella complicata scelta del candidato del centro sinistra. E tutto, ovviamente, Enrico Letta permettendo.

Quella del #Covid è una guerra senza “bombe”. Piaccia o non piaccia ma è così. E quando si è in “guerra” si combatte uniti al di là degli steccati. Un Paese diviso da inutili e dannose arti retoriche è soltanto una cartina geografica e nulla di più. Poi toccherà alla storia scrivere la storia, ma solo dopo che la battaglia sarà definitivamente vinta.

Purtroppo non vedo un #Churchill all’orizzonte, e intendo riferirmi, per non essere frainteso, a tutto l’arco istituzionale. E non si tratta di facile esercizio lessicale, ma di quel senso dello Stato oggi perduto. E citando, umilmente, la frase pronunciata da #Churchill contro #Hitler che voleva invadere l’Inghilterra durante la seconda guerra mondiale: “non si può ragionare con una tigre quando la tua testa è nella sua bocca”, la politica dovrebbe avere il coraggio di svestirsi dai propri abiti consunti che da fin troppo tempo indossa e, tutti uniti, costruire la gabbia per “combattere”, “catturare” e “uccidere” questa “tigre”.

Perché la forza morale di un popolo si vede sempre dalle proprie azioni e i continui sofismi a cui assistiamo da entrambe le “barricate”, ormai non servono più. Servono, invece, gesti decisi. Ma questi appartengono solo agli uomini coraggiosi, agli statisti a chi veramente ha la capacità di superare logiche e interessi per il bene comune. Il tempo degli scontri è finito. Adesso è l’ora di costruire un argine, una trincea e poi ritornare a “combattere”, ognuno, per i propri ideali…

E’ un Davide Faraone senza peli sulla lingua, capogruppo al Senato del partito di Renzi ed ex esponente siciliano del Pd, che si scaglia contro Salvini e Meloni con un duro post su facebook.

“Salvini e la Meloni – si legge sul suo profilo social – dovrebbero ripetere questa frase del nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella almeno tre volte al giorno: “il vero nemico di tutti è il virus, il vero nemico di tutti è il virus, il vero nemico di tutti è il virus” e smettere di lisciare il pelo ai negazionisti, alle piazze, diventando persino virologi e proponendo l’idrossiclorochina e le fake news come cura”.

“Finalmente – aggiunge Faraone – potremmo sperare tutti in una destra più normale, in una opposizione che in emergenza si sforza di essere proposizione. E tifare in un Paese che si unisce, perché la priorità è il benessere sanitario ed economico dei cittadini e non il successo elettorale. Ma loro no. Elezioni, elezioni, elezioni… sono un disco rotto! Possibile che Salvini e Meloni non sappiamo parlare d’altro? La politica è fare qualcosa per la collettività e non una continua corsa alle elezioni, una campagna elettorale che non finisce neppure di fronte ad una pandemia. Spegnete il megafono e date una mano all’Italia”.

L’esponente renziano, dunque, ha scomodato il presidente Mattarella che con quelle parole ha voluto lanciato un messaggio chiaro a tutti. E se Berlusconi ha fatto il primo passo dando un chiaro assist al governo per una unione d’intenti, “sempre per il bene del Paese”, chissà se Matteo Salvini e Giorgia Meloni faranno lo stesso spiazzando Faraone. Perchè in politica mai dire mai. Tutto è possibile e niente è impossibile!

E’ una decisione sofferta quella del governatore siciliano Nello Musumeci, che si appresta a varare le nuove restrizioni in tema di Covid19, tanto da manifestare la volontà di prendersi ancora ventiquattro ore di tempo per rendere pubblica la sua decisione con una specifica ordinanza.

“Dovendo incidere su settori rilevanti nella vita quotidiana delle persone – dice Musumeci – ritengo importante valutare con estrema attenzione i provvedimenti da inserire nella nuova ordinanza per limitare il diffondersi del contagio in Sicilia. Ecco perché, dopo una giornata intensa di confronto con gli esperti del Comitato tecnico scientifico e con l’assessore alla Salute, mi sono preso 24 ore di tempo prima di adottare il nuovo provvedimento che conterrà limitazioni in alcuni settori,  come gli istituti scolastici e il sistema dei trasporti, ma senza colpire le attività economiche”.

“Domani sentirò nuovamente il ministro della Salute – si legge ancora nella nota – per un ulteriore momento di condivisione delle proposte, in uno spirito di leale collaborazione tra Stato e Regione”.

Con molta probabilità le limitazioni riguarderanno le scuole superiori, i trasporti e parzialmente le attività commerciali. Indiscrezioni che troveranno conferma domani alla luce dei numeri della pandemia che, in Sicilia, hanno subito un innalzamento dei contagi e l’istituzione della quinta “zona rossa” a Torretta di cui abbiamo parlato all’interno del nostro giornale (clicca qui per leggere l’articolo).