Oggi non sappiamo ancora se Luigi di Maio e Matteo Salvini riusciranno a far quadrare il cerchio e a firmare il contratto che porterà alla nascita del prossimo governo. Ma l’esito positivo è più che probabile e avremo il primo governo a sei stelle, le cinque del movimento grillino più quella delle Alpi del simbolo della Lega. E sarà, se sarà, un fatto nuovo per la politica italiana. Certamente, non ratificherà la nascita di una Terza Repubblica, ma segnerà una svolta epocale: al centro di un patto di governo, non ci saranno le affinità ideologiche, le alchimie onomastiche, i richiami a ideali, ascendenze, leadership, ma il riferimento al fare, alle cose. Magari, per gli osservatori stranieri questa non sarà una novità.
Sarà inquietante l’intesa tra forze populiste, euroscettiche, non perfettamente o per nulla allineate rispetto al trend della politica delle capitali che “contano”. Ma a questi analisti di oltre confine, il richiamo alle cose da fare non susciterà particolare interesse. All’estero è normale, è la politica: trovare soluzioni ai problemi del paese, pragmaticamente, senza tante discussioni. Sono le ricette a dividere, non il pedigree. In Italia non è così. C’è ancora chi si affanna a definire il governo nascituro “di destra”, come se significasse ancora qualcosa, in questa epoca di democrazia digitale.
Ideologie, identità, tradizione, partecipazione, partiti, non contano più nulla, non portano più a niente e, soprattutto, non portano più voti. Contano i leader, i programmi, anzi, gli slogan: trovi un argomento forte, particolarmente sentito dalla gente; lo cavalchi, lo fai tuo, ti rendi riconoscibile su quello e vai avanti. Naturalmente, per il bene della collettività, del Paese. Ecco, Di Maio (o chi per lui) e Salvini questo lo hanno capito e, anche grazie alla forza dei numeri, lo stanno facendo fruttare, per far nascere un governo spurio, tra forze che, per loro natura, non hanno granché in comune, se non un certo dna “antisistema” che si declina comunque in modi e direzioni diversissime. Non chiamatelo incucio, no. Chiamatelo governo di contratto o “a sei stelle”.