di g.c. I simboli sono icone senza tempo che non mutano mai. Geroglifici che attraversano ogni epoca. Di questi Palermo è piena. Basta guardarsi intorno. Possiamo fare una rappresentazione quasi didascalica delle storie vecchie e nuove che si incrociano e degli eventi che si susseguono. Quasi come una stretta commistione tra vita e morte.
Sembra di vederli nelle tantissime lapidi commemorative, che possiamo scorgere dietro ogni nostro passo e che tengono forte la memoria di una città marchiata, ma mai piegata. Ma anche nei luoghi di rinascita e negli spazi recuperati, che cercano di sopravvivere al declino inarrestabile di una Palermo che non si indigna più da troppo tempo. Quella di ieri, umiliata dall’indifferenza ed impoverita culturalmente. E quella di oggi, ancora assopita.La normalità diviene rito quotidiano. Tutto tace. Un silenzio ancora più forte e lancinante che, nel pomeriggio di qualche mese fa, mentre passeggiavo ai Quattro Canti, è divenuto vero buio.
La Fontana della Vergogna di Palermo, luogo e simbolo più alto della storia della nostra città, aveva deciso di non zampillare più, facendo sentire forte la sua voce di dolore. Uno sciopero silenzioso. Una protesta per affermare quel diritto di lesa maestà, dopo tanti secoli di onorato servizio.Le statue raffigurati gli dei dell’Olimpo dominavano il mio sguardo, come se volessero parlarmi. Loro da sempre spettatori di prima fila e adesso, invece, semplici custodi di loggione. Ho pensato che il mio era soltanto un brutto sogno. Di quelli che non vorresti mai fare.
Poi sono ritornato sui miei passi ma la fontana era sempre “spenta”, come senz’anima, e così è rimasta fino a qualche giorno fa, quando l’ho rivista ampillare. Pensandoci bene, ma che importa mi sono detto. In fondo parliamo solo di quattro zampilli e di uno “sciopero” come tanti. E poi non diciamolo in giro, chissà che le altre fontane possano seguirne il cattivo esempio.